Ma di fronte a questa scontrosa e solitaria montagna, che con la sua voluta conferisce rude e cavalleresca nerezza alla linea della Penisola italiana (provate infatti a togliere questo sprone e avrete uno 'stivale' cadente e scalcagnato), di fronte a questa montagna a me piace sognare tutt'altro.
Forse un giorno, stanca di trafficare col mondo, o solo desiderosa di apprendere cose nuove, essa s'è staccata dall'Appennino, cioè dalla materna spina dorsale, e si è messa a veleggiare incontro al sole nascente, come una grande fantastica nave, fermandosi poi incantata e dimentica in mezzo al mare. Questo, s'intende, quando ancora le montagne potevano camminare e avere gli stessi desideri di Ulisse: viaggiare per l'ardente sete di conoscere. Non a caso Diomede, d'Ulisse il compagno in frode, dopo la guerra di Troia e le amarezze provate presso il focolare domestico, approdò e volle morire in questi luoghi.
Qui il tempo s'è davvero fermato con una sua particolare aura magica; e forse ancora per poco...
Allora il viaggiatore sagace e fiducioso, venuto un po' in dimestichezza, s'accorgerà di molte cose e scoprirà con letizia tanta nascosta poesia. Al piede del Gargano, vasti laghi, estese lagune e paludi, abitatissimi da pesci e volatili diversi, sono come sommersi da un savio e mistico silenzio. Somigliano ora all'aspra Maremma Toscana, ora ai trasparenti laghi alpini, ora, addirittura, al paesaggio olandese, per quel verde tenerino e innocente che affiora tra i frequenti specchi d'acqua.
I monti, ricoperti da vegetazione ricca e varia nella zona settentrionale e centrale, si mostrano nudi, carsici, spaventosamente scheletrici in vista del Tavoliere, come volti scarniti dalla meditazione, su quella piana sconfinata cara a Re Enzo di Svevia. E la veduta dall'alto del Gargano di queste pianure, nella varietà delle sue culture e colori, velati dalla lontananza, specie a maggio, allora che il vento sommuove questo strano mare vegetale, è uno spettacolo di rara bellezza e che dà un dolce sgomento quando improvviso appare, e infinito, tra monte e monte.
E selve di pini dal largo respiro, poste a fantasioso ricamo del cielo e del mare; e boschi di faggi, di aceri e di querce, già noti alla poesia di Orazio, estendersi per decine di chilometri come solenni, deserte cattedrali. Di tanto in tanto, doline remote e grandiose più che stadi o anfiteatri; e caverne e grotte lunghissime con una misteriosa lor vita sotterranea. È tale il silenzio di questa terra carsica da aver abolito ovunque il fresco mormorio dell'acqua sorgiva.
Terra rossa, ma fertile e che l'industre contadino si ostina a coltivare e a salvare dalla furia degli agenti atmosferici, recuperandola fra interminabili pazienti macerie, disposte a terrazza; macerie che, quando il terriccio non è più, hanno l'erma bellezza di cimiteri, o meglio, di campi di battaglia abbandonati.
A proposito della varietà del paesaggio garganico, ben a ragione un illustre e attento viaggiatore ebbe a notare: 'una piccolissima Italia, ancora inedita, quintessenziata, con degli abitanti sui generis, con un Appennino e dei laghi tutti per lei, e con un assaggio compendioso e istruttivo (sopra una lunghezza di settanta e una larghezza di quaranta chilometri circa) del colore e delle caratteristiche di paesaggio e di cultura di molte, se non di tutte le altre terre italiane di maggiore spicco: voglio dire con un poco di Liguria e un poco di Sicilia; un poco d'Istria e un poco di Toscana; un poco d'Umbria e un poco di Calabria; un po' di Capri e un po' di Ciociara... Pensate dunque che bellezza! Una piccola Italia così poco conosciuta dagli stessi italiani'.
E che dire dei paesi e degli abitanti? Paesini candidi e curiosamente affacciati sul Tavoliere (Rignano), adagiati in una conca valliva sonante d'opere (San Marco in Lamis), come scrigni aperti sulle colline in vista del mare o del lago (Sannicandro, Cagnano, Rodi), scavati nella roccia rabbiosamente zappata dal mare (Peschici), appollaiati come folti nidi di falchi a ottocento e più metri (Monte Sant'Angelo).
Gente laboriosa e radicata tenacemente al suolo, in lotta con gli elementi: che non si spaventa della solitudine, dei mali e della morte; e che, una volta, scendeva, a ogni stagione, compatta come un esercito a lavorare e mietere gli sterminati campi di Puglia. Raggruppata in grossi centri, posti a enormi distanze fra di loro, sì che ti avviene che per miglia e miglia non incontri anima viva, né casa. E come inatteso miracolo ti colpisce improvviso il canto del boscaiolo.
La montagna
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