Da Qualesammarco, Nr. 1 di Febbraio 1994
Quell’Italia allo specchio somiglia al sud
di Sergio D’Amaro
Nel ‘93 sono usciti due libri che hanno contribuito con un ben riconoscibile stile polemico e divulgativo a risollevare, da punti di vista diversi, storia e natura attuale della questione meridionale. I libri sono Sud, specchio d’Italia di Giovanni Russo (ed. Liguori, Napoli, introd. di F. Erbani, pp. 311, L. 35.000) e Breve storia dell’Italia meridionale dall’Ottocento ad oggi di Piero Bevilacqua (ed. Donzelli, Roma, pp. 176, L. 25.000).
Russo ha raccolto articoli e interventi, per lo più usciti sul Corriere della Sera, e li ha distribuiti per temi, lasciando ad Erbani il compito di sintetizzarne il contenuto in appositi cappelli premessi a ciascuna sezione. Russo, ci sembra, insiste appassionatamente sulla necessità di una rilettura globale della questione, anzi di un ritorno del Sud come questione, come il problema per eccellenza contro la sottocultura del meridionalismo burocratico e di Stato.
Il punto essenziale della soluzione del problema passa attraverso la carenza e l’assenza della programmazione nazionale, che sola può coordinare le politiche economiche e sociali. Questo implica (come lo stesso Russo più volte ribadisce) una rifondazione dello Stato, una revisione in profondità delle istituzioni e della Cultura di governo. Ancora una volta, cioè, il Sud coincide col problema tipico di tutta l’Italia, che è un allontanamento irresistibile quanto fatale dallo spirito del Risorgimento, dalla unitarietà del suo orizzonte nazionale, dalla mentalità razionale dei suoi obiettivi. La causa del divario sta nella vanificazione degli sforzi per fondare uno Stato moderno, liberale, borghese e democratico; la persistenza di quel divario sta nel ritorno ad un nuovo feudalesimo, nella degenerazione assistenziale delle istituzioni, nell’uso arbitrario delle risorse pubbliche.
E come se, nonostante e anche grazie alle grandi trasformazioni della Riforma Agraria e soprattutto dei 25 anni più massicci della Cassa per il Mezzogiorno (dal ‘50 al ‘75), si fosse ripiombati in un rinnovato medioevo dominato dal sistema baronale delle concessioni riguardanti edilizia ed opere pubbliche. Contro tale sistema Russo lancia i suoi strali più energici ed è di esso che ricostruisce efficacemente le complicate trame: “Questo sistema ... ha sviluppato il collegamento tra consulenti, tecnici, esperti e persino magistrati ... Si tratta di vere e proprie finanziarie di natura neofeudale e che si dividono il territorio, distribuiscono favori, pagano tangenti, impongono i loro candidati nelle elezioni politiche, nelle banche, negli uffici e sono diventate i veri detentori del potere nel Sud ... I concessionari progettano le loro opere, le danno in appalto a condizioni esose, che solo le imprese mafiose possono accettare dato che non temono concorrenza. Questo nuovo ceto costituisce quella che è stata chiamata la “borghesia lazzarona” del Sud.
Il riscatto da questa situazione appare come un’impresa davvero enorme. Occorre risanare città ipertrofiche, ridare fiducia alle industrie piccole e medie, riformare le Regioni, assorbire la disoccupazione intellettuale, sottrarre il territorio al collasso ambientale. Non basta, chiaramente, una classe dirigente all’altezza del compito, occorre rivolgersi e subito alla ricerca, alla scienza, a cominciare dalle risorse che già ci sono. La politica non va disgiunta alla cultura, che è parte così importante della storia meridionale (dai riformatori settecenteschi, all’Istituto Italiano di Scienze Filosofiche di Napoli, a Tecnopolis).
Con intenti di cordiale divulgazione storiografica si presenta, invece, il libro di Bevilacqua. Nell’Introduzione, l’autore dichiara subito che il suo lavoro intende contribuire a combattere gli stereotipi della diversità e i pericoli di folclorizzazione a cui il Sud è sottoposto attraverso i mass media, mentre invece c’è bisogno di guardare alla questione con gli occhi disincantati della scienza storica che cerca di razionalizzare i suoi dati.
Dopo un opportuno excursus sul periodo preunitario, durante il quale non è da sottovalutare non solo l’azione del Decennio francese, ma anche della monarchia borbonica, l’attenzione di Bevilacqua si appunta decisamente sui decenni tra ‘800 e ‘900. Quel che mancò sostanzialmente allo sguardo non certo avveduto dei nuovi governi fu l’armonizzazione tra le due parti d’Italia e lo sviluppo quindi a velocità diversa del Nord (sempre più nettamente caratterizzato dall’industrializzazione) e del Sud (sempre più succube di una mentalità assistenzialistica, e perciò subordinativa ed emarginativa). Sebbene quest’ultimo avviasse una politica imprenditoriale in agricoltura e trasformasse i suoi ceti borghesi, non riuscì mai a coagulare intorno a tale tipo di sviluppo economico la società civile e quella politica. Dallo scollamento dell’una e dell’altra, dal ripiegamento puramente conservativo sui privilegi da parte delle classi dirigenti e produttive, dal sostegno dato ad una prestigiosa quanto astratta Cultura filosotico-letteraria, dal sovvertimento istituzionale del fascismo, sortì infine il destino delle regioni meridionali. Eppure non erano mancate importanti esperienze manifatturiere in Campania, Puglia e Sicilia, ma da sempre scarsezza di mercati ed di imprenditori e posizione geografica ne avevano deciso il non rilevante peso complessivo.
Solo la riforma agraria e la Cassa, istituita nel secondo dopoguerra, consentirono un’effettiva rivoluzione della realtà meridionale.
Almeno il 60% delle aziende agricole, nate con la Riforma, prosperarono negli anni, ma il risultato ancora una volta ricadde di più sui ruoli sociali che sui trends di sviluppo economico. La Riforma, del resto, fu sostanzialmente l’espressione di un’egemonia non partitica (la DC), né la Cassa, con il suo enorme flusso monetario, creò effettivamente quella società civile, quell’armatura di servizi, di industrie, di canali politici moderni che avrebbero permesso il decollo della comunità.
Sicché tutto il discorso di Bevilacqua sembra confluire con quello vivo e militante di Russo, sembra offrire le prove a ciò che, partendo fin dalla lontana eversione francese della feudalità, è stata una serie impressionante di grandi potenzialità e di effettive vanificazioni di grandi rivoluzionarie riforme e di travolgenti restaurazioni neo-feudali.
06 - 1994-2 - Sergio D'Amaro - Sud, specchio d'Italia
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