Qualesammarco, Nr. 2, Settembre 1988
I cassetti di Robinson
Ben presto i “Cassetti” riceveranno altri due scartafacci. Accanto ad una raccolta di liriche, di cui parleremo con maggiori dettagli la prossima volta, finalmente un lavoro di ricerca: una tesi di laurea sul dialetto usato dai nostri emigrati all’estero. La tesi è di Angela Gaggiano, di cui pubblichiamo, in questo stesso numero, una lettera. Questo per sottolineare che noi crediamo nei giovani, nella loro capacità di impegno, nella loro serietà di studio.
Avevamo promesso, nello scorso numero, di dare lo spazio che meritava a Mario Lombardi, 33 anni, emigrato e provvisoriamente disoccupato. Manteniamo l’impegno e pubblichiamo una (sola) lirica delle 21 che cl ha consegnato e che sono datate tra il marzo ’85 e il marzo ’86 (due di esse
risultano composte o trascritte a Bologna, le altre a S. Marco).
Nei versi di Mario si sente uno strazio particolare, una consapevolezza cocente della verità della vita. Nella serratura che separa la realtà dall’annullamento, Mario infila la chiave sottile dell’amore e del sogno, compie il tentativo di una tenera e rabbiosa riappropriazione della felicità, negata
per lo più a chi è schiacciato dal grigiore della sua sicurezza. Le immagini di Mario giocano tra oggetti comuni e metafore seducenti, tra intuizioni fiabesche e percorsi di città sporche e ipocrite. C’è come il senso di una perdita irreparabile, di una scissione insanabile che allunga la sua ombra nei più intimi ripostigli dell’esperienza dell’uomo contemporaneo, che lo fa ancora più di prima assetato di un “Centro” all’interno di una sfera sempre più somigliante ad un’ellisse.
Un sogno
Il castello della dolce follia si erge nella contrada delle osterie.
Sono tutti savi i cavalieri della torre.
Nei corridoi le tovaglie della musica cambiano continuamente
colore e tonalità.
Io non ho creduta ai miei occhi
quando ho visto un mazzolino di viole nella scarpa del barone.
Ai margini del tramonto vive l’ispirazione.
La signora della città regala la sua bocca di seta ai sognatori
ma la mia malattia non cerca doni
I calici danno la dimensione delle stelle quando il vento porta
nelle strade i rifiuti della fosforescenza.
Al risveglio la folla imbandisce la tavola di lusso.
L’uragano ha la chiave della direzione
e sento il fiato della piazza conficcarsi nel letamaio delle maschere.
La lacuna del tutto e del nulla alza il riso nella taverna
mentre assaporo un sorso d’agguato.
Il carro perde l’equilibrio
e gli artigli della belva accaldata sul sesso di Mara aprono una
breccia alla noncuranza delle trasparenze
per dire che non c’è tempo per le iniziative.
Mario Lombardi
Qualesammarco, Nr. 2, Settembre 1988
I cassetti di Robinson
Ben presto i “Cassetti” riceveranno altri due scartafacci. Accanto ad una raccolta di liriche, di cui parleremo con maggiori dettagli la prossima volta, finalmente un lavoro di ricerca: una tesi di laurea sul dialetto usato dai nostri emigrati all’estero. La tesi è di Angela Gaggiano, di cui pubblichiamo, in questo stesso numero, una lettera. Questo per sottolineare che noi crediamo nei giovani, nella loro capacità di impegno, nella loro serietà di studio.
Avevamo promesso, nello scorso numero, di dare lo spazio che meritava a Mario Lombardi, 33 anni, emigrato e provvisoriamente disoccupato. Manteniamo l’impegno e pubblichiamo una (sola) lirica delle 21 che cl ha consegnato e che sono datate tra il marzo ’85 e il marzo ’86 (due di esse risultano composte o trascritte a Bologna, le altre a S. Marco).
Nei versi di Mario si sente uno strazio particolare, una consapevolezza cocente della verità della vita. Nella serratura che separa la realtà dall’annullamento, Mario infila la chiave sottile dell’amore e del sogno, compie il tentativo di una tenera e rabbiosa riappropriazione della felicità, negata per lo più a chi è schiacciato dal grigiore della sua sicurezza. Le immagini di Mario giocano tra oggetti comuni e metafore seducenti, tra intuizioni fiabesche e percorsi di città sporche e ipocrite. C’è come il senso di una perdita irreparabile, di una scissione insanabile che allunga la sua ombra nei più intimi ripostigli dell’esperienza dell’uomo contemporaneo, che lo fa ancora più di prima assetato di un “Centro” all’interno di una sfera sempre più somigliante ad un’ellisse.
Un sogno
Il castello della dolce follia si erge nella contrada delle osterie.
Sono tutti savi i cavalieri della torre.
Nei corridoi le tovaglie della musica cambiano continuamente
colore e tonalità.
Io non ho creduta ai miei occhi
quando ho visto un mazzolino di viole nella scarpa del barone.
Ai margini del tramonto vive l’ispirazione.
La signora della città regala la sua bocca di seta ai sognatori
ma la mia malattia non cerca doni
I calici danno la dimensione delle stelle quando il vento porta
nelle strade i rifiuti della fosforescenza.
Al risveglio la folla imbandisce la tavola di lusso.
L’uragano ha la chiave della direzione
e sento il fiato della piazza conficcarsi nel letamaio delle maschere.
La lacuna del tutto e del nulla alza il riso nella taverna
mentre assaporo un sorso d’agguato.
Il carro perde l’equilibrio
e gli artigli della belva accaldata sul sesso di Mara aprono una
breccia alla noncuranza delle trasparenze
per dire che non c’è tempo per le iniziative.
Mario Lombardi