Da Qualesammarco, n. 1 del 1988
Per una storia di S. Marco in Lamis tra ‘800 e ‘900
A proposito di una mostra di documenti di Tommaso Nardella
Nell'ottobre 1987, nei locali del Circolo “Borazio” è stata allestita una mostra di documenti di storia sammarchese. L'iniziativa ha coinvolto centinaia di visitatori. Purtroppo, dell'iniziativa non è rimasto materiale fruibile da parte di chi non ha avuto un contatto diretto. Proponiamo qui di seguito il testo con cui Nardella ha presentato al pubblico la mostra, e una riflessione di Giuseppe Soccio su quelle “carte”. Con l'auspicio che la mostra possa essere ripetuta ed accompagnata da un catalogo ed una presentazione più adeguata alla sua importanza ed invitando il Comune a rendersene promotore.
Questa mostra, nata da una libera esigenza educativa, dedico a Francesco Paolo Borazio, un uomo solo, semplice, povero ma di straordinario cuore e talento che 34 anni or sono, per l’ultima volta passò, inosservato, per le vie del borgo.
I “pezzi” esposti rappresentano solo il 4 o il 5 per cento del materiale documentaristico esistente, per la cui visione occorrerebbero ben altri spazi con ben altre strutture, ma sufficienti nell’offrire al visitatore uno spaccato di vita sammarchese dagli albori della dominazione francese nel Regno delle Due Sicilie all’avvento dell'odierna democrazia.
Libri, allegazioni forensi, opuscoli di vario genere, necrologi, giornali, fogli volanti, dispacci reali e governativi, dagherrotipi, fotografie, immagini sacre e “amenità” di varia natura, raccolti in decenni di fruttuosa ricerca, testimoniano anche del fervore di attività dell’indigena intellettualità tra innumerevoli e persistenti condizionamenti e travagli ambientali acutizzati da una plurisecolare emarginazione storica determinata, in larga misura, dal parliculare cui mirarono, nel tempo, torbide consorterie di faccendieri badiali usurpatori, tra l'altro, di ben 12 mila ettari di terreno demaniale.
Un flagello di biblica dimensione che deve far riflettere.
Quando, in regimi liberali e no, si baratta la memoria con la filosofia del contingente, appannandosi le prospettive del comune crescere civile, si incontrano, dietro l’angolo della strada, altri e più drammatici flagelli di cui, per nemesi storica, si resta tutti vittime.
Tommaso Nardella
Di fronte al lavoro o, meglio, lavorio di Tommaso Nardella ed alla esposizione di una esigua percentuale del materiale da lui raccolto si è presi da un senso, se non di vergogna, quantomeno di amara constatazione: istituzioni insensibili e volontà di occultamento di privilegi hanno in parte distrutto, con i documenti, la possibilità di ricostruire vicende, e loro contorni ed implicazioni, per niente marginali, secondarie o, come si dice con termine solo volgarmente diminutivo nel valore della ricerca storiografica, locali.
Se a tutto ciò poi aggiungiamo il disprezzo per l’impegno storiografico da parte di chi, e forse siamo la maggioranza, non ama la ricerca della verità perché, prima o poi, deve fare i conti con le proprie ipocrisie o con la propria pigrizia intellettuale e morale, il quadro è di una desolazione angosciante, ma che ben spiega il grigiore, l’immobilismo e la scarsa tensione civile della nostra comunità locale, prigioniera di scimmiotteschi arzigogolii e di strafottenti “rendite” di potere.
Tommaso Nardella sembra ossessionato da “Palazzo Badiale”, luogo e metafora del coacervo di insipienza, di sottile calcolo, di simulazione e dissimulazione che 'per secoli, fino al nostro presente, ha imbrigliato, ora con la forza ed il terrore del potere più torvo ora con le edulcorate lusinghe e la pilotata partecipazione, energie fresche e sanguigne, ingenuamente, ma anche vitalmente, tracimanti entusiasmo e fiducia.
Ma, prima di passare ad altre considerazioni e prima di sviluppare quelle già svolte, tentiamo di organizzare, sia pure limitandoci ad alcune delle possibili angolazioni di lettura, il materiale messo in mostra.
Innanzitutto, non è possibile comprendere il valore dei documenti esposti se non li si concatena a quella ampia e vasta, se pur singolare, vicenda storica che caratterizza tutto il Meridione d’Italia. Tanto per fare un esempio, quando nell’inchiesta “Massari” sul brigantaggio ci imbattiamo (ed è significativo che questo brano sia riportato nel volume del Villari Il Sud nella storia d”Italia) nei “terrazzani” e nel comune di S. Marco in Lamis, a parte le inesattezze, è chiaro che ci troviamo di fronte ad avvenimenti che hanno segnato le vicende nazionali.
Si dirà: è una ovvietà. Ma, spesso l'ovvio ha incoraggiato la pigrizia di cui si diceva sopra a favore dell'oblio e della rinuncia alle considerazione critica.
Allo stesso modo, una semplice lite, e conseguente azione legale, per l'esercizio di diritti e di giurisdizione su un incarico ecclesiastico o su un appezzamento di terreno deve necessariamente ricondurci al sistema feudale, al periodo francese dei napoleonidi, alle loro “leggi eversive della feudalità” ed a quanto ne è conseguito e ne consegue fino ai nostri giorni.
Lo stesso vale anche per la stagione del socialismo che conquista numerosi municipi ma che, soprattutto al Sud, vede ancora una volta “i paglietti”, di galantiana e salveminiana memoria, protagonisti del gioco gattopardesco del cambiare tutto per non cambiare niente.
Queste “carte vecchie” (come scherzosamente ma appassionatamente le ama definire il Nardella) hanno, perciò, già un loro intrinseco valore in quanto documenti immediati e puntuali di letture e sistemazioni storiografiche, e dal punto di vista della comprova di tali letture e sistemazioni e dal punto di vista di quanto da esse promana nella storia delle idee.
Purtuttavia, intrinseco vi è un altro valore ed è quello della specificità dei fatti documentati: un ambito territoriale ben definito (S. Marco) ed altrettanti periodi ben delimitati.
Carlo Marx affermava che “l'anatomia dell'uomo è la chiave per la comprensione dell'anatomia della scimmia” e, quindi, della sua evoluzione. Nel nostro caso: partendo dalla struttura attuale del nostro comune, possiamo a ritroso ricercare le cause e le vicende che l'hanno prodotta. Solo tale sforzo può riscattare la storiografia locale della sua classificazione di “storia antiquaria” di cui Nietzsche, nella Seconda considerazione inattuale - Sulla utilità e sui danni della storia per la vita, cosi, tra l’altro, afferma: “Ciò che è piccolo, limitato, tutto ciò che è invecchiato e decrepito trae la sua dignità e inviolabilità dal fatto che l’anima conservatrice e veneratrice dell’uomo antiquario si trasferisce in quegli oggetti e se ne fa un intimo nido. La storia della sua città diventa per lui la sua storia; quelle mura, quella porta turrita, le ordinanze municipali, le feste popolari, sono per lui come un diario illustrato della sua giovinezza e in tutto questo egli ritrova se stesso, la sua forza, le sue energie, le sue gioie, le sue opinioni, ed anche la sua follia ed i suoi disordini”.
E, Tommaso Nardella riesce a portare fuori della “storia antiquaria” le sue ricerche, per consegnarle alla valutazione critica ed alla passione civile. Con troppa faciloneria, che a torto si crede avallata da uno storicismo mal digerito, si afferma che “la storia è maestra di vita”. Se cosi fosse, da tempo le luci dovrebbero prevalere sulle ombre. Ma, non è cosi. E, allora: il quadro poco radioso che emerge di una comunità nelle sue espressioni istituzionali è tale per mancanza di documenti o è tale per la scelta che ne ha fatto il Nardella? Viene da pensare, per rispondere contemporaneamente a queste due domande, che l’incuria, dimostrata da tanti nella conservazione del materiale documentario, ha solo risparmiato al curatore di questa mostra, e a noi tutti, tinte più fosche.
E non poteva essere altrimenti, se il risultato di secoli di storia è quello che si dispiega, inquietante ed incerto, di fronte ai nostri occhi: una popolazione in costante diminuzione, strutture economiche inesistenti dal punto di vista di una produzione duratura e in progressione, un rapporto ancora tutto da costruire tra cittadini e istituzioni.
Se dal presente, quindi, dobbiamo riandare al passato è quasi meccanico, quasi scontato che ci si debba imbattere in testimonianze per niente edificanti, da cui bisogna rifuggire se comunque dalla storia si vuole trarre un qualche insegnamento. Così ci spieghiamo l’abbondanza di liti, di causidici e cavillosi personaggi. Così ci spieghiamo la conservazione solo di manifesti per “cacciatori di taglie”, dietro i quali non balena alcun segnale di umanità, se non quello che promana dal corale silenzio, tutto da interpretare, di gente estenuata dalla fatica di sopravvivere.
Certo, e per fortuna, non mancano anche gli esempi che emergono dal “fondo limaccioso della valle”. Anche questo è puntualmente documentato, così come lo è la presenza di patetici, per niente irritanti, e da guardare con tollerante comprensione, tentativi di dare comunque alla propria esistenza una tonalità meno grigia.
Giuseppe Soccio