
I contadini e gli agricoltori hanno disposto le loro case sulla strade che li portano a lavorare alle vicine pendici del Gargano, dove i detriti della montagna hanno reso lussureggianti le ampie distese di ulivi, o li portano sulle caratteristiche lande pianeggianti rese deserte dalla malaria che un giorno vi ha infuriato da padrona lasciando dietro di sé la testimonianza di una solitudine che oggi è rotta solo dalla presenza di qualche mandra di bufali che bruca un'erba rada e filiforme. Dove la terra emerge di qualche metro sul livello del mare non vi è che tufo, uno 'smalto', che sembra rimuovere da sé ogni possibilità di una vera e propria vegetazione, e dove si abbassa all'altezza del mare od anche al di sotto (a meno che non vi sia giunta l'idrovora che ridona alla luce del giorno il fondo del pantano) non vi è che acqua stagnante e limacciosa. Un ambiente favorevole alla caccia, alle sortite brevi, alla sosta di una giornata. I casolari costruiti con abbondanza di materiali e senza economia di spazi sono lontani l'uno dall'altro divisi da enormi distanze, divisi dalla comunione con gli uomini, come testimonianze di tentativi sovrumani fatti per superare le avversità del luogo. Tentativi compiuti in tempi lontani anche da ordini religiosi, che poi hanno ceduto abbandonando tesori di scultura e di arte, quali quelli compendiati nell'oasi di San Leonardo, che di tanto in tanto si cerca di abbellire e di popolare sempre senza successo. Gli uomini vi passano come ombre. Dì vivo non vi resta che l'immagine del mandriano, la sagoma di qualche carretto che si staglia sull'ampio ponte del Candelaro sospeso su un mondo che sembra tutta una cosa con la immensità del mare, l'andar trepido di un cacciatore, l'ansimare della macchina o del treno che ti riporta dove a te pare che sia stabilita la vera stanza degli uomini. Un mondo avvolto in un'atmosfera di fuga, di corsa o di scampo. Gente che non vuol sentirsi sola, gente che non riesce a dominare la campagna o che va correndo come dinnanzi a un nemico che ti insegue. Una psicosi di devastazione tramandata dagli antichi sipontini, dai primi manfredoniani superstiti del maremoto e della successiva infestazione malarica, che seppellirono l'antica Siponto fondata dagli Elleni della prima colonizzazione.
Corsero al sicuro su di una costiera piú alta, proprio là dove Manfredi stava costruendo quello che poi al Lenormant, lo storico della Magna Grecia, è parso 'opera d'ingegnere piú possente e meglio architettata che abbia lasciata il secolo decimo-terzo'. Alla campagna va strappato tutto quello che può offrire, di corsa, senza essere eccessivamente abitata. E cosí, tolti i giorni della maggiore attività, al tempo della semina o del raccolto, la gente di campagna, che poi corrisponde ad una buona metà dell'intera popolazione, vive in città, alimentando la vita dei circoli, delle piazze, dell'interminabile corso centrale, di ogni manifestazione piú propriamente sociale.
Ma i marinai (pescatori, pescivendoli e calafati) vivono per conto proprio, tagliati da tutti quanti gli altri. Un grande esercito di uomini valorosi (80 motopescherecci, 170 motobarche, 243 removelici), che si muove di tutte le stagioni per nutrirsi del mare che sentono veramente tutto loro. Le case che abitano sono tante logge che spiano soltanto sul mare. Sulle imbarcazioni che sostano in attesa di prendere il largo, su quelle che si stagliano lontano all'orizzonte, su quelle che tornano cariche di quel pesce, di cui riescono ad imporre e per la qualità e per l'abbondanza un primato non solo nelle Puglie, ma in tutto il Mezzogiorno. Un'attività incessante, che è in rapporto inverso con le possibilità di penetrare nella parte viva della società. I loro stessi circoli li riuniscono solo per il resoconto di un viaggio o per la 
Loquaci e ciarlieri gli agricoltori, muti o di brevi cenni i marinai.
Nonostante questa comunione di origine, linguisticamente la cittadina è sensibilmente divisa. Una lingua che presenta tanti piani, su cui gli abitanti piú che per ceti vanno raggruppati per generazioni. Molti manfredoniani lasciano la loro terra per trovare delle fortune migliori, ma sono ancor di piú quelli che si ritirano a Manfredonia. La cittadina, dove gli originari continuano a battere la stessa strada degli antenati di epoche incalcolabili, è meta ambita degli abitanti di Monte Sant'Angelo e dei cittadini del capoluogo della Capitanata.
I primi, i montanari, che fino ad oggi ascendono ad un numero che corrisponde a non meno di un quinto della intera popolazione manfredoniana, si sono arroccati nel quartiere piú alto della città. Vi hanno trasferito il culto del loro Patrono, al quale hanno dedicato la moderna Chiesa di San Michele, e vivono legatissimi alle loro tradizioni e alla loro lingua. Restii ad accogliere ogni influenza da parte degli ospitanti, compatti premono sulle abitudini e sulla lingua di Manfredonia.
Foneticamente e lessicalmente. Ed i Manfredoniani interpellati per lo svolgimento del questionario dell'Atlante Linguistico, quelli che hanno accompagnato il colloquio con le fonti principali, talvolta sono stati divisi nella risposta. Alcuni hanno risposto con l'antica voce manfredoniana, ed altri con la voce venuta dal prestito dei Montanari.
I Foggiani poi, che arrivano a Manfredonia per utilizzare la spiaggia locale e quella della nuova Siponto, sono numerosissimi, al punto da dare l'impressione che ormai il golfo, specialmente nella stagione balneare, diventa cosa tutta loro. Influenzano naturalmente anch'essi lo svolgimento della parlata manfredoniana.
A Manfredonia
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