Nuove affermazioni dei Frati Minori Osservanti (1517)
Nel secolo XV, in tutti gli Ordini religiosi, e specialmente tra i domenicani e i francescani, si manifestarono due tendenze: una rappresentata da quei frati dimoranti nei grandi conventi, con idee più larghe nell'interpretazione della Regola del proprio istituto, e vivendo con legittime dispense e privilegi apostolici; l'altra comprendeva quei frati che vivevano nelle piccole residenze, con una interpretazione rigorosa della Regola, protestando di volerla osservare nella sua integrità e senza dispense o privilegi.
I primi furono detti Conventuali, i secondi Osservanti.
Nell'Ordine dei frati minori la differenza sostanziale tra gli uni e gli altri stava soprattutto con la povertà da osservare. Il problema della povertà è stato sempre il punto cruciale di tutta la storia dei frati minori.
Gli Osservanti volevano che i Conventuali avessero rinunziato alla proprietà in comune, alle rendite stabili, ai latifondi, come cose contrarie alla Regola francescana. I Conventuali rispondevano che essi potevano vivere con tranquilla coscienza con i loro privilegi ottenuti dalla Sede Apostolica (Nota 1).
A rendere più acuto il contrasto fu la richiesta da parte degli Osservanti di avere alternativamente il Ministro generale, cosa che trovò sempre ferma opposizione da parte dei Conventuali. Inoltre la decadenza della disciplina negli Ordini religiosi era da tutti lamentata. Molti frati avevano perduta la pace. Il popolo non restava edificato. E mentre, per buona parte del Quattrocento era fuori della prospettiva sia dei Conventuali che degli Osservanti una spaccatura nell'Ordine minoritico - tutti, infatti, protestavano di non volerla - in seguito le posizioni tenacemente difese da una parte e dall'altra, si resero sempre più contrastanti, il modo di vivere così differente, che tutti i tentativi di conciliazione fallirono.
La divisione fu certamente un fatto doloroso, ma non si può negare che essa ebbe come conseguenza, una riscossa di fervore, un nuovo empito di vitalità. “L’attuazione dell’ideale di povertà nobilita le lotte fraterne placatesi solo nella divisione” (Gemelli).
L'aspirazione ad un ritorno alle origini del francescanesimo, in pieno periodo rinascimentale, fu qualche cosa di sorprendente come la stessa apparizione dei francescani nel Duecento. In un secolo XVI, tanto superbo nella sua eleganza quanto fiacco nella sua morale, i francescani non furono stimolati dall’emulare gli altri nelle agiatezze, ma dal desiderio di distinguersi e quasi primeggiare nella povertà. In fondo per che cosa lottavano quei frati? Per un ideale di vita religiosa più pura. La bolla “Ite vos in vineam meam” era la conclusione di un intimo travaglio che teneva in ansietà lo spirito nel timore di allontanarsi dal serafico ideale.
Nella Puglia Dauna vennero a trovarsi due Province di S. Angelo: una dipendente dai frati minori Conventuali che ebbero i principali e migliori conventi della regione; l'altra dei frati minori Osservanti, che è oggetto del nostro studio.
La divisione fu, per gli Osservanti di S. Angelo, un forte richiamo ad immettersi nel vivo della vita di apostolato, se non volevano scomparire. Nel campo specifico degli studi, alla stasi quattrocentesca seguì una discreta ripresa. Dalle scarse e frammentarie notizie dei cronisti si rileva l'esistenza di una casa di studio nel convento di Calitri nel 1532, dove fu inviato come lettore p. Francesco da Borgia (Nota 6). Il Capitolo generale di Mantova (1541) inviava il lettore p. Sebastiano da Ripatransone al convento di S. Maria delle Grazie a Cerro (Nota 7).
In generale una più efficace organizzazione degli studi si ebbe con il decreto del 15 luglio 1563 del Concilio Tridentino, con cui si ordinava in tutte le diocesi l'istituzione di un seminario per gli aspiranti al sacerdozio.
Per i francescani già gli statuti generali del 1553 richiedevano in ogni Provincia distinte case di studio per la grammatica, la logica, la filosofia e la teologia (Nota 8).
La stessa Congregazione generale stabiliva l'istituzione di due studi generali - duae universitates - uno nel convento di S. Maria la Nova a Napoli, l'altro nel convento di S. Francesco a Perugia; al primo dovevano accedere quaranta studenti delle Province del Regno Napoletano, in ragione di quattro studenti per Provincia; al secondo trenta studenti delle altre Province italiane, in ragione di tre studenti per Provincia (art. 118). In ciascuno dei detti studi dovevano insegnare tre lettori, “pietate, doctrina maxime insignes” (art. 119), gli stessi lettori dovevano tenere, ogni giorno, “unam lectionem ex Doctore Subtili”, fare la ripetizione due volte la settimana, e alla fine dell'anno scolastico tenere in chiesa “pubbliche conclusioni” (art. 124) (Nota 9).
Non è dato sapere se e fino a che punto tali disposizioni furono attuate nella Provincia di S. Angelo. Nella seconda metà del Cinquecento sono ricordati lo studio di filosofia nel convento di S. Maria delle Grazie ad Isernia e quello di teologia nel convento della SS. Trinità a Sepino (Nota 11). Altro importante centro di studi filosofici e teologici era quello di Gesù e Maria in Foggia, nel 1618 era già studio generale con i lettori p. Francesco da Bisceglie e p. Nicola da Ripatransone (Nota 12). Si fa pure menzione di detto studio nel Capitolo generale di Toledo (1645) con i lettori p. Girolamo da Barrea e p. Francesco da Roseto (Nota 13), e nell'altro, pure di Toledo (1658) con il lettore p. Girolamo da S. Giovanni in Galdo (Nota 14). Il Visitatore Mattielli, nel 1683, trovò, in detto convento, lo studio generale di filosofia e teologia, cosa che durò fino al 1811.
Nonostante l'antagonismo con lo spirito del secolo, il movimento francescano non parve anacronistico, anzi venne favorito da chi meno poteva capirli: il patriziato. Con il favore e la protezione di baroni e marchesi, con l'aiuto effettivo delle popolazioni, i francescani si dettero a fondare nuovi conventi. Nel solo Cinquecento, nella Provincia di S. Angelo, ne aprirono diciassette.
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