| Scriveva P. Mario Villani, ofm, nel 2001: 'I frati minori già dal 1559 nel Capitolo Generale di Valladolid avevano stabilito che Nullus ad Sacerdotium deinceps promoveatur nisi fuerit Grammaticus. Organizzarono quindi gli Studia Generalia. Nella nostra provincia di S. Michele Arcangelo, dopo alcuni esperimenti (nel 1532 a Calitri, nel 1541 a Lecce) agli inizi del sec. XVII lo Studio Generale di Teologia si attesta saldamente a Foggia nel Convento di Gesù e Maria dove vi resta fino alla soppressione murattiana del 1811. A Foggia insegnò anche p. Michelangelo Manicone, che aveva come collega p. Giuseppe Campanozzi da S. Marco in Lamis. |
P. Antonio Fania da Rignano Garganico (Nota 7)


Lettore generale di filosofia, nel 1829 ritornò in Provincia, e fu destinato al convento della Pietà a Lucera, ove si dedicò all'insegnamento. Nel Capitolo provinciale del 7 novembre 1835 fu eletto Ministro provinciale. Aveva appena 31 anni. La sua azione di governo s'inseriva provvidenzialmente in quel periodo di restaurazione della Provincia, già iniziato con il ritorno dei frati nei conventi. Azione improntata su una triplice direttiva: osservanza della regolare disciplina senza indulgere a pretesti o privilegi, a consuetudini o prescrizioni non leggittime; condurre la amministrazioni dei conventi con giustizia, integrità ed oculatezza; rianimare in tutta la Provincia “lo spirito di letteratura, di eloquenza e di erudizione nelle scienze sì sacre che profane” (Nota 12).
Per promuovere la riforma della vita religiosa - egli osserva - non occorre promulgare sempre nuove leggi, ma è necessario mettere in vigore le antiche, non bisogna introdurre rigidezze ed austerità, ma far rifiorire la vera forma di vita francescana. “Perché né leggi, né stabilimenti di sorta, a riordinare l'antico splendore valgono, se non si riforma a soavi costumi il cuore” (Nota 13).
Per la formazione scientifica dei giovani ridusse a tre soltanto le case di studio: Lucera, S. Matteo, Manfredonia, facendole dichiarare, dal Vicario generale p. Giuseppe D'Alessandria, Studi generali. Pochi e buoni studentati, e posti “in luoghi ove maggiore può essere la comunanza del vivere, maggiore il numero dei buoni e dei dotti” (Nota 14).
Per i buoni studi è necessario disporre d'insegnanti ben preparati. Uno dei primi atti del suo provincialato fu il concorso da lui bandito per il lettorato in filosofia e lettere (Nota 15). Esempio notevole e forse unico, quello di p. Antonio, che, da Ministro provinciale in carica e già lettore generale di filosofia, volle partecipare al concorso generale di teologia, cosa che avvenne il 2 maggio 1837 nello Studio generale di S. Maria la Nova a Napoli, sotto la presidenza del p. D'Alessandria (Nota 16), ne uscì vincitore con buona votazione.
Questo concorso, senza volerlo, apriva la via a p. Antonio verso una carriera prestigiosa. Il Generale p. Giuseppe di Alessandria della Rocca in Sicilia, intuì, in p. Antonio, il non comune talento, e l’11 luglio 1839, lo nominò Segretario generale dell'Ordine, chiamandolo a Roma nel convento di Aracoeli, ove il da Rignano dimorò senza interruzione per quasi trent'anni.
Come 'dotto ed elegante scrittore' scrisse su vari giornali dell'epoca: sul Teofilologo di Teramo, sul Filocattolico di Firenze (Nota 17), sull'Osservatore Romano; pubblicò i suoi Studi sul Cristianesimo sulla rivista La Vergine e sul settimanale Il Divin Redentore; tutto ciò in mezzo al disbrigo di gravi affari dell'Ordine che non gli davano tregua. Dal 19 agosto 1844 all'8 settembre 1850, fu Procuratore generale dell'Ordine con il Ministro generale p. Luigi Flamini da Loreto. Volle al suo fianco come segretario particolare il suo comprovinciale p. Vincenzo Mandes da Casalnuovo Monterotaro.
La carriera di p. Antonio potrebbe sembrare tutto un cammino infiorato. Ma chi è posto in candelabro suscita luce ed ombra, fuor di metafora si trova nel cerchio umano di simpatie ed antipatie. Anch'egli sentì il morso “di alcuni poveri piccoli sempre strisciantisi per terra e sempre ravvolti e molestati dalla sozza polvere, i quali contristano i buoni” (Nota 18).
'io non perdo mai, anzi vo sempre maturando il pensiero che come questo mio gran Generale avrà cessato il governo dell'Ordine, io di botto mi svincolerò di queste onorate catene e volerò siccome cervo assetato al fonte, alla madre mia Provincia, ove Manfredonia e Lucera, nomi dolcissimi al mio cuore, si spartiranno le cure della mia vita' (Nota 19).
Nel 1850, l'amico e confratello p. Francesco Frediani gli scriveva:
'Non mi venga fuori mai più con queste malinconie. Ella ha da stare in Roma, ove più che in altri luoghi, è bisogno di persone che abbiano mente e cuore' (Nota 20).

Negli anni 1850, 1856, 1862, dovendosi eleggere il Ministro generale dei frati minori, sempre si faceva il nome di p. Antonio, ma il risultato dell'urna non fu mai a suo favore. Se qualcuno dei miei lettori desidera sapere come sono andate le cose, può consultare i miei lavori (P. Antonio da Rignano, Bari 1961, e P. Antonio da Rignano a cento anni dalla morte, in Studi Francescani, Firenze 1980, n. 3-4, p. 337), qui basta dire che la mancata ascensione al generalato non era questione semplicemente di persona, ma di mentalità diverse. Era il contrasto, sempre rinascente in tempi di crisi, tra tradizionalisti e moderni. Non tutti i confratelli di p. Antonio erano d'accordo con lui su certi problemi del governo e della vita dell'Ordine minoritico, le loro idee non collimavano con le sue.

All'aura di spiccata modernità del p. Antonio, si opponeva un'aura inconscia di quasi redivivi “spirituali del Trecento”. Egli ne era perfettamente conscio: la sua corrispondenza, d'indole esclusivamente letteraria, con Pietro Giordani, ritenuto in quei tempi come un semidio in campo letterario, pur conosciuta dal Generale p. Giuseppe Maniscalco e da pochi altri, in quel tempo apparve rischiosa. Nel 1849, p. Antonio scriveva all'amico Cesare Guasti:
'In quanto alle lettere del mio tanto caro Giordani, è mio destinato che quelle lettere siano appresso di me in segreto, e che il mondo non ancora sappia che io era sì amico del Giordani. Ciò mi nuocerebbe infinitamente, ed io so quel che mi dica' (Nota 25).
Nella famosa lettera al confratello toscano p. Generoso Benedetti, del 29 luglio 1862 (poco dopo il Capitolo generale), p. Antonio confidava tra l'altro:
'Non mi hanno potuto infamare con appormi alcun misfatto. Han detto che di gentili e signorili costumi, avrei potuto di troppo ingentilire l'Ordine dei poverelli di Assisi, quasi gli avessi poi dovuto menare a danze, ed a società e feste di signori del mondo. Han detto che sono troppo scienziato, quasi che la scienza si avesse a bandire dell'Ordine francescano, già sì glorioso d'un Bonaventura da Bagnorea, e cento altri famosi dottori. Han detto che sono un poco liberale, e amico di qualche illustre liberale, e non sono stato a porta S. Pancrazio, non ho scritti libri, né articoli liberaleschi dei tempi correnti: anzi non hanno di me esperienze, che dei miei servizi alle Sacre Congregazioni romane, del mio attaccamento all'Ordine, alla verità, alla giustizia, alla scienza, alla carità verso tutti, questo è il mio liberalismo' (Nota 26).
Il tempo ha dato ragione a p. Antonio da Rignano, riconoscendo la validità della sua azione riformatrice, ma in pieno Ottocento, per confratelli, che non brillavano per senso storico, la sua impostazione programmatica era troppo ardita. Oggi, a distanza di tempo, con quel sereno distacco che decanta uomini e cose, si può chiedere: in fondo che cosa voleva p. Antonio? Egli era pienamente convinto di
'non poter i francescani adempire la missione nel mondo, se col mondo non si mettono a pari nel sapere: e dal sapere molta parte dipendere della informazione dei puri costumi'. 'I popoli oggidì, non si passano contenti di pregare noi per loro in coro, e celebrare Messe ed ascoltare confessioni, ed edificarli con l'esempio di cristiane virtù'. Vogliono questo ed altro: 'vogliono vederci discorrere le scienze in voga, essere filosofi in teologia, teologi con filosofia, eruditi con critica, critici con logica e logici non pedanti materiali, ma di spirito, cioè veri ideologi' (Nota 27). 'Noi del secolo XIX, figuriamo gli uomini dei secoli di mezzo, uomini da museo'.

Ma gli Statuti, le lettere, per verità pieni di sapienza, emanati per indicare nuovi mezzi onde si potesse giungere una buona volta a risoffiare nei nostri studi un po’ di quella vita che fu per secoli una delle più splendide glorie, restarono infruttuosi, trovarono ostacoli nelle Province minoritiche refrattarie a mettersi al passo dei tempi; all'interesse morale e vitale di tutto l'Ordine si facevano prevalere interessi morali, limitati e ristretti a luoghi e circostanze. Di più gli eventi politici in Italia già minacciavano tempi tristi per gli Ordini religiosi. Queste ed altre ragioni da p. Antonio “furono esposte per schietto e lungo ragionamento al Rev/mo Ministro generale e suo Definitorio in piena adunanza il 6 ottobre 1862” (Nota 30).
Nel Concistoro del 27 marzo 1867, Pio IX preconizzava p. Antonio vescovo di Marsico Nuovo e Potenza. La domenica 9 aprile dello stesso anno, dal card. Amat veniva consacrato nel tempio di Aracoeli a Roma. Come vescovo partecipò al Concilio Vaticano 1°. In diocesi portò lo stesso spirito animatore, voleva i suoi preti sinceramente buoni e dotti. Rimase in diocesi sino all'autunno del 1879, quando ormai fisicamente logoro, ritornò a Roma. Qui, soppressi i conventi dallo Stato italiano, e non avendo dove andare, fu accolto dall'amico Pietro Mochi nel palazzo in Via del Governo Vecchio, n. 115. Il male (anemia celebrale), che l'aveva colpito, si aggravò e la sera del 23 gennaio 1880, 'chiuse santamente i suoi giorni' (Nota 31). La mattina del 25 gennaio, il Ministro generale p. Bernardino da Portogruaro rendeva l'estremo omaggio alla salma di p. Antonio da Rignano, illustre e benemerito dell'Ordine e della Chiesa (Nota 32).
