Vi presento il testo di Gabriele, pubblicato nel 2004. E' una piccola ricerca sugli orefici a S. Marco in Lamis. Ho arricchito il tutto con alcune foto di G. Bonfitto e mie.
Gabriele Tardio Motolese
La lavorazione dell’oro a San Marco in Lamis
Presentazione della II edizione
Ma anche la lavorazione dell’oro presuppone la conoscenza di diverse tecniche e denota inoltre uno scambio commerciale attivo e vivace.
Scoprire perché nei secoli a San Marco in Lamis ci sono stati sempre artigiani che nella loro bottega hanno lavorato l’oro è molto affascinante. Si aprono anche ampi interrogativi per capire perché c’erano questi artigiani, come la tecnica si è affinata e in quali mercati arrivava l’oro lavorato a San Marco in Lamis.
San Marco in Lamis è stato sempre nei secoli un fiorente centro economico e culturale per tutto il Gargano. C’erano molti artigiani nei vari settori.
Scorrendo elenchi ottocenteschi dei mestieri degli abitanti di San Marco in Lamis si trovano molti fabbri, falegnami, conciatori di pelli, ceramisti, sarti, tessitori. Anche se la maggioranza dei cittadini era dedita alla attività agro-silvo-pastorale. Tra gli artigiani spiccano per la loro specializzazione alcune botteghe orafe.
Nella presente ricerca si vuole presentare un piccolo spaccato dell’attività orafa a San Marco in Lamis nei secoli passati.
Purtroppo nella seconda edizione non troverete le indicazioni archivistiche complete perché personaggi con pochi scrupoli hanno utilizzato le mie ricerche per fini propri senza citarmi e snobbando la mia passione e senza citarmi. Tutte le indicazioni sono nella I edizione, consultabile solo in alcune biblioteche.
La presente ricerca non è completa ed ha bisogno di ulteriore approfondimento. Nel fare questa ricerca ho scoperto che qualcuno, in questi mesi, ha sottratto dei documenti da un archivio che potevano essere utilizzati per ulteriore approfondimento della tematica sugli orafi a San Marco in Lamis.
In appendice verranno presentati estratti di lavori di ricerca sugli orafi a San Marco in Lamis già pubblicati (Coco, Sansone, Tripputi), in modo da dare immediato materiale per l’approfondimento, si rimanda agli originali per approfondimenti del testo, delle note e dell’apparato fotografico e di ricerca.
La lavorazione dell’oro a San Marco in Lamis nei secoli passati
Nello statuto si specifica che il venditore o mastro abbia bilance che pesino giusto, le appenda e di esse il piattello dove è il peso delle mercanzie sottostia all'altro piattello di mezzo piede di canna e le mercanzie si pongano nel piattello superiore di queste bilance e le corde a cui si appendono i piattelli siano uguali. Chi contravverrà paghi. Mentre per le altre mercanzie a lunghezza e larghezza il commerciante o il mastro abbia cura di usare le misure segnate sulla torre di Santo Antonio. Tutti e singoli i cittadini e abitanti di questa terra che vendono robba di qualsiasi genere e bene di qualsiasi natura ed anche il pane e il vino, non vendano ai forestieri ed agli estranei più caro che ai cittadini abitanti nella stessa terra, ed a tutti vendano a prezzo giusto ed equo. Chi contravviene, se la cosa venduta è di valore inferiore ad un'oncia, paghi la pena; se poi sarà di valore superiore ad un'oncia paghi la pena doppia.
In appendice allo Statuto vengono disciplinate diverse attività artigianali e di commercio. Tra quelle descritte c’è anche l’attività dei lavoratori di oro e argento. Li lavoratori di oro e argento devono usare le misure giuste e devono usare arnesi e fucina osservata (autorizzata). Dovevano avere dei registri delle entrate e delle vendite che dovevano essere controllati dall’Ufficiale o il Bajulo, mentre le bilance dovevano essere controllate e marchiate. I pesi (semi di carrube - carati) non dovevano essere bagnati ma asciutti. Le pietre o i vetri che devono essere usati dovevano essere colorati. Sulla mercanzia in oro e argento da mettere in commercio doveva essere impresso il sigillo SM che solo lo Bajulo tiene. Se veniva trovata mercanzia senza marchio del bajulo doveva venire sequestrata e l’orafo doveva pagare la pena. Da questo disciplinare si nota che doveva esserci un discreto controllo sull’attività di lavorazione e vendita. I registri servivano per controllare la quantità e qualità dell’oro lavorato e a chi veniva venduto, in modo da tenere tutto sotto controllo; tutta l’attrezzatura doveva essere autorizzata, e gli oggetti di oro e argento realizzati dovevano essere marchiati.Lo statuto non si limitava a sanzionare solo la lavorazione e commercio dell’oro ma specifica anche il comportamento che devono tenere le donne che vogliono portare addosso argento o oro. Possono portare sulle maniche delle loro tuniche non più di 6 pezzi il cui peso sia di un'oncia di argento o oro lavorato per pezzo e così per ogni manica non ci sia più di 6 once per manica. Mentre le cinture o cinghie non devono superare 4 once di oro o di argento lavorato. Chi contravverrà sarà punito tutte le volte con la pena. E il padrone ossia il principale di casa sia tenuto per tutta la sua famiglia. Lo Statuto sanziona anche i ricami con filo d’oro. Ma anche la lavorazione del ricamo con oro è vietato. Giacché a causa della vanità in molte maniere si offende Dio, è proibito espressamente che in nessun'altra maniera, tovaglie, gimpe e terzaroli né altro panno di seta o di lino si facciano ossia siano lavorati con oro come un tempo si faceva, ma si facciano e possano farsi fare soltanto di seta pura oppure di lino, senza oro.
Chi fa il contrario tanto chi lavora e fa, come chi li fa fare uno o più di questi (capi di vestiario) paghi come la pena per ogni volta per ognuno di questi panni. Ma è comunque permesso fare uso per il futuro, a piacere, di tovaglie, gimpe, terzaroli ed altri panni lavorati in oro in antecedenza, nel modo predetto, come anche (è permesso) dare in dote, vendere a chiunque ed anche donare detti (indumenti) o uno solo di essi. E in ogni caso il principale e padrone di casa è tenuto e paghi la pena per tutta la sua famiglia.
Non è dato sapere se questa attività orafa sia legata ad artigiani del orginarii del posto [sic!], oppure venuti dall’Abruzzo.
Ma questa scarna documentazione però ci permette di capire l’importanza sociale ed economica che questo settore artigianale aveva nel tessuto economico locale.
Dal settecentesco “corredo” della Vergine Maria di Stignano si ha un lungo elenco di oggetti d’oro. Non sappiamo se gli oggetti del ‘corredo’ sono di produzione locale oppure opera di artigiani di San Severo, Lucera, Apricena o abruzzesi. (La Vergine Maria di Stignano aveva molti devoti in un ampio raggio territoriale, quindi gli arredi e gli ex-voto possono essere prevenuti da molti luoghi). Ma il nome e una descrizione molto sommaria di alcuni gioielli possono essere importante[i] per sapere quali erano gli oggetti aurei che venivano donati per essere utilizzati come ‘corredo’ della Vergine Maria di Stignano.
Purtroppo non si conosce che fine abbia potuto fare questo “corredo”.
“Una frasca di corallo rotta rustica.
Una cannacca di oro a pezzi con pietre verdi, rosse, smalto e granatini.
Un paro di pendenti di oro alla genovese rotti.
Un cuore di turchina senza pietra.
Un cuore di filograno di argento con in mezzo una medaglia di argento.
Un anelluccio di oro con pietre in mezzo.
Un filo di perle picciole al numero di 59 e granatini piccioli numero 31 poste al collo del Bambino della sacristia, ed una torchinella nel dito del med.mo.
Una corona di argento del Bambino che tiene in mano S. Antonio.
Una corona di argento sopra la testa della Madonna.
Una cannacca di oro in nove pezzi che sta appeso alla carnea della Mad.a.
Un gioiello con cristallo in mezzo e figura con perle grossotte al numero di 22.
Una cannacca di perle di 5 quarti.
Un laccio di perle e crocifissetto tiene il Bambino della med.a. …
Una anticona di seta rossa con treni di oro.
Un’altra dell’istessa maniera.
Un’altra di primavera rossa e bianca con merletto d’argento.
Un’altra di recamo con fodera di taffità di color turchino.
Un’altra di amuer verde.
Un’altra di damaschello verde con fodera rossa.
Un’altra d’oro con fodera verde e frangia d’oro filato.
Un’altra di color paonazza foderata di taffità paonazzo.
Un’altra paonazza con treni di argento.
Un’altra rossa di argento con fodere di taffità incarnato e bianco.
Un’altra di drappo di oro a rosa secca foderata di taffità prunzina.
Una tovaglia di seta armosina incarnata con pizzo di oro falso.
Una bianca di seta con pizzo falso di argento di sotto.
Un’altra incarnata e bianca con pizzillo di argento all’estremi.
Un’altra rossa e bianca con pizzo di argento in giro.…
Un’altra torchina con fila di argento.
Un’altra di velo rosso e fili di oro con frangia nova.
Altre 4 vecchie.
Un baldacchino rosso con pizzillo di argento serve per la processione di Capocolonne.…
Un palliotto di argento.
Una croce di argento.
Sei frasche di argento grandi e due altre picciole.
Sei giarre di argento.
Sei candelieri di argento.
Una carta di gloria di argento.
Una pianeta di lama di argento ed oro con pizzillo di argento.
Un’altra di lama di argento.
Un’altra di asprolino di argento bianco e turchino…
Due palliotti uno verde di lama di oro e l’altro del med.mo colore.
Due altri di lama di oro uno rigato rosso e l’altro a rosa secca.
Un altro di primavera ed un altro paonazzo.
Un altro di drappo di oro di tutti fiori.…
Un altro di tela di argento con fascia sopra di damasco bianco.
Un altro ricamato di oro e seta.
Candelieri di legno grandi e mezani n. 24.
Giarre n. 24.…”
L’attività orafa doveva essere molto fiorente sia nel settecento che nell’ottocento.
Nel settecento a San Marco in Lamis era attiva un’Accademia o il Collegio de selvaggi o del salvatico che con incontri periodici (congrega) voleva risvegliare gli animi dal sonno e dalla pigrizia per incitarli nel desiderio di coltivare le belle arti e le scienze colla serietà de discorsi (Nota 8a) (Nota 8b) (Nota 8c). Nel 1740 svolse un incontro annuale sul tema: Sulla perfetta conservazione degli elementi aurei nella tomba della fanciulla rinvenuta nella antica Arpi fondata da Diomede.
Purtroppo non sappiamo se quest’incontro annuale sia stato solo un incontro culturale oppure abbia approfondito nuove tecniche e disegni nella lavorazione dell’oro.
Sicuramente gli orafi di San Marco in Lamis lavoravano sia per i sammarchesi che per i forestieri che venivano in occasione della fiera di San Matteo (20-22 settembre). Si può fare una simile affermazione perché il 31 agosto 1810 si ebbe un furto di oro in una bottega di orafi a San Marco in Lamis. Il furto ebbe ripercussioni anche sul piano economico della famiglia Del Giudice che per alcuni anni non poté più svolgere l’attività orafa.
Il furto fu possibile perché c’era molto oro sia grezzo che lavorato. Gli orafi sammarchesi preparavano per tempo la mercanzia di oggetti di oro lavorato da vendere durante l’annuale fiera di San Matteo. Fiera che ha sempre avuto una grande importanza e dove accorreva molta gente da tutti i paesi vicini.
Nella relazione del furto del 31 agosto 1810 si specifica che nella notte precedente (tra il 30 e il 31 agosto) da tre ladri armati ignoti fu commesso furto di diversi oggetti in oro e arcento nella bottega del sig. Fortunato Del Giudice sita nella strada Maestra. La bottega era officina … vendita… e abitazione. Gli ignoti ladri sono entrati con bajonetta, pistola e accetta. La quantità di oro lavorato rubato è stato di libbre 6 e oncie 6, (Nota 12) mentre il non lavorato era di libbre 2 e oncie 4. La relazione descrive dettagliatamente il lavorato:
10 suste complete, 2 bracciali, 5 concerti, 10 concertini, 20 paia di orecchini con pietre e pendaglio, 6 collane con mazzo, 10 ciappe, 5 medaglioni. La quantità di arcento lavorato rubato è stato di libbre 3, once 10.
La relazione specifica che Fortunato Del Giudice è stato ferito mortalmente ma è vivo, mentre nessuno della sua famiglia ha subito ferite. Sicuramente gli ignoti ladri saranno stati dei briganti che in quel periodo infestavano la zona di San Marco in Lamis. Dalla relazione di questo furto si sa come era organizzata una bottega e del materiale aureo che lavorava (Nota 13).
Per trovare i nomi di alcuni orafi ottocenteschi ci siamo avvalsi dello stato di anime del 1821 della Parrocchia di Sant’Antonio Abate. Da questo ampio elenco si può risalire al nome, all’età e al luogo dove esercitavano la professione orafa alcuni artigiani. Essendo un elenco molto parziale non abbiamo uno sguardo completo sulla cittadina, perché la parrocchia di Sant’Antonio abate era una delle tre esistenti nel territorio comunale.
Esercitavano l’arte orafa nella strada Centola al n. 5 il sig. Giovanni Gallucci, di Domenico e di Rosa Di Stefano, di anni 40; nella strada del Purgatorio il sig. Pasquale Iannacone, di Antonio e di Eleonora Siani, di anni 31; in piazza Maestra il sig. Fortunato Del Giudice, di Matteo Nicola e di Anna Maria Cristino, di anni 61 (Nota 14).
In un archivio pubblico è conservato un documento del 1841 dove la Direzione dè Dazj indiretti della provincia di Foggia chiede al Sindaco di San Marco in Lamis con apposito n[d]ocumento il numero degli orefici, fabbricanti e negozianti di oro e argento esistenti in codesto comune. Nella risposta si doveva specificare il nome e la patente (autorizzazione) per esercitare la professione. Dalla risposta del Sindaco si evince che solo due artigiani avevano l’autorizzazione mentre altri sei artigiani ne erano privi.
Da questo elenco si evince che avevano la patente: il sig. Fortunato Del Giudice fabbricante de’ lavori di oro ed argento. Ha la patente rilasciata a Napoli il 27 aprile 1838, n. 7. Il rogante del Banco direttore generale dell’amministrazione generale della moneta. Commentatore Prospero dè Rosa. Il capo di Dipartimento dll’Amministrazione generale della moneta Cav. Cantarelli.
L’orafo Michele Centola idem di Del Giudice ha la patente rilasciata il 18 luglio 1838 n. 15.
Mentre altri orafi erano senza patente:
sig. Felice Rainaldi,
Leonardo Del Giudice,
Girolamo Del Giudice,
Carlo De Carolis,
Francesco Paolo Gallucci,
Angelo Serrilli.
Sicuramente quelli che non avevano la patente lavoravano l’oro non in forma esclusiva perché facevano altri mestieri e per integrare il reddito ogni tanto lavoravano anche l’oro.
Alcuni orafi oltre che alla lavorazione dell’oro si dilettavano anche nell’arte musicale. Dal Notamento de Bandisti per la banda ad organizzarsi in San Marco in Lamis sotto la istruzione del Signor d. Ferdinando Greco che fu presentato a Foggia il due ottobre 1856 e che fu approvato dal Signor Direttore del Ministero Real Segretariato di Stato della P. Gen a 24 settembre ultimo. V. 10646, si conoscono le generalità di alcuni orafi che facevano parte del corpo bandistico musicale.
Angelo Iannacone di Luigi di anni 26,
Michele D’Augello di Francesco Paolo di anni 15,
Antonio Batista fu Raffaele di anni 28,
Michele Totta di Domenico di anni 18 (Nota 15).
Il nome di alcuni orafi si ritrova anche negli elenchi di chi era assoggettato nel 1869 alla zeccatura dei pesi e misure. Si evince che erano soggetti alla zeccatura delle loro bilance gli orafi:
Del Giudice Leonardo di Antonio;
Del Giudice Girolamo di Antonio;
Iannacone Angelo di Luigi;
Pennin[s]i Luigi fu Beniamino;
Spagnoli Antonio fu Francesco Paolo.
Nel 1887 erano soggette alla zeccatura le bilance degli orafi:
Augello Nicola fu Giuseppe con il laboratorio in via Purgatorio;
Bevilacqua Nicola di Samuele con il laboratorio in piazza 2.;
Ciavarella Angelo fu Angelo con il laboratorio in via Maestra;
Centola Michele fu Domenico con il laboratorio in via Maestra;
Della Croce Michele di Tito con il laboratorio in via Maestra;
Del Giudice Matteo Michele con il laboratorio in via Maestra;
Guerrieri Nicandro con il laboratorio in via Maestra.
Purtroppo non possiamo sapere se solo questi erano gli orafi che esercitavano a San Marco in Lamis.
Non sappiamo se nelle loro botteghe lavorassero anche altri operai o apprendisti.
I briganti usavano molto oro nel loro vestiario e, forse, ne nascosero anche ingenti quantità tenendo conto delle molteplici leggende sui tesori dei briganti. Sono numerose le leggende e le credenze popolari riferite a tesori che i briganti avrebbero nascosto in grotte, in anfratti o in muri delle abitazioni (Nota 17).
Il Soccio [Pasquale Soccio, NdR] nel dichiarare lo stato di dissolutezza in cui vivevano i briganti specifica che avevano di già corrotta la pubblica onestà nel popolo basso perché avevano liberato il freno ad ogni dissolutezza con la profusione del danaro, e con la mostra di gioielli, fila di oro, anelli e altre cose preziose. Con l’ostentare gioielli ognuno di essi, sia o no coniugato, aveva la sua particolare Ciprigna, che gareggiava nello sfoggio con quella del suo compagno. Laonde, a vista di tanto oro, lacerossi la benda ad ogni pudore ed onestà; e noi che stiamo tramandando ai posteri in queste pagine tali fatti, per vergogna vorremmo piuttosto tacere che i mariti prostituivano le mogli, i fratelli le sorelle, gli stessi padri, ma soprattutto le stesse madri, vendevano senza ritegno, anzi con millanteria, la innocenza verginale delle ancora impuberi figlie (Nota 18).
Nell’assalto che i briganti fecero alla casa della famiglia Tardio sita di fronte la chiesa di Sant’Antonio Abate nei primi giorni di giugno del 1861 dopo aver messo a soqquadro tutta la casa rubarono molte provviste alimentari, suppellettili e anche gioielli di famiglia.
L’elenco dell’oro sottratto dalli briganti nel dì 3 giugno 1861
- 1 collana a granatelli
- 1 collana a segnali ricchi
- 1 collana a barilotto
- 1 collana a coretto
- 1 pendaglio a medaglia con Madonna
- 1 idem con disegno di donna
- 1 fermaglio con pietra
- 20 graffe per capelli
- 2 anelli a smalto
- 1 anello a rotella
- 1 idem a cuore
- 1 idem con crocifisso
- 2 idem con pietra rossa e verale
- 1 xoppia orecchini a pendaglio
- 1 idem a fiocchi
- 1 idem a campana
- 1 idem a bottone
- 1 concerto completo
- 1 susta a fiori.
Il 6 marzo 1863 alcune compagnie della Fanteria sabauda si scontravano con 35 briganti della banda di Angelo Raffaele Villani conosciuto anche con il nome di Recchiomozzo. Nello scontro morirono molti briganti.
Il sottotenente Temistocle Mariotti ci descrive lo scontro: Noi l'inseguiamo alle calcagna continuando il fuoco, cui essi di tratto in tratto rispondono, finché uno dopo l'altro vengono raggiunti e ne succedono lotte corpo a corpo veramente macabre: 8 sono finiti a colpi di baionetta e di calcio di fucile sulla testa; uno, inseguito dai soldati del mio plotone, scompare in una specie di voragine dissimulata tutt'attorno da fitta boscaglia.
Quivi noi sopraggiunti, senza punto riflettere, saltammo dentro, scoprendovi lateralmente una tana capace di accogliere appunto un uomo carponi. Il brigante vi si era infilato tutto intero; non isporgeva fuori che un piede stivalato, munito di un enorme sperone di ottone. S'incominciò a tirarlo da quel piede ed esortarlo ad arrendersi, ma a smuoverlo riuscì inutile ogni sforzo. Quando meno ce l'aspettavamo, avendo forse egli potuto fare col braccio un movimento opportuno, ci scaricò contro senza interruzione i sei colpi della sua rivoltella, che tutti per fortuna fallirono il segno. Allora uno dei soldati sparò nella buca, e dopo poco, tirando ancora il piede, il corpo esanime fu estratto.
Era un giovane poco più che ventenne, bella figura scultorea inappuntabile nella sua uniforme brigantesca con ogni ben di Dio nelle tasche: lunga borsa di pelle fornita di 200 piastre, un grosso involto di gioielli, orecchini e spille di brillanti di valore, fili di coralli comuni, parecchi anelli con pietre varie, un orologio ed ancora una magnifica pipa di schiuma con buona provvista di sigari napoletani; un robusto pugnale, infilato nella cartucciera di cuoio ben lavorata e contenente non meno di 60 cartuccie.
Nelle tasche del panciotto, medagliette ed abitini e amuleti di ogni specie; altrettanti appesi al collo: nelle braccia, tatuaggi religiosi; perfetto il fucile a due canne; la rivoltella pareva sparata per la prima volta (Nota 19).
Con questo non si vuol certo sostenere che i gioielli del brigante fossero tutti di fattura locale ma nepossiamo presupporre una buona parte, poiché la lavorazione dell'oro sul Gargano, e specie a S. Marco in Lamis, ha radici antiche e vanta una produzione particolare e indigena (Nota 20).
Alcuni berlocchi (Nota 21) avevano le iniziali incise e da testimonianze anche di artigiani si è constatato la veridicità della dote sottratta.
Nel 1869 la Reale Società Economica e la Camera di Commercio ed Arti di Capitanata indissero una Esposizione economiche e culturali (sic!) della Capitanata.
Se per la prima volta s’invitasse la Capitanata ad una esposizione industriale occorrerebbe preconizzare i vantaggi per eccitare il concorso di quanti potrebbero avere interesse a mostrare lo stato delle rispettive produzioni, siccome elemento irrecusabile di prosperità economica industriale, ch’è pure materiale e morale prosperità…Una esposizione adunque delle su ripetute produzioni sarà celebrata in Foggia in questo anno a cura e spese [d]ella Reale Società Economica e della Camera di Commercio ed Arti della provincia; e si manifesta con animi riconoscenti, che la mostra medesima si feconderà eziandio dal concorso e dell’incoraggiamento del Governo, che accoglieva generoso le premure della ripetuta Società, giusta le officiali dell’onorevole Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio del dì 11 e 30 di agosto p. p. Numeri 23906 e 25131, divisioni 1. sezione 2. C
La fiera comincerà il 20 novembre prossimo e durerà 20 giorni salvo a prolungarne il termine, ove la circostanza lo esigerà.
Una commissione eletta in seno dè due Istituti si occuperà per l’ordinamento della esposizione nella quale saranno accolte le cose indicate nel manifesto. Alla sezione 3. intitolata Manifatture ed Arti nel gruppo 7. sono indicati gli oggetti di Oreficeria, giojelleria e minuteria, d’invenzione, o di imitazione. Lavori in ogni genere, che valgono a mostrare in quale stato si trovi cotest’arte, e quindi torneranno accettevoli; saggi di lavorazione per fusione o getto, a martello, a cesellatura, placcatura, damaschinatura; incastonatura delle pietre artifiziali e preziose. Lavorazioni in oro, collane, braccialetti, orecchini, medaglioni ec. (Nota 22).
L’amministrazione comunale si fa promotrice presso artigiani locali per la partecipazione e riesce a coinvolgere alcuni artigiani che presenteranno alla Fiera alcune loro lavorazioni.
Dalla Nota dei oggetti aurei alla esposizione in Foggia all’uso di S. Marco in Lamis si conosce l’elenco degli oggetti presentati alla fiera.
Oggetti in oro
N 1 susta con pendaglio
N 1 concertino completo
N 1 collana con mazzo
N 1 anello con pietra
N 1 anello corallo
N 4 ciappe con madreperla
N 2 orecchini pendenti
N 2 orecchini con mazzo
N 1 bracciale a maglia
N 1 bracciale liscio
N 1 ciappa doppia
N 1 pendente con cuore di turchina
N 6 anelli con pietra colorata
Oggetti in Argento
N 10 ciappe lunghe
N 5 braccioli lisci
N 1 fibbia femminile
N 1 crocifisso completo
N 1 corona per la Madonna
Gli oggetti di oro donati come ex-voto dovevano essere molti ma purtroppo, allo stato attuale, conosciamo solo una parte degli elenchi degli ex-voto aurei che i sammarchesi avevano donato.
Da alcuni registri della Confraternita della Madonna del Carmine di San Marco in Lamis abbiamo l’elenco degli oggetti d’oro che la Confraternita aveva ricevuto e che voleva alienare per ricamare un manto ricco. Gli oggetti furono stimati dall’orafo Del Giudice.
Oggi (21 febbraio 1870) sotto scritto il Priore fa conoscere in piena congregazione, siccome nelle mani del Sig. Padre Spirituale sono in loco di deposito varie oggetti di oro, doni votivi alla SS. Vergine nostra titolare ed altri oggetti di argento che stavano nelle mani del Cassiere d. Nicola Ciavarella, ed altri ricevuti fra il 1868 ed il 1869 da persone divote; conoscendo la necessità del manto ricco adattato alla veste ricca che è per terminarsi dalla maestra Anna Del Giudice alias Carrozzelli, la roba della veste ricca è di lana, color tané, ricamata in oro massiccio con 14 dozzine di pietre legati d’oro, che da più tempo dura il ricamarla. I suddetti doni votivi che sono in deposito presso d. Nicola Nardella, padre spirituale da più anni anno il n.° [?] alla rinfusa, ma siccome il giorno 22 del prossimo passato gennaio 1869, il priore sottoscritto ed il 1. assistente sig. Michele Ceddia ci portammo l’orefice Matteo Nicola Del Giudice a verificare e pesare tutti gli oggetti di oro e di arcento, che in uno peso fanno trappesi (Nota 23) centoquarantadue, netti di tutto il semplice oro.
La coronella di arcento e gli altri oggetti di argento pesati trappesi quarantacinque netti. Nelle mani del 1. assistente sig. Michele Ceddia vi sono due suste, tutte di oro, che propriamente li donò il medesimo padre spirituale d. Nicola Nardella li 19 marzo 1869, questi pesano tutte due venti trappesi netti. Nelle mani del Cassiere sig. Luigi Tricarico vi sono quei puochissimi oggetti d’oro e di arcento che ne li consegnò la cassera Giuseppe Quaquaglio, pesano netti di oro 10 trappesi più una spingola darcento quattro trappesi. Nelle mani di me sotto scritto vi sono in deposito se ci fa il manto ducanti ventidue col suo consenzo e mia garanzia ed altri doni stanno promessi da altre divote se facciamo il manto ricco, perciò vi propongo di scrivere a Roma per ottenere il permesso della vendita di tali oggetti acciò possiamo fare il desiderato manto ricco corrispondente alla veste ricca per onorare la gran madre di Dio nostra patrona e refuggio dei peccatori e nostra in punto della nostra morte noi diciamo: Mostrati esser Madre, come ci risponde dal Paradiso, mostratemi veri figli (Nota 24).
Nella cassa della Confraternita del Carmine nel dicembre 1871 erano custoditi ancora altri piccoli gioielli.
Nella riunione dei confratelli della venerabile Congrega del Carmine del 15 dicembre 1871, dopo aver visionato i conti in entrata ed uscita, è stata depositata sul banco dell’amministrazione oltre i soldi in cassa anche un piccolo anello con pietra di colore fiore di lino del valore di circa carlini cinque, un altro anello di oro, una crocetta di simile metallo con piccolo barilotto del valore di circa carlini quindici più un medaglione tutto consumato corroso e inserito da piccole lenti del valore di circa carlini cinque, come pure una quantità di monete di rame Carlivecchio si stima non numerati perché fuori di corso regolare in ultimo hanno consegnato la chiave della custodia in metallo rame del valore di carlini tre. Con ciò i venerabili fratelli hanno constatato la regolare amministrazione …
Nel dì 30 giugno 1886 l’orafo Matteo Michele Del Giudice consegna al Rev. Priore della Congrega di Maria SS. ma del Carmine della città di San Marco in Lamis una corona per la sacra statua della Madonna Carmelitana in argento e oro con pietre colorate e preziose che fu commissionata per una grazia ricevuta da una divota che vuole rimanere ignota. Purtroppo la corona è andata dispersa.
Nella riunione della Confraternita del Carmine del 26 febbraio 1888 il priore dichiara che il rettore spirituale d. Francesco Paolo Tancredi, interpretando i voti di tutti, ebbe la felice ispirazione di vendere, previo permesso de superiori, i doni di S. Ciro e col prodotto della vendita fare un diadema al santo ed ordinare i due altarini. Il diadema è costato £ 107,10 e i due altarini compresi il trasporto e la composizione 963,83.
Abbiamo un elenco dettagliato dei doni esistenti per San Ciro avuti dai benefattori che era, forse, la risultanza finale della perizia per la stima e la vendita (Nota 26).
1888
25 aprile Un paio di fibbie di argento del peso di once 310 trappesi 7 e 7 valore 18,10
25 aprile Un barilotto di oro con due piccoli a fianco trappesi 3 valore 3,00
25 detto Un concertino con catena corrispondente d’oro trappesi 11 valore 16,50
Del 1887 Un piccolo anello ricordo d’oro smaltato trappesi 1 ½ valore 2,55
Idem Un crocifisso d’argento valore 1,00
Idem Un orologio con cassa di argento avuto da Giuseppe La Porta valore £ 10 venduta
25 aprile Un paio di orecchinelli a palla trappesi 3 acini 2 valore 4,25
25 detto Un anelo d’oro liscio trappesi 2 acini 2 valore 3,50
25 detto Un anello a crocifisso d’oro trappesi 4 valore 7,70
16 luglio 88 Un maschetto a tre pietre due verdi ed una figurina con due conioli di oro trappesi 12 acini 1,70 valore 20,40
16 detto Una su stima piccola ad una pietra rossa due conidette con crocifissi con pietre celeste trappesi 10 meno acini 8 valore 14,00
16 detto Un piccolo birlocco con pietra rossa trappesi 3 acini 8 valore 6,00
16 detto Due anelli a crocifisso ed un ricamo d’oro 16 detto Un anello d’oro con smalto.
Gli artigiani orafi hanno continuato a lavorare nelle loro botteghe.
Con la emigrazione alcuni artigiani hanno lasciato la nostra terra per cercare fortuna oltre confine, non si sa se nelle terre dove hanno [sic!] approdato hanno continuato la loro attività oppure hanno fatti altri mestieri.
Agli inizi del ‘900 si è trasferito a San Marco il sig. Torelli, proveniente da Bagnoli di Napoli, è [sic!] i suoi discendenti sono stati e sono ancora abili artigiani dell’oro.
Nel ‘900 molti artigiani orafi sammarchesi si sono trasformati in commercianti di prodotti aurei e solo raramente realizzano qualche oggetto di vecchio artigianato.
Da alcuni anni sono presenti due laboratori che artigianalmente producono oggetti di oro sia secondo la tradizione orafa locale che con altri soggetti.
Alcuni politici hanno paventato l’idea di realizzare dei corsi professionali di arte orafa o di dare un certo impulso alla attività orafa volendo realizzare delle manifestazioni culturali e fieristiche ma senza successo.
L’AVIS nel 1992 ha realizzato una mostra di arte orafa artigianale presso le vetrine dei vari negozi (Nota 28).
A P P E N D I C I
Gli ori di S. Marco in Lamis
Gli orafi del Gargano
di Matteo Coco (Nota 29)
Il settore orafo è indubbiamente un settore di grande prestigio, attrattiva e vitalità per la nostra economia. Da secoli l'artigiano è l'artista che crea, che inventa le cose dal nulla, e a ragione si può sostenere, che l'orafo è il principe degli artigiani. Noi spinti dalla curiosità e stimolati dallo studio di quest'arte antica che vanta in Italia grandi maestri come Benvenuto Cellini, cerchiamo di ricomporre il mosaico e di scoprire tracce di lavorazione di questo materiale in un paese della Capitanata: San Marco in Lamis.
Ai primi di marzo del 1863 la 13. e la 14. compagnia del 55. Reggimento di Fanteria, in cui militava come sottotenente un certo Temistocle Mariotti che racconta l'accaduto, si scontravano con 35 briganti della banda di Angelo Maria Villani di S. Marco in Lamis. Nell'infuriare della battaglia, veniva colpito tra i tanti un giovane ventenne che oltre ad avere "nelle tasche del panciotto, medagliette e abitini e amuleti d'ogni specie... aveva pure un grosso involto di gioielli: orecchini e spille di brillanti di valore, fili di coralli comuni, parecchi anelli con pietre varie, un orologio ad ancora... etc.. Con questo non si vuol certo sostenere che i gioielli del brigante fossero tutti di fattura locale ma ne possiamo presupporre una buona parte, poiché la lavorazione dell'oro sul Gargano, e specie a S. Marco in Lamis, ha radici antiche e vanta una produzione particolare e indigena. Innanzitutto bisogna dire che i lavori di oreficeria prodotti a S. Marco in Lamis si suppone fossero molto semplici, grezzi, su cui si sbizzarriva la fantasia popolare degli artigiani che quasi sicuramente lavoravano un oro di pochi carati, oro più scuro e non giallo che denota minor qualità e fa pensare al riciclaggio di materiale già usato. Scarsa era la lavorazione classica in filigrana. Molto più diffuso e comune invece il lavoro in lamina: l'oro veniva messo per lo più in crogiuoli in cui fondeva e venivano poi preparate delle lamine più o meno sottili per le indorature; la lamina ricopriva la forma e il lavoro veniva fatto a sbalzo (specie per le sustume a conchiglie), naturalmente i materiali che venivano ricoperti dalla lamina d'oro erano spesso di bassa lega. Questo tipo di lavorazione ci porta ad un'ipotesi interessante: questa tecnica era usata anche dagli zingari i quali lavoravano bene oltre all'oro anche il rame.
La lavorazione dell'oro, tramandata di padre in figlio, che coinvolge solo alcune determinate famiglie e che non è diffusa come la lavorazione di altri materiali: legno, ricamo etc., va individuata nel crescente fiorire del '700 sammarchese di un tipo di artigianato che poi continua a svilupparsi nell'800… Il repertorio fornito dagli ori di S. Marco in Lamis abbraccia gran parte dei tipi di gioielli diffusi nell'oreficeria meridionale (e non a caso, anche longobarda - per certe similitudini o influenze), comprendendo orecchini barocchi impreziositi da gemme, molto lunghi e pesanti; collane a due fili del tipo corto e lungo con oggettini pendenti: chiave, aquila, cuore, o altre simili - chincaglierie - che ritroviamo a far bella mostra di sé anche sotto lu mazze, sorta di collana doppia con un pendaglio ricco di amuletini (il n.13, il gobbo, etc.) con valore apotropaico quasi di 'scacciamalocchio'; tra l'altro, alle pietre preziose si attribuivano proprietà magiche, per cui esse dovettero essere impiegate largamente anche come amuleti nei tempi più antichi; i bracciali in oro e in argento (pochi per la verità) e tanti anelli di svariati tipi e a castone ovoidale liscio o inciso con raffigurazioni, spesso, di argomento religioso: “Quanto alle incisioni che li decoravano, esse attingono per lo più ad un repertorio (...) costituito da immagini di divinità”. Superfluo sarebbe parlare delle cozzole (poiché a forma di conchiglia) delle borchie, che per lo più costituiscono l'unico o il maggior ornamento delle susteme.
Un'altra ipotesi di sviluppo di questa produzione può essere addebitata al trasferimento in loco di immigrati …
Alcuni cognomi di orefici avvalorano questa ipotesi poiché non sono indigeni, senza dire che generalmente l'orefice svolgeva altra attività e che in un angoletto della casa aveva gli attrezzi per la lavorazione e una piccola esposizione casalinga di questi oggetti lavorati. Era d'obbligo, qui sul Gargano, regalare oro e concerto (anello, spilla, orecchini, collana) alla fidanzata e futura sposa. In qualche famiglia poteva mancare il pane, ma non l'oro in dote e la consuetudine era presente in tutte le fascie sociali.
Ancora un'ipotesi idonea può essere quella della connessione con i centri dell'Abruzzo tramite le vie della transumanza. Si possono analizzare così rapporti d'interdipendenza stabilendo una correlazione; richiamando manufatti delle due zone d'indagine e datando possibilmente con precisione i pezzi presi in esame (così come è stato fatto per il crocifisso d'argento conservato nella Chiesa Madre di S. Marco in Lamis attribuito dagli esperti alla Scuola abruzzese di Nicola Gallucci di Guardiagrele). A Pescocostanzo ancor oggi resta valida una tradizione artigianale che comprende anche oreficeria in filigrana, non dimenticando che Pescocostanzo è un paese dell'Abruzzo dove, vignali, cognomi e costumanze possono avere dei riferimenti notevoli per S. Marco in Lamis. Ed è questo soltanto un esempio da tener presente per ricercarne altri.
Un altro riferimento poi si può fare alla scuola napoletana e alla lavorazione che questa scuola faceva di acquamarina, occhio di tigre, turchesi, coralli, etc.: godono, come ognun sa, bella fama e meritata gli orafi e gioiellieri della nostra metropoli afferma R. Liberatore in un suo saggio delle manifatture napoletane esposti nella solenne mostra del 1834, ricordando che benanche nelle province del Regno delle Due Sicilie, a cui la nostra Capitanata apparteneva, l'arte di gioiellare e il resto dell'artigianato locale erano veramente opera assoluta che prometteva sempre crescente profitto… Un'ultima ipotesi, che è la più allettante pur essendo la più azzardata. Gli abilissimi orafi di Bisanzio e di altri centri lavoravano su lamine d'oro: poiché i bizantini l'han fatta da padroni qui sul Gargano, può dunque essere che abbiano insegnato agli indigeni a lavorare l'oro. E dopo l'appiattimento bizantino si può recuperare l'esperienza dei maestri orafi veneziani che comunque usavano in particolare la tecnica della filigrana.
Sono queste le fascinose e misteriose radici in cui affonda ipoteticamente le sue origini l'arte del lavorar l'oro sul Gargano e a S. Marco in Lamis.
Oreficeria Garganica
di Matteo Sansone (Nota 30)
… L'orafo oltre a saper disegnare, doveva necessariamente conoscere la chimica e i processi empirici che erano tramandati di padre in figlio e affinati attraverso generazioni. Nelle zone ove per tradizione e costume il corredo aureo era vistoso, come oggetti e peso (circa un chilogrammo di oro avevano come dote le donne di famiglie agiate di Monte S. Angelo; un pò meno ne avevano le donne di San Marco in Lamis, quelle di altri paesi garganici invece avevano solo il cosiddetto cuncertine) l'orafo fu costretto ad abbandonare l'antica tradizione del lavoro massiccio e di grande lega nell'eseguire anelli, croci, orecchini, collane a colpi di martello, cesoia e lima. Così preparò con la filiera i fili aurei, con il laminatoio, la plancia, si creò punzoni, stampi, matrici e delle saldature scorrevolissime.
Il progredire dell'arte orafa portò a una tesaurizzazione - nei vari nuclei familiari che si tramandavano, aumentando i vari corredi aurei e argentei.
L'indice di tesaurizzazione lo possiamo dedurre per Monte S. Angelo e per San Marco in Lamis dall'infinita quantità di oggetti aurei rastrellati nel 1935 dalla Banca d'Italia. Uscirono da questi centri quintali di oro lavorato e non c'è da meravigliarsi se si tiene presente, ripeto, che ogni donna di un certo livello sociale aveva come corredo circa un chilo di monili aurei, più i doni dei vari parenti e ciò che in seguito poteva ereditare; per le classi meno abbienti invece con sommi sacrifici, si arrivava a un trecento grammi, sia pure di lega più bassa. Questa è la ragione per cui Monte S. Angelo e San Marco in Lamis contavano qualche decina di piccole officine orafe, a capo delle quali c'era il “maestro” o “principale” che insegnava, dopo essersi assicurato della capacità e dell'onestà di ciascun allievo, i segreti di quest'arte chiamata erroneamente arte minore. Basti considerare, infatti, che gli orafi plasmando nell'oro, nell'argento, nel rame, dei monili il più delle volte di minime dimensioni ma prestigiosi e di esecuzione capillare ci hanno trasmesso dei veri capolavori artistici.
Il Gargano ci ha tramandato monili di squisita e originale fattura…
Le collane d'oro laminato a vari festoni hanno un medaglione terminale in oro filigranato con al centro uno smalto floreale o due cuori uniti da una mezza luna: tipologia, questa, che si riscontra anche in Calabria, nel Molise e nella Basilicata. La filigrana è costituita da due fili sottilissimi aurei o argentei ritorti insieme. Con questa cordicella così ottenuta si creavano motivi floreali, arabeschi e disegni vari.
Gli orecchini a navicella che, con varie modifiche nel gambo e nei penduli erano in uso in Calabria, Basilicata e Puglia, da noi diventano di proporzioni maggiori, con più ornati e con sveltezza di disegni e di eleganza. La maestranza degli orafi giunse ad eccellenze artistiche: splendidi medaglioni filigranati nella purezza del disegno formanti volute, spire, foglie, fiori ricavati da un tortiglione aureo sottilissimo. Il pregio maggiore di questi lavori non è solo nella bellezza, nell'eleganza dell'oggetto ma nella tecnica esecutiva antica di secoli di questi maestri orafi che non conoscevano la saldatura molle graduata e che creavano questi capolavori di ornati e di pazienza saldando gli innumerevoli pezzi con il cannello ferruminatorio a lancio di fiamma e con saldatura - dura, ridotta in polvere con la lima…
Ogni maestro orafo aveva il suo segreto nella preparazione della saldatura che era una lega in oro, argento e rame, di caratura inferiore all'oggetto da creare. Quanto più essa era scorrevole, migliore era l'esecuzione dei manufatti, e tale scorrevolezza era data da aggiunte, nella lega, di altre sostanze, che erano segreti di ogni bottega orafa.
Si eseguivano anche lavori in getto, i quali ritoccati poi a bulino e messi insieme con maglie e saldature, formavano il monile ornamentale e di uso. Purtroppo man mano quest'arte andò scomparendo soppiantata dalle oreficerie a bilanciere di caratura minima importate dalla Svizzera, dalla Germania e da Napoli.
Le ciappe d'argento e d'oro erano decorate con mascheroni, con figure di santi e di uccelli, e con quanto la fantasia artistica potesse creare. Esse erano ricavate in fusione...
Gli orecchini a campana erano formati da una rosetta a rococò con pietra e cammeo centrale c con granulazioni auree, alla quale era attaccato un pendulo solitamente a forma di pera; alla base vi erano festoni filigranati a disegno geometrico-floreale e una pallina terminale. Dal festone pendevano tante lamelle auree.
Gli orafi di San Marco crearono anch'essi una variante di orecchini molto simile a tale tipologia, che chiamarono appunto a pire.
I nostri orafi elaborarono un'infinità di collane, da quelle semplici costituite da vaghi olivali variamente sfaccettati e degradanti a quelle più complesse e articolate. Alcune erano formate da serie di conchiglie terminanti in un rosone filigranato con smalto centrale floreale; altre da cuori uniti da mezza luna; altre ancora da medaglioni incastonati alla rococò con cammeo centrale in corallo o in porcellana, sul quale erano incise o disegnate figure profane o sacre.
Infine vi erano collane formate da conchiglie intercalate da colombe, a doppio filo, senza medaglione terminale e collane formate da rombi con quadrifoglio...
Altra tipologia di collane semplici era quella di vaghi a traforo. Ma dove maggiormente si sbizzarrì l'arte creativa dei nostri orafi fu nelle cosiddette suste, la cui tipologia varia da quelle create dagli orafi di Monte S. Angelo a quelle meno elaborate ma più fini create dagli orafi di San Marco in Lamis.
Le suste più antiche erano formate da tre placche auree…
Altro tipo di susta era quello a doppio filo con inserimenti multipli di rosoni.
Infine vi era un ultimo tipo più ricco e più vistoso per la molteplicità dei vaghi di collana, per la quantità e varietà di rosoni e di medaglioni… Le suste create dagli orafi di San Marco in Lamis erano ad un solo giro, formato in alcune da una serie degradante di dischi a rococò con pietre incastonate di vario colore, in altre da mezze coppe auree. In tale tipologia rientravano anche le collane con castone centrale nel quale erano inseriti corallo o pietre varie, e con decorazioni geometriche floreali in oro granulato. Qualcuna presentava un medaglione terminale.
Le suste di San Marco erano molto accollate a differenza di quelle di Monte S. Angelo per alcune delle quali gli elementi decorativi arrivavano quasi vicino all'ombelico.
Gli orafi di San Marco, inoltre, non solo crearono gli orecchini “a pire” ma anche i tipi a pendulo impreziosito da corallo o da cristalli colorati, alla schiava, costituito da un grande cerchio con parte inferiore semilunata. Infine, ad imitazione di quelli cosiddetti francesi, crearono il tipo lamellato fatto a stampo con inserimento sulla placca di foglie e castoni per le pietre.
Gli oggetti cavi servivano per le classi meno abbienti.
Con lo stampo si creavano due pezzi simili, per esempio una conchiglia, i due rovesci di una mano, di una croce, di un cuore e poi li si saldava insieme. Poiché la lamina aurea era sottilissima, il prezzo era alla portata di tutti.
Le bordellerie o planterie fantasiose come pettinesse, collane, orecchini, catene rese vistose ed appariscenti da smalti, pietre colorate, erano più o meno eseguite quasi in serie.
L'orafo usava tutta una serie di utensili: tenaglie a punta, piane, a morsa piatta, a taglio; molle o mollette senza perno, ad uncino per prendere i crogiuoli ove egli fondeva l'oro e l'argento che poi versava nelle forme; tenagliette e pinze varie per la sagomatura dei fili aurei; morsetti a mano per tenere fisso il pezzo di metallo da lavorare. I martelli erano vari … I punzoni, di una varietà eccezionale, erano forgiati dallo stesso orafo onde poter ottenere conchiglie, foglie e fiori e tutto ciò che la mente creativa potesse immaginare.
Il tasso… Le lime … Infine c'era un mazzetto di filo di ottone che serviva a grattugiare l'oggetto da dorare: questo prima veniva cosparso di urina e poi passato all'avvitatoio; lo sporco prodotto dall'urina veniva eliminato con setole di maiale, con scopette e frasconcini.
Le coppe in rame servivano per sciogliere i vari tipi di mastice; il mantice fisso e a mano, la piastra in ferro, semicircolare con veri buchi, i crogiuoli e il carbone dolce per fondere i metalli preziosi; il salnitro, la borace e una bacchetta di ferro… Per ottenere le viti, in un primo tempo, l'orafo le sagomò a mano, successivamente usò la “vitiera”; per fare i fori usava un trapano a mano a cordicelle…
La pulitura e l'apparecchiatura degli oggetti era fatta con una emulsione di olio e polvere di osso di seppia, o anche con un'emulsione di olio e minio, lo sfregamento con tela di cotone, filacci di cotone, e con la ferula.
I monili, dopo essere stati rifiniti con vari tipi di limette, raschietti e bulini, subivano il trattamento di cui sopra.
Infine avveniva la doratura a 24 carati…
Gli anelli erano cesellati, impreziositi da incastonature di gemme e smalti o decorati con figure profane e sacre.
Nella più che molteplice creazione degli anelli da parte degli orafi garganici si riscontra una continuazione delle varie tipologie antiche; esse, pur differenziandosi nei disegni, permangono tuttavia nella figurazione di santi, di cuori e di motivi faunistici e floreali…
Vari erano i monili usati per arricchire la grande massa di capelli, la cui acconciatura terminava in un concio che le donne adornavano con spilloni a testa rigida o a fiore tremulo, o a testa traforata con pietre incastonate, o a testa granulata e filigranata, o a forma di spada con elsa filigranata e con pietre policrome o a testa a forma di ancora. Erano di moda anche le spatucce con le estremità tondeggianti o vistosi spilloni a rococò con pendagli e superficie granulata e filigranata arricchita di pietre policrome. Le pettinesse, sia d'oro che d'argento, presentavano al centro figure di santi in mezzo a motivi floreali applicati, sui lati pietre variopinte incastonate. La placca metallica contenente tale decorazione era circoscritta da un motivo a tortiglione, con zona apicale centrale più alta decorata a traforo.
La pettinatura era caratterizzata dalla scriminatura centrale, e da quattro trecce, due dietro e due ai lati delle tempie, che attorcigliate formavano la cosiddetta rutella o retomme. In sostanza era il tuppo tenuto da ferretti d'argento. Sul tuppo nei giorni festivi e di ricorrenze ricordevoli erano messi la pettinessa in oro e due spilloni filigranati con pendulo, nei giorni feriali, invece, la pettinessa in argento e la spatuccia…
Alle orecchie pendevano orecchini di svariate forme e di varia grandezza: a campana, a giarretta, a schappe, a pire, a penduli. Questi ultimi avevano o un corallo racchiuso da elementi d'oro granulato o cristalli di forma conica allungata, anch'essi racchiusi da oro fìligranato. Sia l'uno che l'altro tipo erano agganciati ad una rosetta anch'essa granulata e filigranata. Molti orecchini erano piuttosto vistosi sia per la grandezza che per la elaborata ornamentazione: a panierino fermati da un'ansa filigranata con smalto centrale ed un cestello pendulo con frange auree mobili...
La tipologia dei nostri manufatti, oltre all'influsso barbarico e bizantino, risente anche l’influsso arabo, come si evidenzia nello sbalzo e nell’incisione.
L'ultima officina orafa che ha funzionato fino a settanta-ottanta anni fa (a Monte Sant’Angelo) fu quella di Giuseppe Antonio Azzarone. Nell'esecuzione degli oggetti s'intrecciano e si sovrappongono tendenze e valori ben diversi e talora contrastanti, con vive note cromatiche di pietre dure, di pasta vitrea, di smalti. È un susseguirsi di piccole opere di minuto e raffinato lavoro, che sono la testimonianza di uno stile fluido e svelto, di un gusto eclettico e nello stesso tempo raffinato e scelto.
L'insieme di tutta questa produzione di monili e manufatti ornamentali ci dà l'immagine esatta di una successione di vita, alla quale tradizioni culturali antichissime hanno impresso una impronta di nobiltà e di solida e reale qualità.
Il 3 aprile 2003 chiesi a Paolo Torelli se potevo scattare alcune foto agli attrezzi del suo lavoro di orefice. Egli acconsentì. Vi presento alcune delle foto scattate.