Da Rassegna storica del Risorgimento, 1997, Pagg. 545-547
Recensione del libro
Nello Biscotti, Padre Michelangelo Manicone. Un dimenticato naturalista del Settecento, con prefazione di Grazia Francescato; Foggia, Claudio Grenzi Editore, 1996, in 8, pp. 94. S.p.
Tommaso Nardella
Ex lettore giubilato in sacra teologia, ex provinciale dei Minori Osservanti, in quest'opera non smentisce il suo gusto per i lumi sia nel descrivere il Tavoliere che il Gargano le cui popolazioni, ad economia curtense, sono per secoli vissute ai margini della storia.
Miseria ed ignoranza diffuse, ricorrenti epidemie endemiche, ossessive invasioni di bruchi, calamità naturali di diverso genere e natura, mancanza di strade, perniciose cesinazioni, indiscriminato disboscamento fanno, grosso modo, da sfondo ad uno spaccato di vita provinciale che conserva la fresca e tormentata realtà di un'epoca di transizione per un nuovo ordinamento politico dalla feudale amministrazione borbonica, avvolta in un ginepraio di vincoli, di limitazioni e di disuguaglianze sociali, a quella propugnata dall'illuministica concezione del principio della sovranità della legge uguale per tutti e del diverso concetto della proprietà privata.
A dir poco rivoluzionarie le Riflessioni chimico-fìsiche sopra il cimitero di Vico Garganico, ove nacque nel 1745, apparse in Napoli nel numero 28 del Giornale Letterario del 1794 e recensite dalle Effemeridi Enciclopediche dell'anno successivo, contro il mefitismo determinato dalla consuetudine di seppellire i morti nelle chiese.
Elogiò ed aiutò un suo ex precettore e concittadino, il canonico Pietro Finis, nell'aspra, dura lotta per la costruzione di un cimitero fuori dal centro abitato sopra un delizioso amenissimo colle sul quale l'erudito e costumato giovane Francesco de Lallo di Pescopennataro costruì un'ampia cappella in stile dorico sulla cui facciata il Manicone fece probabilmente incidere, con chiara allusione al nome e cognome dell'amico, la seguente epigrafe: D.O.M. / Siste mortalis / Quis pietatis auctori / Nome operi consonat / Petrus petram Finis finem / Aeternitati sacrat / Ne tu cineris / Nec cinis tui / Sit immemor / Hoc memoriale / Posteritati dat / Anno Reparatae Salutis millesimo septingentesimo nonagesimo secundo.
‘Or che dovrebbero fare i miei riconoscenti compatrioti? Non altro ch'ergergli una statua’.
Per aver liberato i suoi compatrioti, annoterà malinconicamente, ‘dal ferale ed insopportabile puzzo cadaverico della Collegiata’, una pioggia di insulti e di minacce si abbatté sul malcapitato prevosto, inconsapevole precursore del napoleonico decreto di Saint-Cloud, sfuggito per miracolo alla fanatica violenza dei suoi paesani.
E di continui profondi contrasti fu costellata larga parte della sua esistenza sia fuori che dentro i chiostri per le sue idee anticonformiste e sia per aver sostenuto in un opuscolo stampato a Napoli nel 1795 che per il bene del francescanesimo i frati fossero pochi e che fossero tutti probi, onesti e di vita esemplare liberi di pensare e di ragionare [...] distinti nel mondo dell'arte e della scienza nella quale non hanno diritto di cittadinanza ‘i padri buzoni, scellerati schiodacristi, chiesolastri e graffiasanti’.
Giudizi che scatenarono la reazione di un suo anonimo ex allievo che non esiterà in un pamphlet dal titolo Il buon senso al molto reverendo padre Michelangelo da Vico, vero cimelio bibliografico, edito senza luogo di stampa né data (ma 1795), a muovergli severe accuse di falsità, ambizione, smodato protagonismo e odio contro i confratelli; accuse che si stempereranno, verso la conclusione della polemica, nella colorita rozzezza di questo consiglio: ‘Giacché dunque non è da sperarsi in voi, maestro, il letterato e il filosofo, datevi all'agricoltura e alle arti compagne che voi tanto ai vostri frati insinuate. Incominciate da questo punto a lavorare o di qualche aratro o di qualche sarchiello; e se non avete boschi da convertire in giardini, montagne da tramutare in oliveti ed in vigna, deserti da ridurre in agiate popolazioni, coltivate almeno il giardino del vostro convento e rendetevi utile al vostro serafico ordine col far non già il filosofo ma l'ortolano; col seminar legumi, col piantar albori e col portar in cucina verdi e fronzuti cavoli’.
Polemica nata in una temperie di forti tensioni morali che, senza dubbio, incresperà la serenità dell'uomo di chiesa ma non la coscienza dello scienziato sempre vigile nella denunzia di un altro ‘flagello’ che lo coinvolgerà, con violenza devastatrice, nei moti sanfedistici di San Severo.
L'antica dissidenza al regime di Ferdinando IV, pubblicamente sottolineata in varie occasioni e circostanze, con l'entusiastica adesione alle novità repubblicane lo resero ancor più inviso a quanti, ed erano tanti, non aspettavano che l'occasione propizia per fargli pagare con la vita il fio della sua scelta ideologica.
Sfuggì rocambolescamente alla lazzaronesca carneficina sanseverese assieme al vescovo Gian Gaetano del Muscio, altro giacobino, trovando scampo nella masseria di Alicandro Ciufelli di Sulmona in contrada Mandramurata in agro di Apricena, alle pendici di Castelpagano ‘nelle cui grotte o nei suoi tuguri scavati nel vivo sasso’ stette nascosto con il suo ex professore di matematica sublime e di fisica all'università di Napoli, fino a quando le truppe del generale Duhesme non disfecero nella battaglia degli ulivi del 25 febbraio ‘quella testa grossa di regi a Sansevero’.
Agli albori del decennio francese lo si ritrova nel ‘piccolo e povero convento di Ischitella per vivere vita religiosa e tranquilla’ ma anche per riprendere gli studi utili alla Daunia e allo Stato.
Personaggio scomodo e inquieto, sempre dignitoso nei suoi accenti e nelle sue affermazioni, moralmente isolato dai superiori religiosi, mortificato da violenti attacchi di podagra, chiuse la sua terrena giornata nella più assoluta indigenza, nella terra natale di Giannone, il 18 aprile 1810, come è allibrato nel registro dei morti della provincia monastica di Sant'Angelo; vana invece la ricerca del suo nome in quello dei necrologi conservati nell'archivio dei frati minori di Foggia.
[*] Gaetano Antonio Gualtieri, Il pensiero filosofico di Francesco Longano (1728-1796), s. d. (2017?): ... Francesco Longano è stato un importante esponente della scuola di Antonio Genovesi e, più in generale, dell’Illuminismo italiano. In questo saggio si mette in evidenza come al centro dell’interesse di Longano vi fosse una nuova concezione dell’uomo, esaminata a partire da una delle problematiche più pregnanti della filosofia moderna: il rapporto anima/corpo. La stretta unione fra anima e corpo prefigurata da Longano conduceva a rivalutare quelle componenti umane che, come la fantasia, le passioni e la dimensione psicologica, erano state un po’ messe da parte dalla concezione rigidamente razionalistica diffusa nel XVIII secolo. Analizzando l’uomo nella sua interezza, Longano poteva affrontare senza preclusioni anche i temi della libertà e dell’uguaglianza, ispirandosi a pensatori come Rousseau, Montesquieu ed Helvétius.
L’approfondimento di queste problematiche, unito all’interesse per questioni di tipo economico, condussero Longano a proporre persino un piano di riforme da attuarsi nell’Italia meridionale. Nel contesto di queste riforme, Longano auspicava il superamento delle strutture feudali e baronali attraverso una nuova ripartizione del territorio e delle campagne, comprendente la formazione della piccola proprietà contadina.
Tuttavia, la difficoltà di rendere attuabile un simile programma portò Longano a rifugiarsi nell’utopia, espressa in particolare nella seconda stesura del suo libro intitolato Viaggio per lo contado di Molise, in cui egli condensò il suo disegno riformatore in una città chiamata Filopoli. ...
T. Nardella rezensisce M. Manicone
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