
L'onda estrema dei circoli storici vitali raggiunse queste rive in fase anacronistica, in ritmi sconcordi, donde, come si è accennato, la sua segregazione, il riserbo, la ritrosia: un vero esilio storico di questo pleonasmo geografico lungo l'intera costa adriatica. E come altrove, così, l'uomo della civiltà ermetica, l'etrusco, qui non rise; il greco appena vi sorrise favolosamente in un'atmosfera di leggenda; il romano non vi operò molto.
Solo la pura e compianta fede medievale ha lasciato segni evidenti con le sue chiese, abbazie, santuari e soprattutto con celebri grotte.
Quindi la fede sconfina smisuratamente da questa età determinata con opere che vanno dalla remota e devota grotta Scaloria alla recente edificazione di padre Pio.
Qui forse, invece, primamente visse e agì l'uomo che alle origini si eresse in posizione verticale e gridò e affermò la sua esistenza urlando da grotte e palafitte in corale fusione e confusione con gli elementi della natura.
'Lungi dal rumore degli uomini', il silenzio del tempo antico si è raccolto in queste doline che 'hanno il languore del circo dopo lo spettacolo'. Quanto tempo, quanta vita preistorica e storica, sveva e ascetica è sprofondata nella più grandiosa dolina d'Italia che si trova tra S. Marco e S. Nicandro! Nota finora solo agli studiosi e alla gente del contado, è Puzzatina (localmente Puzzatine), uno stadio naturale per mezzo milione di spettatori; un suggerimento ad architetti di fantasia alla Berlioz per il possibile simultaneo svolgimento di più partite di calcio o d'altri giochi e con la capacità di accogliere ogni esplosione massiva di tifosi.
Ma rivolgiamoci all'acqua per comprendere, se non una realtà metafisica, almeno una certezza garganica, una certezza esistenziale che fonde uomo terra mare.
Nel silenzio dei mattini, quando sottili venti del Nord vivificano l'aria, e cielo e terra e mare splendono nell'esaltazione dei colori più mutevoli e fulgidi, questa montagna è come una valva aperta: una conchiglia che mostra le sue perle. Il mare odora di un fresco di anguria e di bucato al sole: odore perenne dell'infanzia più remota. Scatta la molla della memoria e i ricordi sepolti risorgono come fantasmi. Su prati di smeraldo madri sciorinano panni e la loro fragranza si diffonde intorno.
Schietti e fuggitivi bambini danzano tra quelle bandiere versicolori: bambini che adorano madri che odorano. Quell'ora diviene eterna, àncora, scopo e salvezza di un'esistenza.
Mare e madre; mater, materia, matrice, matesi: comune la radice di una vitalità primordiale e di una insita razionalità; nella ripetizione tematica la musicale realtà di ritmi, numeri e ordini nell'esistenza umana e nel rinnovarsi concentrico, nel ripetersi a onde sempre più vaste delle generazioni.
Mare e madre: sono due parole quasi uguali. Nella seconda vi è appena una consonante in più, una dentale come per trattenere ancora un poco tra labbra e denti la dolcissima parola. Dal mare la vita della terra; dalla madre quella dell'umanità. Un'eco privata d'infanzia mal sepolta alimenta un segreto desiderio di essere sempre cullati dal mare e dalla madre.
E vi doveva essere una potenza vitale per via di un particolare habitat di questa profonda terra erratica in mezzo all'Adriatico.
La simmetria poi è più facilmente riconoscibile nella rigorosa partizione dei colori dovuta alla posizione geografica e alle fatiche del vento, del sole, dell'acqua.
Ho detto altrove che il Gargano, come Giano, ha un doppio volto; e non deve essere casuale il culto di questo dio bifronte ancora vivo nella toponomastica del Gargano occidentale.
Vi si potrebbe segnare una rigorosa e ideale linea divisoria che partisca visibilmente i due volti: verde quello del Nord, per la folta vegetazione di pinete e foreste; rosso quello del Sud: il profano e il sacro.
Sul filo di un ricordo, dunque, di un odoroso bucato materno si rinviene un mare tutto fresco di colore: una pulita trasparenza di due sorgive vitali. Certi settembri (e inverni!), quando più tace la marea turistica, sollevano questa montagna verso cieli di una limpidezza irreale. In una vaga azzurrità, tra mare e cielo, essa rimane sospesa, come un'iridiscente bolla che al tocco svanirebbe d'incanto.
Il buon Dio diede la parola all'uomo, agli animali, alle piante, alle cose tutte; lo notiamo quando al loro contatto, queste naturalmente si esprimono e ci commuovono. E anche il Gargano si esprime, parla, ha un suo accento, univoco e singolare nel concerto italiano delle voci.
Già mi son chiesto dove il Gargano abbia il suo cuore: in una dolina più languidamente desolata, nello sprofondo di una 'grava' (Zazzana inesplorabile!), nell'oblìo di una macchia, di un bosco o di una foresta incontaminata? Ma a chi, con predilezione emblematica, affida egli la sua parola? Al vento delle fronde o a quello delle onde? o a un impeto più profondo in grotte e caverne?
Il vento, questo indomabile esecutore della musica più varia, ora eccita sistri finissimi nei boschi, nelle forre e nelle valli; ora, mentre scrivo, divora estese boscaglie arse dal sole, accese dalla mano distratta o dolosa dell'uomo; ora scuote e sconvolge grotte e antri con respiri e sospiri profondissimi; e tu esiti a riconoscere se il Gargano ha lingua, voce, parola più propria nella verde salute del popolo vegetale o nell'azzurra libertà delle onde che tramutano le grotte in gole eloquenti.
Quando la montagna non era che una vasta, folta chioma di querce e di roveri, avveniva che questi solenni alberi lottavano vittoriosamente contro la violenza dei venti aquilonari (aquilonibus querceta Gargani laborant [Horat. Libro 11 Ode 9, NdR]). Nel cuore augurale del poeta v'era la certezza della quiete dopo ogni tempesta. Ma, con la spinta delle frastornanti platee romane, i ricordi d'infanzia destavano nella sua mente il fantasma puerile di un enorme bue muggente sotto la sferza dei venti nordici (Garganum mugire putes nemus [Horat. Libro 11 Epist. 1, NdR]). Con la fantasia del pittore doganiere, mi piacerebbe vedere dipinto in fondo alla pagina del Tavoliere questo Gargano trasformato in un enorme bue. Comunque laborare e mugire, combattere con fatica e mugghiare, sono azioni di un bue che sfuma nella nebbia di un mito e che solo permane nella poesia del pugliese-lucano Orazio. Non ci pare quindi che la voce del Gargano sia quella del muggito e la sua parola quella di un toro. Riferito a un tempo robustamente primitivo, l'immagine può non sembrare irriverente, ma certo non più rispondente, ora che questa terra, una volta irsuta, ci mostra le sue ampie calvizie dal Celano al Calvo e agli altri colli minori digradanti verso la pianura, e cioè in faccia a Venosa.
Chi invece vuol conoscere il condizionato temperamento psicologico, sociale e religioso di questa gente, chi vuol comprendere il dolente spirito immanente di questa terra deve rivolgersi all'acqua e interrogarla. Badare più alla sua assenza che alla presenza: una presenza, tolta la fortunata plaga del Vichese, da auscultare preziosamente stillata in grotte e caverne. L'acqua del mare poi assedia quest'isola sitibonda e insala tutte le sorgenti a pie' del monte.
Chiediamo aiuto di nuovo a un poeta; e questa volta a un moderno latino. Con entusiasmo azzurro, il francese Valéry Larbaud una volta esplose in questo grido lirico: 'Ovunque il mare parla in italiano'. Riferita a questo mare Adriatico, anche la parola del Gargano è un canto a due voci; dove l'assenza e il silenzio, come pause e ritmi, hanno costituzionali funzioni espressive.
Doppio il volto, doppio il linguaggio. Simile al gemino dio Giano, bifronte è il suo volto: verdazzurro il profano, caro all'uomo estivo e al turista d'ogni paese; rosso il sacro, caro alla gente devota d'ogni parte del mondo.
Il dialogo marino è uguale e comune a ogni riva e costa adriatica in giorni d'accalmìa, quando la maretta parlotta e ciangotta tra scogli, anfratti, piccoli fiordi e lidi di distesa beatitudine. È la buona voce familiare di tanti giorni feriali e seriali; la buona voce amica dell'acqua che conforta e rassicura in ore di smarrimento, come avvenne a Renzo udendo la voce dell'Adda.
Di mattino il sole di levante meglio illumina il Gargano e rosea la luce fuga le ombre di ogni antro. Allora si respira sole, fuso con l'acqua: si nuota nella morbida seta rossa dell'aria; le mani la dipanano e la tessono, mentre il remo incide il sangue dell'acqua.
Qui sia lecito, come per essere cullato dalla nenia di una litania, indicare agli altri e ripetere a me sottovoce questi nomi favolosamente vivi, guidato dal remo esperto di un pescatore solitario: un marinante.

Se la rabbia veloce della bora spazza l'Adriatico, incontra questo antemurale del Gargano. L'urto, che frena l'impeto della sua libertà, la rende più furente. Sotto la sua azione si sconvolge il volto della terra e si tempra il carattere di questa gente volitiva e puntigliosa, tenace e scontrosa. Lottare è dunque il quotidiano comandamento.
Allora un desiderio di cieli fuligginosi corrode e stempera la primitiva volontà ferrigna e ci si avvia al Nord, confortabile e redditizio paese. Ma vi è chi si nasconde ostinatamente nelle cose più care, nella tradizione tradita; vi è chi si rassegna umilmente al poco per sentirsi felicemente più povero. Ed è la pazienza la più eroica virtù del vero garganico.
Disperazione, rassegnazione, pazienza ascetica, si aprono così le porte e le grotte del Gargano rosso e mistico, quello esposto all'implacabile aridità del sole. Qui, in punta di piedi, conviene ascoltare una voce plurimillenaria, un canto sottovoce affidato all'acqua. In queste grotte, come da una dura cervice, oscuri nembi di pietra distillano gocce con cadenze eterne. Sottolineano il lontano rombo del mondo e gli echi fanno più vasti i silenzi. Mare è qui la solitudine e si rabbrividisce alla morte del tempo.
Agglomerata in stalattiti e stalagmiti, l'acqua si fa pietra e la pietra parola di fede.
Ha voce mistica la goccia che cade sul capo scoperto del pellegrino nella grotta dell'Angelo.
Scende, come lacrime del tempo che fu, dal volto del Cristo inciso sulla roccia nella grotta di Valle Tana e lungo le pareti dipinte nell'antichissima grotta di Paglicci.
Si unisce giuliva ai popolani festanti nella grotta di Monte Nero; inneggia con la buona gente rurale e lacustre, al bel mese di maggio, in quella di San Michele presso Cagnano e stupisce nella preistorica grotta dell'Angelo presso Sannicandro con rapide immagini riflesse delle Tremiti, tra Monte Devio e i due laghi.
(E vi sono umorose caverne che sono taverne, dove avidi e inquieti visitatori odierni, come famelici segugi a caccia di piaceri, celebrano i loro riti con sacrifici a dei della vecchia e sempre nuova mitologia).
Grotte e caverne
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