Chiuso il convento ed andati via i frati durante la prima guerra mondiale, ne ebbe cura un prete regolare del capitolo di S. Marco in Lamis, il sacerdote Tommaso Ianzano. Questi limitò la sua attività alla celebrazione della messa domenicale per i contadini della zona e a tenere aperta la chiesa nel periodo del pellegrinaggio a S. Michele.
Non potendo più il buon don Tommaso dimorare a Stignano per la sua tarda età, la decadenza fra il 1935 e il '40 si convertì in rapida morte. I resti di una biblioteca furono trasportasti a S. Matteo dai frati, preoccupati che non andassero a finire nelle mani dei privati o a rimpinguare in qualche modo, come si era illegalmente minacciato, la istituenda biblioteca provinciale di Foggia.
Il convento abbandonato a se stesso, fu in breve tempo spogliato e depredato di ogni cosa, finché sul finire della seconda guerra mondiale agli attivi e benemeriti frati minori successero, ahinoi!, come grotteschi inquilini, pecore e capre.
Pietosa fine!
Una rinascita di Stignano dalle sue ceneri doveva sembrare un'opera di vero miracolo di fede e di intraprendente tenacia, non inferiore a quella dei frati fondatori e dei Pappacoda.
Come nella grande così in questa piccola storia è da pensare a certi ritorni, coincidenze o ricorrenze concatenate di nomi, di persone o fatti.
Si avvertono non vichiani grossi ricorsi ma ritmici ritorni che lasciano pensosi.
Chi chiude, con un gesto di esasperata energia nel 1832 il pozzo contestato è padre Ferdinando da S. Nicandro. Chi riapre il convento, dopo gli effetti della legge Vacca, e vi ritorna con una certa soddisfazione, è lo stesso padre Ferdinando. Chi nel 1915 ordina la definitiva chiusura di Stignano è il provinciale padre Anselmo Laganaro . Chi nel 1953 acconsente alla riapertura del convento è lo stesso padre Laganaro. Ci risulta che l'assenso fu dato con titubanza e scetticismo, richiamandosi forse il provinciale a tristi precedenti. Egli comunque vi acconsentì perché trascinato dalla tenacia intraprendente di un giovane padre.
Era il maggio odoroso e la valle si mostrava agli occhi di padre Gerardo, docente nel collegio teologico di San Matteo e incaricato della settimanale celebrazione della messa, nell'ormai derelitto santuario, piena di incanti e di attrattive. L'idea di risiedere in quella valle, unita a quella di restaurare ab imis un monumento insigne per pietà religiosa, per venustà d'arte e interesse storico, divenne la ragion d'essere della sua esistenza. Ma la realizzazione di un programma tanto ambizioso comportava il superamento di una molteplicità di problemi di non facile soluzione. Tutto il plesso offriva uno spettacolo malinconico e pietoso di fatiscente rovina entro cui si aggiravano, non metaforicamente, pecore e capre di dubbia provenienza.
Prima di dar corso a ogni sia pur timido o audace tentativo bisognava anzitutto rimuovere due ostacoli inizialmente insormontabili: l'eliminazione di quello stazzo ignobile tra nobilissime pareti e il definitivo superamento della secolare controversia coi Centola. E nell'uno come nell'altro impegno il De Lorenzo mise in luce il suo carattere duttile non disgiunto però da garbo e fermezza insieme nel ricoprire ruoli diversi e talora apparentemente in contrasto. La sua pervicacia non disarmò di fronte a chi operava oltre la legge, ottenendo il definitivo allontanamento dal santuario degli occupatori abusivi e seppe chiedere con umiltà a chi per via di legge ne risultava comunque il legittimo proprietario.
Ci riferiamo cioè al già citato padre Gerardo e al dottor Francesco Centola, medico e pediatra, erede dei suddetti Centola.
La chiesa è stata riportata alla sua pristina, semplice, austera bellezza: è stato abbassato il pavimento e si è ottenuto un migliore risalto dello slancio architettonico. Pareti e altari hanno riacquistato nel restauro una più armoniosa compostezza con rispetto della primitiva linea sobriamente decorosa. Uguale cura e premura abbiamo notato nei restauri dei due bei chiostri e nel rifacimento di celle, sale, refettori e altri ambienti razionalmente ridistribuiti. Se c'è da lamentare che qualche cosa, cara al volto di un tempo, è ormai scomparsa, ciò è da attribuire più allo stato rovinoso in cui essa è stata trovata e quindi all'impossibilità della conservazione e non tanto alle necessità imposte dai nuovi criteri di restauro; alludiamo al sacrato, al coro e, perché no, alla corale ritirata dei frati di una volta. Dopo tanto silenzio finalmente nel Natale del 1957 si
Intelligenza viva, nativa sensibilità per il bello, profonda fede nei valori dello spirito e della ragione umana, padre Gerardo è anche un uomo aperto alla complessa problematica moderna perché crede nella forza intrinseca delle opinioni ma resta saldamente ancorato a quegli ideali che non sono tradizionali, ma di sempre, e che sono a fondamento non solo della cultura religiosa ma anche di quella civile e sociale.
Questo spiega l'enorme numero di amici e benefattori che è stato capace di crearsi assecondando quei fini della Provvidenza cui egli si richiama nei momenti difficili. Va anche aggiunto che egli si è caricato di un peso collaterale non lieve: la creazione di un orfanotrofio che è certamente la nota più viva, benefica e commovente della sua vasta operosità.
In tanto fervore di opere da padre Gerardo promosse si affianca anche l'attività saltuaria di convegni di studi, di periodi di esercizi spirituali per religiosi, di convegni di vario genere e di momentaneo riposo e di ristoro dai viaggi di pellegrini diretti a S. Giovanni Rotondo e Montesantangelo, nonché la istituzione del sodalizio di cultura 'Contardo Ferrini' e di un centro di addestramento professionale.
E' necessario però dare all'’Oasi’, come bene è stata ribattezzata, un più lungo e sicuro respiro.
Ci si augura che tutto ciò non si concluda, come purtroppo sta accadendo (grassetto del webmaster), come iniziativa personale di un solo frate, destinata cioè a durare la vita dello stesso, ma che si crei una permanente famiglia religiosa continuatrice di un'opera di così alto valore religioso, umano e civile.
Sorprendente rinascita
powered by social2s