Da Archivio Storico Pugliese del 1983
Un'oasi francescana garganica - Santa Maria di Stignano
Occorre pertanto soffermare l'attenzione su specifici e peculiari aspetti del santuario per ricavarne un quadro d'assieme che dia, a chi ne ha interesse, un'idea sufficientemente esaustiva del suo sviluppo dalle origini ai nostri giorni.
Ci pare questo il modo più valido per 'rivisitare' pagine già note a quanti hanno avuto tra le mani un agile volumetto compilato da Pasquale Soccio e da chi scrive (Nota 1) e del quale si auspica una nuova edizione non tanto per modificare l'impianto narrativo, quanto per ampliarne e rettificarne alcune parti con l'apporto di una recente acquisizione di materiale archivistico e bibliografico.
'Da due falde del monte nasce una valle, non meno spaziosa che amena, detta comunemente di Stignano, nella quale fra molte altre chiesette abitate da esemplari romiti, vedesi innalzato un vago e magnifico tempio dedicato alla madre di Dio ed ivi annesso un ben'ordinato e capace convento di padri minori osservanti di San Francesco.
Ricco di storia e insigne per arte, trae le sue origini in epoca medievale. Il suo nome infatti lo si trova, per la prima volta, citato in un 'instrumentum' della chiesa di San Claudio presso 'Casale Novum', conservato nell'Archivio di Stato di Napoli (mon. sopp., 8, 821) e proveniente dal fondo di San Leonardo di Siponto, costituito da 474 pergamene. In esso si fa esplicito riferimento ad un 'olivetum iuxta olivetum S. Nicolaj de Bantia et iuxta olivetum Sanctae Mariae in Valle Stiniano' (Nota 4).
L’instrumentum, redatto dal notaio Nicola da San Severo il 21 settembre 1231, fu sottoscritto dai giudici Rainaldo e Ruggiero, dal vescovo Roberto di Volturara e dai testimoni presenti alla stesura dell'atto Nicola de Berardo, Rainaldo, Goffido e dal milite Filippo Longarello.
Il culto dunque della Vergine nella valle doveva preesistere alla leggendaria apparizione del 1350 al cieco di Castelpagano di ben 119 anni.
Il mito cede finalmente il passo alla storia rimanendo solo come segno di un ulteriore e più vasto incremento della venerazione mariana oltre gli angusti limiti della provincia. Né giovano altre ipotesi, basate su inquietanti letture 'litiche', per pescare le radici di Stignano in epoca addirittura bizantina.
Ma per rinvenire un altro dato utile alla conoscenza del santuario bisogna risalire ai primi anni del XVI secolo.
Signore di Castelpagano era Ettore Pappacoda (Nota 5), un nobile napoletano, al mecenatismo del quale si deve se, sul finire del 1515, al posto del modesto oratorio, si costruì una chiesa di severa compostezza rinascimentale (Nota 6).
In un afoso pomeriggio del luglio 1627 però una terribile scossa sismica, investendo violentemente l'intero plesso, vi arrecava morte e rovina lasciando i superstiti frati nella più cupa desolazione (Nota 8). Sulle innumerevoli difficoltà del momento ebbe il sopravvento il tenace attaccamento dei francescani, tra i quali si distinse Salvatore da Morrone, a quel sacro luogo e dalle scomposte macerie risuscitò, più maestoso di prima, un tempio che Vincenzo Maria Orsini , arcivescovo di Manfredonia e poi papa Benedetto XIII (correzione del webmaster. L'edizione dell'Archivio Storico Pugliese riporta Benedetto XII), solennemente consacrò nel 1679. Il convento aprì le porte per continuare a svolgere la sua missione e per dare asilo ai romei che ogni anno, nel mese di maggio, a piedi, salivano salmodiando sul Gargano per rendere omaggio al suo protettore.
Ma le torbide onde politiche degli avvenimenti umani raggiungono anche questa tranquilla valle e ne turbano quella connaturale aura di perenne serenità.
Lo spopolamento di Castelpagano, che ha ormai perduto la sua importanza strategica e i moti popolari napoletani del '47 condizionano l'attività dei francescani che, consenzienti o no, concedono rifugio a nobili in fuga e ad avventurieri di ogni risma. E cupe figure di borbonici, sanfedisti e malfattori si aggireranno tra i chiostri all'epoca della repubblica partenopea e all'indomani dell'unità nazionale.
Il simulacro della Vergine fu trasportato a San Marco in Lamis e nelle celle dell'eremo si alterneranno soldati del genio per l'apertura della rotabile San Severo-San Marco e militari di linea per la repressione del brigantaggio i cui residui bagliori sinistramente illumineranno l'ampio arco di un fornice (Nota 10) che unisce la chiesa alle case di Antonio Corigliano, barone di Rignano, e le pagine del De Amicis (Nota 11) e di Bacchelli (Nota 12).
Scrisse in merito un cronista: 'Il 28 aprile 1878 segna una memoranda data nella storia religiosa di San Marco' poiché 'riaperto il convento ai miti francescani' la Madonna vi ritornò 'fra l'esultanza del popolo con l'intervento del compianto monsignor Geremia Cosenza' (Nota 13).
Gradualmente, pur tra mille difficoltà di vario genere, i nuovi superiori tentarono di rimarginare le profonde ferite che la chiusura prima e l'alienazione dopo avevano arrecato al santuario.
Fatto sta che sul finire del secolo numerosi furono i giovani che qui indossarono il saio e proprio in una occasione del genere don Luigi Nardella, un frate secolarizzato, così concluse la sua 'allocuzione':
Oggi i figlioli di San Francesco vivono in società private sotto l'usbergo delle patrie leggi: ma ci auguriamo non lontano il tempo in cui i pubblici poteri li riconosceranno quali essi sempre furono e sonò nelle proprie celle amici di Dio e della patria (Nota 14).
Ultimi guizzi di una lampada che si spegne negli oscuri tempi che precedono e seguono la prima guerra mondiale e che videro, ancora una volta, l'abbandono del posto perché all'estenuata volontà degli uomini subentrava la forza degli eventi.
È del 9 ottobre l'ultima lettera che Francesco Luigi Masulli , vicario provinciale, indirizzò all'avvocato Marco Centola (Immagine) :
Mi dispiace doverLe annunziare, così egli argomenta, che il definitorio non ha creduto bene accettare le proposte che la signoria vostra fece al padre Anselmo Laganaro , riguardo al convento di Stignano; per conseguenza essendo quel fabbricato nelle condizioni attuali, inabitabile e forse di pericolosa dimora, sono stato costretto a dar ordine che i frati che vi abitano sgombrassero il convento e ne dessero alla signoria vostra formale consegna. Il culto della chiesa sarà mantenuto come meglio si potrà ed i frati del convento di San Matteo ogni festa scenderanno a Stignano per Celebrare la santa messa e le altre funzioni di occasione. Mi duole che forse queste disposizioni dispiaceranno non poco non solo alla signoria vostra ma a tutta San Marco, ma io non saprei che farci; è certo che attualmente Stignano non è abitabile è per conseguenza io, in coscienza, non potrei obbligare nessuno dei miei sudditi a dimorarvi per forza (Nota 15).
Nel 1936 il generoso tentativo della famiglia Centola, onde ovviare, a tanto scempio, di donare il convento, con esclusione della chiesa 'di proprietà del vescovo di Lucera' e del 'fabbricato adibito ad uso di casino per la villeggiatura della medesima famiglia', all'Amministrazione Provinciale di Foggia per una non ben definita destinazione 'a servizi di pubblica utilità' si disperse tra una colluvie di pratiche e di atti amministrativi destinati ad ingrossare i depositi archivistici di Palazzo Dogana.
Vivo il disappunto del preside Giustiniano Serrilli , ispiratore della donazione, sia per una complessa serie di obiezioni burocratiche sollevate dalla prefettura in merito alla 'graziosita dell'atto' e sia per la difficoltà di reperire tra le pieghe del bilancio in corso la 'peritale' somma di 35000 lire, necessarie per il ripristino di un 'pianterreno con 26 vani, con ingresso, stalle, magazzino, forno, refettorio ed altro e primo piano di 36 vani o celle, oltre ad ampi corridoi e con due grandi cortili, coltivati a giardino con due grandi conserve d'acqua nel centro di ciascuno di essi' (Nota 16).
Dire quanto impegno in un trentennio sia stato profuso perché Stignano riprendesse, con accresciute esigenze, il suo luminoso cammino significa aprire una fitta pagina da leggere forse in altra sede; ma significa pure mettere sul tappeto una serie di problemi la cui soluzione trascende la volontà e la forza di chi, da solo, tenacemente resiste all'attuale isolamento morale e materiale.
Una generale crisi di vocazioni religiose incombe anche sull'oasi di Stignano minacciandone la sopravvivenza. Né si intravedono, almeno per il momento, misure per un'adeguata valutazione del caso né purtroppo mancano segni premonitori per un altro esodo dalle conseguenze irrimediabilmente disastrose.
Con siffatta prospettiva non resta che affidarsi manzonianamente alla divina Provvidenza per la conservazione di un monumento che è, a un tempo, simbolo di fede e testimonianza di civiltà.
Tommaso Nardella