Da Archivio Storico Pugliese del 1999
Brevi note sulla chiesa collegiata di San Marco in Lamis 'di Badia Insigne e di Regio Patronato'
In realtà i volteggiatori transalpini percorreranno la 'strada maestra' sammarchese ma solo per dirigersi alla volta di Monte S. Angelo ove soffocare sul nascere focolai reazionari alimentati dal clero palatino che poi lamenterà "il saccheggio del Sacro Speco" (Nota 7).
L'ingresso ufficiale nella storia garganica dei casali di San Giovanni (ora San Marco) in Lamis, San Giovanni Rotondo, Rignano, Castelpagano, Sannicandro e Cagnano risale al 1095, epoca nella quale il normanno Enrico, conte di Monte S. Angelo, confermò all'abate Benedetto tutte le donazioni e concessioni fatte al monastero di San Giovanni 'de lama' dai catapani bizantini in un breve arco di tempo che va dal 1006 al 1052 (Nota 8).
Per quanto attiene invece alla prima chiesa del nostro casale, scarne, ma non per questo meno significative, sono le notizie che si ricavano dalla lettura di un 'privilegium' rilasciato in Palermo il 7 maggio 1176 all'abate benedettino Gualterio da Guglielmo II il Buono nel quale il re, oltre ad affermare la sua protezione sul monastero, soggetto solo alla giurisdizione pontificia, fa, per la prima volta, esplicito riferimento 'ad Ecclesiam Sancti Johannis de lama cum castili' (Nota 9).
Deve essersi trattato di una modesta cappella, costruita nel rione Palude, primo nucleo abitativo, cinto da mura, nel quale avrebbero trovato rifugio, secondo una consolidata leggenda orale, i superstiti abitanti di Arpi, distrutta dai Saraceni.
Ma dal buio fitto di oltre tre secoli un fioco lume consente di riprendere i fili di un'esile trama ricostruttiva sulle complesse vicende di una 'delle più illustri' istituzioni ecclesiastiche del Mezzogiorno d'Italia.
Dalla lettura di un superstite registro settecentesco sullo 'Stato dell'insigne chiesa Collegiata di San Marco in Lamis', ci è dato conoscere che il titolo di Collegiata fu decretato da Paolo III nel 1540, nel sesto anno cioè del suo pontificato e che sempre nel medesimo anno venne fondata la confraternita del SS. Sacramento il cui oratorio nel 1559 verrà allogato nell'ospedale di S. Michele costruito probabilmente nelle vicinanze della chiesa. Aumentato il numero dei confratelli nel 1610 si diede vita ad un'altra confraternita con il titolo di Santa Maria del Carmelo che nel 1649 si trasferì 'nella cappella di S. Antonio Abate fuori le mura'. Varie le sue incombenze e obbligazioni: 'in ogni prima domenica del mese, nelle feste della Beata Vergine dopo i vespri deve fare una processione attorno alla chiesa; lo stesso deve fare nel Corpus Domini, l'Ascensione, domenica delle Palme, nella festa di San Marco, nei sabati di Quaresima; dopo il tramonto del sole, eccetto il sabato della settimana santa, nel giovedì santo con fracchie e ogni qualvolta per qualsiasi causa sarà comandato dai superiori come dispose il cardinale abate nella visitazione'.
Ogni anno la confraternita 'è tenuta, come previsto da bolla a presentare all'abate una fracchia di tre libbre: [corrispondenti a kg. 11, 520. N. D. R.] ma l'abate si contenta di una offerta di fiori'.
Nell'archivio della chiesa metropolitana di Benevento si conserva un dettagliato elenco delle "Opere pie fatte a gloria di Dio, della beatissima Vergine e dei Santissimi suoi avvocati” del cardinale Nicolò Coscia dal 1699 al 29 maggio 1724.
Unita alla chiesa costata 2550 ducati, somma di tutto rispetto, venne pure costruita la dimora dell'abate commendatario, una 'casa palazziata' cui prestò, con la qualifica di 'lapicida e maestro d'arte', Simone Vincitorio autore nel 1724 di portali di stupenda fattura (Nota 10).
Ma tra le finche del sopracitato inventario si legge anche dell'altro: 'Soccorso dato all'università per liberarla dai Commissari regi e tre volte speditevi un prete degno per istruire quel clero rozzo e quel popolo ignorante della dottrina cristiana a sue spese ducati 100' (Nota 11).
Sulla rozzezza del clero e sull'ignoranza del popolo non è che sua Eminenza si sia sprecato granché se si considera che 'in soli sei anni di pontificato del vecchio cardinale Vincenzo Maria Orsini, ex arcivescovo sipontino, il [Coscia] comprò fondi nel regno di Napoli per oltre un milione di ducati' (Nota 12).
Il 9 maggio 1733 la Congregazione romana detta 'de nonnullis' emise nei suoi confronti una dura sentenza di condanna per cui venne spogliato di tutti i suoi beni, obbligato a pagare 2000 scudi a favore della Camera Apostolica, scomunicato e relegato per 12 anni in Castel Sant'Angelo (Nota 13).
Una storica rivendicazione sociale dettagliatamente sanzionata in un lapideo documento murato e ben leggibile in un corridoio di Palazzo Badiale.
Il secolo successivo non offrirà novità degne di rilievo o comunque tali da modificare il tradizionale assetto giuridico dei possedimenti badiali sui quali dal numeroso clero si pretese fin dal 1664 la riscossione delle decime sacramentali, prediali e personali. Un nuovo giro di vite fiscale per la già stremata economia locale: 'su tutti li cittadini ed esteri abitanti sopra tutti li territori siti intus et extra districtum et nomadi anche di portata come Parano e Faranello di pagare un tari per ogni trenta sopra il grano, orzo, avena, legumi, lino, canapa ed ogni altra sorte di semento ed anche sul vino mosto' (Nota 14).
"Né valsero i ricorsi al presidente governatore della Dogana di Foggia né le prescrizioni, talora contraddittorie, del tribunale della Regia Camera a mitigare le richieste del clero; proteste e rappresaglie di vario genere consiglieranno successivamente ad un più cauto atteggiamento il principe di Stigliano, amministratore dell'abbazia per il figlio mons. Nicola Colonna, poi cardinale. Su parere di Francesco Antonio Ricciardi, rinomatissimo avvocato della città di Foggia, il principe convocò in assemblea trecento massari di campo allo scopo di trovare una soluzione che fosse concordemente accettata da entrambe le parti. Venne redatto un 'instrumento' articolato in sette capitoli mediante i quali si legittimava e normalizzava un più equo prelievo di tributi a favore del capitolo" (Nota 15).
Una tregua di breve durata se nel biennio 1739-40 si registrarono in San Marco in Lamis gravi episodi di violenza ai quali fa riferimento Giovanni Brancaccio, soprintendente generale delle rendite reali e segretario di stato, in un dispaccio diretto al governatore di Foggia nel quale, tra l'altro, così afferma:
'... parte de los ciudadinos de la Fara de S. Marco in Lamis en la union de gente ha accurrido o tumulto y homicidios acaheridos en persona de Matheo y Juan Napoletano Jatta por la déferencias que pasaron, con motivo de una protesta que imentaron haver algunos naturales de dicha Fara por los gastos que avian de occasionar en la Camera de la Summaria, por causa de la prelacion del afito de aquellas rendas abadicales contra D. Francesco Freda'. (Nota 16)
'Ben conobbi', ricorda il D'Afflitto, 'non ha guari nella terra di San Marco in Lamis dove tra i disturbi delle cose giurisdizionali, giunti a nausea dei regi ministri e dei superiori ecclesiastici, per la procedura di taluni, fui destinato a governare quella gregge e a componere gli animi tra di loro scissi e discordi'. (Nota 18)
Teorica enunciazione di saldi principi di giustizia amministrativa cui però non fece riscontro non l'eliminazione ma almeno la riduzione di soprusi vecchi e nuovi ai danni di quel gregge non sempre disposto ad emettere solo belati di cristiana rassegnazione'. (Nota 19)
Ancora più dura divenne, sul finire del secolo, la condizione esistenziale delle classi subalterne a causa di congiunturali calamità quali terribili carestie, bibliche invasioni di bruchi ed endemiche malattie da costringere il sindaco Michele Nardella a convocare, in assemblea straordinaria, nella chiesa del Purgatorio 'la più sana parte dei cittadini per la vendita di sei difese acciò il popolo non perisca di fame'. (Nota 20)
Nel 1792 contava San Marco 8.067 abitanti (Nota 21) a carico dei quali si aggiunse, da parte degli amministratori badiali, anche la tassa sul granoturco. Richiesta del tutto arbitraria contro cui intervenne direttamente Ferdinando IV con dispaccio del 9 luglio nel quale diffidava 'il conduttore dal molestare quelli coloni che seminano i territori della badia per la pretesa ingiusta ed esorbitante esazione del terraggio del grano d'India, dovendo soltanto esigere il terraggio sulli altri generi secondo il solito antico e secondo il costume dei luoghi convicini'. (Nota 22)
In realtà il Francone 'credendo poter profittare della sede vacante, agognerebbe incorporare quella chiesa alla sua bastantemente vasta e ricca diocesi'. Non solo. Ignorando che a norma delle leggi di polizia ecclesiastica allora vigenti, l'amministrazione temporale non poteva che essere gestita dal Monte Flumentario di San Severo, arbitrariamente procedette alla nomina del sacerdote Fortunato Maria Montesano in sostituzione dell'arciprete Leonardo Antonio De Carolis. 'Ma incontra egli le giuste opposizioni di quella popolazione e di quel rispettabile collegio' che incaricò l'avv. Marco Rotondo (Nota 23), di redigere in merito una memoria difensiva che presentò nella segreteria della Real Camera di S. Chiara il 17 novembre 1796. Nel marzo dell'anno successivo 'la città di San Marco in Lamis' affidò all'avv. Pietro Natale (Nota 24) la difesa, in fatto e in diritto, della legittimità della nomina del vicario da parte del locale capitolo 'contra l'insussistenza degli argomenti che si recano generalmente dalla sede sipontina e lo stabilimento espresso dal Concilio Tridentino che concede al clero il diritto di eleggere il suo vicario capitolare'.
Il marchese Ippolito Porcinari 'caporuota' e i giudici Mazzocchi, Targiani, Peccheneda, Bisogni e Vollero accolsero in pieno le tesi sia del Rotondo che del Natale sentenziando che 'l'elezione del vicario capitolare spettava al collegio e quella già fatta capitolarmente era canonica'.
Coincide l'epoca con una vasta invasione da parte di privati cittadini di terre demaniali con la rapida creazione su di esse di parchi e con spostamenti e distruzione di termini lapidei.
Il Giuliani è indubbiamente mosso, nel compilare la memoria, dal desiderio di far conoscere ai concittadini una pagina di storia della loro chiesa della quale fu anche attento amministratore e che 'ora è quasi dimenticata per deficienza di buona direzione'. Non a caso nel settembre del 1856 offrirà copia della sua ricerca al primo vescovo della nuova diocesi di Foggia, a Berardino Maria Frascolla 'messo del cielo a sollievo e risorgimento di una Chiesa abbandonata'.
Il risorgimento ci sarà ma non quello auspicato dal Giuliani, padre di due sacerdoti (Nota 25), che vedrà il suo vescovo, contrariamente ai tanti che stettero alla finestra in attesa di eventi, scendere in campo, a viso aperto, per contestare (Nota 26) la legittimità della conquista del Sud da parte di un regime liberale che non esiterà a chiuderlo, per alcuni anni, in una lontana fortezza lombarda.
Nei terribili momenti della reazione borbonica il clero fedele alle disposizioni della Sacra Penitenzieria romana e dell'ordinario diocesano (Nota 27) si servì anche del confessionale per eccitare il popolo alla rivolta per cui verrà costretto dal governatore Gaetano Del Giudice e dal generale garibaldino Liborio Romano a pagare, quale tassa di guerra, la somma di tremila ducati e
Sono i giorni dell'ira che andranno stemperandosi man mano che i 'casi di coscienza' (Nota 28) diverranno sempre più numerosi e che frutteranno alla Collegiata l'erezione, nel 1879, di un ben radicato campanile a tre ordini, aperto da finestre mistilinee al primo ordine, ovali al secondo, centinate al terzo, a spese dell'amministrazione comunale e con il contributo di privati cittadini e dello stesso clero (Nota 29). Lo inaugurerà solennemente il 1880 il vescovo di Foggia mons. Geremia Cosenza.