garganovede, il web dal Gargano, powered in S. Marco in Lamis
Vittorio De Filippis
I brani che seguono sono stati scovati nell'edizione digitale della rivista La Capitanata del 1982 e 1983. Ho deciso di renderli pubblici perché ho pensato che potevano essere benissimo il testo di una sceneggiatura cinematografica. Un vecchio emigrato ritorna al suo paese e, prendendo lo spunto da due pubblicazioni, lo descrive e ricorda ...
Sono poche le notizie che ho raccolto su questo autore sammarchese.
L'autore degli scritti si chiama Vittorio De Filippis, che non è uno scrittore di professione anche se scrive bene. E' nato a S. Marco in Lamis agli inizi del '900 ed è morto a Varese verso la metà degli anni '80 del '900. E' stato Presidente dell'Ordine dei Medici di Varese. Ho arricchito i testi utilizzando il linguaggio dell'ipertesto multimediale.

Il torrente Jano nella storia di S. Marco in Lamis
(appunti etimologici)

Come scorre il torrente Iana.
Come scorre il torrente Iana.
L’età avanzata mi rappresenta con urgenza il bisogno dello spirito di ordinare ricordi d’infanzia, meditazioni dell’età matura e ruminazioni tardive su quello che fu il corso di un torrente, oramai ridotto a tombone fognario, il quale nei tempi determinò, a mio parere, la
S. Marco in Lamis è posta sulla faglia sismica di Mattinata, che inizia nella omonima cittadina e termina a Stignano.
S. Marco in Lamis è posta sulla faglia sismica di Mattinata, che inizia nella omonima cittadina e termina a Stignano.
storia di San Marco e del suo insediamento umano, sempre servendolo con immobile e fluente presenza.
I giovani ed anche quelli in età matura, non vecchi, conoscono un tombone, conobbero e forse ricordano un 'canalone', non ricordano più che quel canalone ebbe per secoli (duemila anni o più) il nome di torrente Jano, Iana secondo Tommaso Nardella.
A quel torrente, che il nome caratterizzò e definì, ritengo legata la varia fortuna di S. Marco, da palude a centro fiorente di commerci e di arti e mestieri, a moderno borgo montano quale sta diventando.
Non so se porto vasi a Samo o nottole ad Atene; ma le cose, che dirò, non le riferisco per averle sentite dire prime.
Il promontorio del Gargano come appare ai viaggiatori che provengono da nord.
Il promontorio del Gargano come appare ai viaggiatori che provengono da nord.
La folgorante illuminazione sul nome del torrente, e sul suo significato, la ebbi tornando a S. Marco, dopo molti anni di lontananza, in una mattina di estate della mia età matura, vedendo il massiccio del Gargano quale mi appariva, avvicinandomi ad esso da San Severo.
Chi faccia quella strada vede il fronte compatto dell’acrocoro garganico scendere a picco sulla pianura al suo sud, e torreggiare curvando verso ovest. In questo fronte compatto una ampia fessura si addentra nella montagna da ovest - sud - ovest, e verso quella fessura vi conduce la strada che seguite, per andare da S. Severo a S. Marco.
La strada che porta da S. Severo a S. Marco in Lamis ed all'interno del Gargano.
La strada che porta da S. Severo a S. Marco in Lamis ed all'interno del Gargano.
Questa è l’unica apertura del Gargano verso il resto del mondo a sud, unica via naturale di traffico e di accesso rapido.
Per gli insediamenti umani la cosa è diversa, sorgendo tali insediamenti lentamente negli anni, influenzati da condizioni ambientali e sociali varie; mentre non è sempre determinante per essi la ubicazione lungo le strade. Indifferente quindi, per gli insediamenti, raggiungere il cuore del Gargano dal nord, ove la piana di Lesina e le pieghe della montagna, ormai addomesticata, discendono al mare variamente accessibili e più o meno agevoli. Ma nei tempi antichi per chi, dalla pianura, avesse voluto raggiungere rapidamente il cuore del Gargano, senza sobbarcarsi a quattro o cinque o più giorni di periplo del monte, l’unica apertura era proprio quella: il letto del torrente Jano, che conduce dalla pianura Dauna alla piccola valle di S. Marco e, attraversatala, seguendo lo Starale e costeggiando la base conica del monte Celano, porta a S. Giovanni Rotondo, e da S. Giovanni si irradia in tutti i sensi nel Gargano.
Una veduta del Torrente Iana dalla strada che da Stignano porta a San Marco in Lamis.
Una veduta del Torrente Iana dalla strada che da Stignano porta a San Marco in Lamis.
Il nome Jano ha un evidente suono latino. E non è meraviglia se si pensa che molte parole del dialetto di S. Marco, del più profondo dialetto, quello ormai dimenticato dai più, sono latine. Il “casciub_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_formaggi.jpg” (difficile la grafia di molti suoni, 'iu' semimuta), più che da cacio deriva da caseum; sartania - parola latina non corrotta - è la padella; chiaione il lenzuolo, e così via. Jano, dunque è nome che deriva da quello latino, ed il suo significato è lampante per chi osservi il fronte della montagna dalla strada di S. Severo: quella è la porta, la JANUA del Gargano. Jano dunque è il torrente che scorre nella “porta”, o una corruzione del nome stesso di Janua; porta esso stesso.
I Romani le diedero quel nome, come era loro consuetudine. Esempio più illustre è Genova, Janua, la porta che dal Tirreno e dalla Via Aurelia apre alla opima pianura padana attraverso la valle del Polcevera, sfociante a mare come una porta, Janua, Genova.
Posto questo primo punto, i corollari sono numerosi e rigorosamente conseguenti.
Procediamo dalla pianura verso il cuore del Gargano.
Oggi una comoda strada conduce da S. Marco a S. Severo attraverso curve larghe ed un tracciato che riduce il dislivello ad una costante superabile, per un’auto, in terza e forse quarta marcia.
Seguirò la strada, allora, nei ricordi della mia infanzia, all’inizio del secolo, quando il viaggio da e per San S
La S.S. 272 che porta a S. Marco in Lamis.
La S.S. 272 che porta a S. Marco in Lamis.
evero era una avventura che durava quattro o cinque ore polverose, sballottati in una
S. Marco in Lamis. Una delle prime corriere.
S. Marco in Lamis. Una delle prime corriere.
corriera che in quattro posti ammucchiava almeno sei viaggiatori, trainata da tre cavallucci stanchi; oppure, se si voleva essere più liberi, si noleggiava uno char-à-bancs con una pariglia di cavalli. Era lo sciarabà un carretto di forma uguale, ma un po’ più piccolo e leggero del traino, carro da carico, e con balestre ammortizzatori ed era colorato di grigio, talora coperto con un tendone. (A proposito, nella nomenclatura dialettale dei carri troviamo i francesi: sciarabà, traino; forse che prima non vi erano carri su ruote?).
Saliamo da S. Severo a S. Marco con lo char-à-bancsb_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_calesse.jpg.
Approssimandoci al monte, e già nel seno dell’apertura, la strada saliva con accettabile pendenza e non si vedeva traccia del torrente, traccia cancellata da anni, forse da misurare in tempi geologici. Ad un certo punto, arrivati a Stignano, il paesaggio cambiava bruscamente.
Il torrente Iano si vede dal ponticello che porta al convento di Stignano.
Il torrente Iano si vede dal ponticello che porta al convento di Stignano.
Sotto il convento di Stignano il letto del torrente compariva, e lo si attraversava su uno stretto ponte raccordato ad angolo retto con il percorso della 'via nova' (erano 'vie nove' questa e quella che, arrampicandosi sul fianco delle colline a sud del paese, congiungeva S. Marco a S. Giovanni, con diramazioni per Rignano e per S. Matteo. La strada recente, che oggi, con altro tracciato, congiunge San Marco a S. Giovanni e a Foggia è 'via nuova'? Vie nuove, quelle, perché? Forse perché, dopo centinaia di anni e forse millenni, abbandonavano i tracciati originari della 'Janua' e dello Starale; oppure vie nove perché pavimentate in macadam e non più sterrate?).
Subito dopo lo stretto ponticello, la strada maestra si impennava con tre tornanti ripidi, e la quota saliva dalla torrida ed afosa pianura alla più fresca aria di collina. Il conducente scendeva da cassetta e superava a piedi i tornanti, per alleggerire il carico ed i viaggiatori, se appena giovani, venivano invitati a fare altrettanto. Si riprendeva, al colmo, la strada, attraverso un sentiero che si arrampicava tra alberi radi e rocce sulle quali comparivano i primi muschi, in un terreno odoroso di nepitella.
La strada che conduce a S. Marco in Lamis. A sinistra c'è un altro ingresso al convento di Signano.
La strada che conduce a S. Marco in Lamis. A sinistra c'è un altro ingresso al convento di Signano.
D’estate, il coro delle cicale dava un leggero stordimento al viandante, dando corpo al silenzio della valle divenuta improvvisamente stretta;
La strada che porta a S. Marco: qui notiamo il vecchio tracciato della strada costruita dal Genio Piemontese per combattere il brigantaggio (1860-63).
La strada che porta a S. Marco: qui notiamo il vecchio tracciato della strada costruita dal Genio Piemontese per combattere il brigantaggio (1860-63).
silenzio sottolineato dallo zoccolio non molto lontano dei cavalli e dal loro soffiare. E si comprendeva l’etimologia di Stignanob_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_stignano.jpg: ostium januae; evidente bocca della porta, strettoia più stretta di un comune serravalle; bocca od apertura della porta che ti immetteva senza transizione da una larga petraia assolata mista a coltivo, in una stretta buia valle con pareti alte e ripide incombenti; al fondo un tracciato torrentizio petroso, divenuto rapidamente basso rispetto alla 'via nova' la quale si aggrappava alla falda della parete valliva di destra (seguendo il corso del torrente verso la sua foce carsica; è la parete prospiciente a sud della spaccatura da est ad ovest della Janua).
A Stignano, ostium januae, doveva fiorire un centro di traffici. Mio padre, nella sua gioventù, fu inviato a Stignano a ricostituirsi dopo una malattia. Qui egli trovò alcune monete certamente romane, ed altre che ritenne greche ed anche fenicie. Purtroppo ho veduto quelle monete da bambino e poi non ne ho saputo più niente. Poiché non furono cedute, desumo che andarono perse. Ho ancora, invece, un altro reperto: una magnifica pietra nero-verdastra, delle dimensioni di circa cm. 7 x 4 x 3 a forma di accetta, meravigliosamente lavorata, liscia e levigata sia nella rotondità del cozzo acuto che nel filo del taglio. Pietra che non so definire, né so a chi dover dare, verosimilmente da non interpretare come uno strumento dell’età della pietra (che era lavorata col metodo della scheggiatura); ma di epoca e civiltà assai più recenti.
L'eremo di S. Agostino, a poche centinaia di metri dal Convento di Stignano.
L'eremo di S. Agostino, a poche centinaia di metri dal Convento di Stignano.
In base a questi reperti, sui quali purtroppo non si può fare più luce, e più ancora alla presenza in luogo di un convento (il convento, nei pressi, era luogo di sosta, riposo e soccorso ai viandanti), non è eccessivo immaginare in questo luogo un punto di incontro, forse di sosta e ristoro, forse di scambio o di acquisto merci, con passare di moneta da una ad altra mano; e di parecchia moneta, se ne poteva perdere per la terra. Ma, noti [Presente nel testo originale in .pdf, dal senso incomprensibile, ndr] Volendo costruire eccessivamente sulla fantasia, riprendiamo un viaggio, fatto agli inizi del 1900, da Stignano a S. Marco.
Qui il torrente, dopo essere stato attraversato al livello di Stignano, perde di nuovo la chiara configurazione di via d’acqua tra sponde. Ma anche a Stignano, più che di via d’acqua, si trattava a quel tempo di superare una cunetta di scarico delle occasionali fiumare precipitanti a valle nel corso o dopo eccezionali precipitazioni, specie temporalesche, non rare in quei tempi di ordinato decorrere delle stagioni. Il letto del torrente, asciutto, si intravede in fondo alla valle, stretto tra pareti scoscese, ad angolo molto acuto, e totalmente sprovvisto di vie di fuga. Tanto che vien fatto di pensare (fatta salva l’ipotesi che la 'janua' avesse avuto caratteristiche originali diverse, perse nei secoli a causa della non manutenzione conseguente alla apertura della 'via nova') che la strada della porta non fosse percorribile da carri, ma da carovane someggiate sui robusti muli, detti Foggiani o Dauni, pregiatissimi, che all’inizio del secolo erano ancora i vettori dei carichi (legna, carbonella, provviste e granaglie) attraverso l’altopiano garganico. Anche questa però è fantasia.
Porta San Severo a S. Marco in Lamis.
Porta San Severo a S. Marco in Lamis.
Arriviamo a S. Marco dal rione più declive, che allora era detto di S. Berardino, poi chiamato più propriamente 'porta S. Severo'. Qui, nel punto ove si incontravano le - allora - prime case del paese, ricompariva a fondo valle il letto del torrente, sporco e con qualche esigua chiazza di acqua stagnante.
Ben presto però, all’imbocco del paese, il torrente scompariva sotto una larga tombinatura che consentiva, deviando a destra, l’accesso al 'piano di sotto', esiguo pianoro triangolare di prato scorteggiato e misero d’erba, costeggiato dal viale di circonvallazione del paese, che congiunge la “via nova” di San Severo col '
S. Marco in Lamis. Piazza Europa, punto di snodo per molte strade di comunicazione.
S. Marco in Lamis. Piazza Europa, punto di snodo per molte strade di comunicazione.
Largo delle Grazie', dal quale partiva la 'via nova' per S. Giovanni, con diramazioni per Rignano e per S. Matteo. Da questo viale si vedeva l’apertura a monte del tombone ed il letto del torrente, basso in fondo ad un argine naturale terroso, mentre dalla parte opposta, a nord, ove si allineavano le case del paese, il torrente, ormai diventato canalone, era fiancheggiato da una banchina in terra e contenuto da un basso muretto-argine. Tutte le strade del paese decorrevano perpendicolarmente ed in linea retta al torrente, ed ognuna aveva una cunetta centrale che convogliava a cielo aperto al canalone le acque di pioggia.
S. Marco in Lamis. L'attuale 'Lungo Iana' dove si trovavano alcuni ponti in pietra.
S. Marco in Lamis. L'attuale 'Lungo Iana' dove si trovavano alcuni ponti in pietra.
A metà circa del paese si trovava un ponticello, in corrispondenza de “l’Orto di S. Chiarab_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_orto-santa-chiara.jpg”, che univa il centro alla piazza del mercatob_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_chiazzetta.jpg; e poi una più centrale e più vasta tombinatura: il 'ponte delle Grazie'. In questa zona il paese aveva iniziato il secondo sconfinamento oltre la sponda sud del torrente, ad interrompere l’antica armonia costruttiva del borgo (il primo sconfinamento era all’ingresso del paese, in corrispondenza del tombone di S. Bernardinob_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_scalone-san-bernardino.jpg, dove era costituito il rione dell’Addoloratab_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_viale-della-repubblica-01.jpg; il terzo seguì dietro 'i pozzi', di cui parleremo). Il paese era infatti contenuto nei suoi confini primitivi, e tutto sulla sponda nord del torrente, dai 'piani' e dalle 'vigne' dei maggiorenti locali, che lo stringevano da est e da sud, impiantati negli scarsi allargamenti del fondo valle, su terre portate dalle piogge.
Lo 'starale' era all'epoca la zone più salubre e sicura. Ora è occupata da orrende case ed è un quartiere degradato.
Lo 'starale' era all'epoca la zone più salubre e sicura. Ora è occupata da orrende case ed è un quartiere degradato.
A sud, ove le colline sono meno scoscese, era più facile la sedimentazione e qui erano nati 'i piani' bordati a loro volta dalla ricordata corona di 'vigne'. I livelli qui sono più alti di quello del torrente. Scomparsi i tabù del rispetto dei 'piani' e delle proprietà private, il paese ha dilagato verso est e sud.
Siamo arrivati alle Grazie, chiesetta al servizio del secondo (topograficamente, e sempre viaggiando lungo il decorso della janua dalla sua apertura verso la naturale conclusione) nucleo abitato moderna; e qui comincia la primitiva storia paesana del torrente Jano.
S. Marco in Lamis. La villa comunale in una foto di qualche anno fa. Il palco (al centro) è stato distrutto nel 2011.
S. Marco in Lamis. La villa comunale in una foto di qualche anno fa. Il palco (al centro) è stato distrutto nel 2011.
Alle spalle della chiesa delle Grazie c’era, e forse c’è ancora,la villa, giardino comunale, polmone verde del fondo valle, la quale confinava alta col torrente che decorreva lungo il suo fianco, qui arginato con un alto muro; l’altra sponda, più bassa di qualche metro, era anch’essa arginata con un muro, e fiancheggiata da una larga ed irregolare banchina, una vera piazzetta, tagliata anch’essa in senso perpendicolare al torrente da numerose e larghe cunette. Allineate più o meno irregolarmente su questo, che fu il primo polmone del paese, le casette basse del retro della 'Palude'; il rione primigenio, dove comincia la vera storia di S. Marco.
La Palude, agli inizi del secolo e fino alla sua metà (oggi non so) era il 'vicolo palude'; ma conservava la dignità ordinata di un corso primitivo, ben lastricato in pietra, bordato in bell’allineamento da casette, alcune con scale esterne, con seminterrati protetti dalle acque di piena della strada, con tetti diseguali da casa a casa. Una strada a cui si accedeva misteriosamente da un vicolo a linea spezzata, e poi, dal corso principale, attraverso uno stretto cunicolo coperto.
S. Marco in Lamis. Una immagine recente del rione 'La Padula'
S. Marco in Lamis. Una immagine recente del rione 'La Padula'
Improvvisamente ti trovavi in un nucleo concluso in sé, inglobato dal paese da cui pur distava dei secoli, in una nobiltà silenziosa, priva di traffici.
Vecchia immagine del rione La Palude
Vecchia immagine del rione La Palude
La 'Palude' si caratterizzava per la presenza di pozzi, le cui vere aperte sulla pubblica strada erano accessibili a tutti. Altri pozzi si aprivano nell’interno di case private in zone adiacenti, e davano acqua limpida e fresca tutto l’anno. I pozzi della palude, paralleli al torrente distante una trentina di metri, attingevano presumibilmente alla sottocorrente del fiume, mentre quelli racchiusi in case private, dislocati irregolarmente ed isolati, più ricchi di acque, verosimilmente attingevano a vene idriche rocciose, che costituivano sorgenti del primitivo fiume. Rari, ma oltremodo ricchi di acque, i pozzi a sud del torrente. Ricordo quello di Donna Michelina Gravina, alle spalle di un attuale edificio scolastico, che veniva aperto al pubblico nei periodi di maggior siccità, e forniva ottima acqua quando i pozzi comunali permettevano di pescare niente altro che una fanghiglia largamente e macroscopicamente inquinata.
Immagine esterna del rione della Palude denominato Via Pozzo Grande e prospiciente il torrente Iana
Immagine esterna del rione della Palude denominato Via Pozzo Grande e prospiciente il torrente Iana
All’estremità della palude il canalone finiva pressoché alla quota del suolo. A questo livello la strada, che fiancheggia la Chiesa Madre, incrocia la traccia del torrente, rappresentata in quel punto da una larga cunetta che raccoglie sia le acque della strada, sia quelle che dal lato opposto vengono dal piano inclinato su cui si affronta l’ingresso della villa comunale, sia quelle dell’originario torrente.
Stradina di accesso al rione Palude. In fondo si vede Via Gioberti
Stradina di accesso al rione Palude. In fondo si vede Via Gioberti
Queste ultime acque, presenti solo in periodo di piena, fuoriescono da una tombinatura costruita, pensiamo, all’atto della costruzione della Chiesa Madre e del suo campanile, cui segue nel loro retro fino a quella che era la piana 'dei pozzi'. Ivi ricompariva il torrente, privo di sponde manufatte; una trincea terrosa, che era scavalcata da un ponte costituito da travi affiancate senz’altra opera d’arte. Quel ponte dava accesso alla spianata dei pozzi, scavati su una linea che sbarrava trasversalmente la valle, nell’intento di raccogliere l’acqua della sottocorrente del torrente, a monte del paese. In caso di pioggia, la cunetta che ormai rappresentava il letto del torrente a livello del suolo si gonfiava di acque e doveva essere guidata.
Facciamo sosta un po’ prima, alla 'palude'. Qui terminava la prima parte del viaggio verso il cuore del Gargano. La sponda della 'Janua' o vuoi del torrente Jano, certamente naturale nei tempi remoti, consentiva ai carri, se ve ne erano, ed alle bestie someggiate di raggiungere la piazza, oggi rappresentata dalla irregolare banchina già ricordata, sul retro del vico palude.
Vi era spazio per il riposo, per il rifornimento di acqua e di quant’altro occorreva al viaggiatore.
Attuale Piazza Oberdan nel rione 'I pozzi' dove esistevano numerosi pozzi di acqua potabile.
Attuale Piazza Oberdan nel rione 'I pozzi' dove esistevano numerosi pozzi di acqua potabile.
Riposo forse non lungo, perché si riprendeva ben presto il viaggio seguendo il corso del torrente, in fondo valle, per lo Staraleb_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_starale-01.jpg, 'ostium aralis', che portava all’attuale S. Matteo. In testa allo Starale evidentemente vi era un’ara, per ringraziare gli Dei di essere scampati al mal passo. Mal passo che non è una ipotesi di fantasia, se si pensa alla zona di sosta paludosa, (in lamis) nella foresta, per se stessa inospitale, ed inoltre esposta alla probabile aggressione od imboscata dei nativi.
Ma discorrere di questo ci porterebbe lontano. Certo invece che, percorso 'l’ostium aralis', ai piedi del monte Celano, 'coelum januae', i viaggiatori si fermavano a sacrificare su un’ara, ove ringraziavano gli Dei per aver superato il passo peggiore del viaggio, sia per i pericoli naturali del percorso di fondo valle, sia per quelli derivanti dal brigantaggio.
Va ricordato in modo particolare questo 'Starale', che mi sembra destinato a scomparire dopo la costruzione della nuova strada per Foggia (che non è 'via nova'), la quale corre in fondo valle, seguendo in qualche sua parte il tracciato della antica strada. Ai primi del secolo, lo 'Starale' era il corso di un torrente di fondo valle, praticabile come una strada anche per carri nei giorni secchi e nelle stagioni asciutte, incassato tra basse sponde di muro a secco. Era ancora, lo Staraleb_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_starale-02.jpg, via di accesso alle numerose casette rurali e ai piccoli, opimi coltivi di fondo valle, disseminati lungo la sua sponda nord, mentre la sponda sud era scoscesa, sassosa, incolta; su quest’ultima si arrampicava la 'Via nova'. Poiché lo Starale era la via vecchia, conservava aspetto, funzioni, servizio e nome primitivi.
Quella strada si seguiva nelle gite al Convento di S. Matteo, che rimangono vivissime tra i nostri ricordi di infanzia, per l’ombra discreta del fresco cammino e la raccolta delle more dolci, nere, sporcanti, che si spigolavano dalle siepi fiancheggianti il percorso.
Imbocco di Via Lapiscopia. una delle arterie principali del paese, che 'copre' intieramente il Torrente Iana. All'altezza delle strisce pedonali sorgeva un ponte.
Imbocco di Via Lapiscopia. una delle arterie principali del paese, che 'copre' intieramente il Torrente Iana. All'altezza delle strisce pedonali sorgeva un ponte.
Il viaggio della porta, 'Janus', dunque iniziava con una apertura, Stignano, 'ostium januae' e si chiudeva con una chiusura, lo Starale 'ostium aralis'. Si chiudeva alle falde di un monte conico: il Monte Celano, che ad est chiude la valle, incombendo su di essa: 'Coelum januae'.
Aggirando la base del monte Celanob_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_monte-celano.jpg, si arriva al cuore del Gargano. La vera zona del riposo era forse quella dell’altare, su cui sorse il convento di S. Matteob_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_san_matteo.jpg? Ed ancora nei ricordi di giovinezza attingiamo quelli delle carovane dei 'Romei'b_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_pellegrini_molisani_a_piedi.jpg, pellegrini abruzzesi che in maggio percorrevano il corso principale, la 'piazza di sotto', marciando in 'passo di strada', sulle ciocie, uomini e donne, appoggiandosi agli alti bastoni pastorali, preceduti da una campanella e salmodiando a bassa voce inni sacri. In coda, asini e muli: gli “impedimenta”. Queste carovane non si fermavano in paese, ma proseguivano direttamente attraverso lo Starale (non per la 'via nova') per far tappa nei sotterranei del Convento di S. Matteo, dove si accampavano e sostavano finché non fossero pronti per l’ultima tappa del pellegrinaggio, il 'Monte Santangelo'. Tanto conferma nei secoli l’importanza dell’Ara.
Ancora una nota: come nella toponomastica latina si trova una correlazione certa fra Stignano 'ostium januae', torrente Jano 'janua', Starale 'ostium aralis', monte Celano 'coelum januae', così nella toponomastica cristiana troviamo tre Evangelisti: Marco e Giovanni ed in mezzo, forse posteriore, Matteo. Non vi sono ripetizioni di tali nomi nel Gargano, ma una loro sequenza lungo la strada. Denominazioni frequenti Marco e Giovanni, rara quella di Matteo: nel codice postale si trovano numerosi i S. Marco ed i S. Giovanni; due soli S. Matteo e S. Luca. Quel nome S. Matteo fu forse ricercato, e voluto per dare un nome cristiano all’Ara, e congiungere la linea del viaggio fra l’uno e l’altro Evangelista? Esiste una leggenda, che noi sappiamo, che collega il nome di S. Matteo al ritrovamento di un busto in legno del Santo.
Giusto una leggenda: ha fondamento?
S. Marco in Lamis. Via Lapiscopia. Costruzione di una 'camicia' al Torrente Iana dopo la disastrosa alluvione dei primi anni '80 che fece scoppiare le vecchie coperture del torrente.
S. Marco in Lamis. Via Lapiscopia. Costruzione di una 'camicia' al Torrente Iana dopo la disastrosa alluvione dei primi anni '80 che fece scoppiare le vecchie coperture del torrente.
Concluso il viaggio, non è merito di grande fantasia immaginare la banchina del 'canalone' tra gli odierni 'ponte di mezzo' o delle Grazie e la via della Chiesa, più o meno gremita di muli e di carri. Né è fantasia immaginare che quell’essere punto di arrivo e di partenza dal Gargano verso la pianura, e viceversa, abbia costituito la fortuna di S. Marco. Il quale, nei primi anni del 900, e prima della emigrazione 'americana', era un paese di fiorente artigianato e commercio. Vi si trovavano fondachi riccamente forniti di stoffe pregiate; mercerie; calzolaiciabattino-02.jpg; falegnami; maestri d’ascia costruttori di carri; bastai; fabbri; stagnari; 'zocari' che fabbricavano dello spago a grossi cavi di canapa. Erano orafi raffinatissimi, che confezionavano gli 'ori'; i corredi più o meno ricchi delle spose: collane, bracciali, orecchini, intessuti in filigrana ed arricchiti di pietre dure mirabilmente assortite. Erano fabbricantib_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_latte-01.jpg di pecorino e caprino, commercianti di vinob_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_vino-01.jpg.
Erano latifondistib_250_0_16777215_01_images_Come_eravamo_tooltip_cacachiazze.jpg, alcuni ingrassati dall’ozio e dal buon cibo, pigramente semisdraiati sulle sedie di paglia, al 'casino dei signori'; erano agricoltorib_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_campagna-02.jpg, 'fittavoli'b_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_iano_tooltips_varia-47.jpg attivi ed arditi, che affidavano all’alea del raccolto intere fortune. Muratorib_250_0_16777215_01_images_Come_eravamo_tooltip_Muratori-01.jpg e capimastri.
Sarà una coincidenza, ma l’apertura di strade montane. opere di ingegneria moderna e la motorizzazione, tagliando fuori dal traffico S. Marco e la 'janus' del Gargano, concluso un periodo di fiorenti commerci, sembrano condurre di pari passo ad una modernizzazione appiattita di valori; ma anche ad una diminuzione del prestigio di S. Marco.

Oreficeria sammarchese

Oreficeria sammarchese Oreficeria sammarchese Oreficeria sammarchese
Oreficeria sammarchese Oreficeria sammarchese Oreficeria sammarchese

E’ un bene? Probabilmente sì, per la elevazione del tenore di vita del popolo; non so per il Paese.
Non so inquadrare S. Marco in altri momenti della sua storia; ma non era mio intento altro, se non sottolineare il significato di alcuni nomi di luoghi e ricordi che vanno scomparendo nel tempo e nella memoria.
Vittorio De Filippis

Immagini del Torrente Jana

Immagini inedite del Tottente Jana Immagini inedite del Tottente Jana Immagini inedite del Tottente Jana
Immagini inedite del Tottente Jana Immagini inedite del Tottente Jana Immagini inedite del Tottente Jana
Immagini inedite del Tottente Jana Immagini inedite del Tottente Jana Immagini inedite del Tottente Jana
Immagini inedite del Tottente Jana Immagini inedite del Tottente Jana Immagini inedite del Tottente Jana

Note di toponomastica sammarchese tra mito e storia

Il massiccio del Gargano visto dalla pianura venendo da nord.
Il massiccio del Gargano visto dalla pianura venendo da nord.
Ho sott'occhio un libretto di Matteo Ciavarella, Fra orti e mugnali (Nota 1). E’ un elenco delle strade di S. Marco in Lamis, ciascuna corredata della sua cronistoria.
Precede un buon compendio storico del paese ed una prefazione del Tusianib_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_tusiani_500.jpg. E’ un bel libro. Ne ho scorso le pagine ed alcune strade mi hanno parlato: le strade raccontano a chi le ha percorse nella prima infanzia, le ha riviste nell'età matura, le ricorda - ed ha scoperto di amarle - nell'età avanzata, con la nostalgia del vecchio emigranteb_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_migranti-italiani.jpg.
Nella rubrica televisiva Almanacco del giorno dopo nel 1983 è piú volte presentata una voce: Le pietre raccontano; le strade mi parlarono molto tempo prima, me ne è buon testimone il mio amico prof. Tommaso Nardellab_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_tommaso_nardella.jpg ...
Via Carduccib_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_strada-del-purgatorio.jpg, Via Romab_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_via-roma-03.jpg, piazza Madonna delle Grazieb_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_largo_piano.jpg, la Padulab_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_la-palude.jpg, via lungo Ianab_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_sopra-il-ponte-02.jpg, via pozzo grandeb_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_via-pozzo-grande.jpg, via Staraleb_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_zona-starale.jpg. Voci e sussurri, racconto antico della primitiva S. Marco. Racconto che in parte illumina tempi protostorici, in parte tempi di storia certa, ricordati da Ciavarella, a partire dal 1500-1600.
S. Marco in Lamis. La facciata della Chiesa del Purgatorio, in Via G. Carducci già Strada del Purgatorio.
S. Marco in Lamis. La facciata della Chiesa del Purgatorio, in Via G. Carducci già Strada del Purgatorio.
Dice il Ciavarella: "via Carducci ... dal 1809 al 1931 aveva portato la denominazione di strada del Purgatorio, che traeva origine dalla Chiesa del Trionfo del Purgatorio fatta costruire nella prima metà del seicento dal sacerdote don Angelo Pupillo, che fu anche il fondatore della confraternita delle Anime del Purgatorio, riconosciuta dal sovrano nel 1777".
Ho dei dubbi: come si chiamò quella strada dal 1500-1600 al 1809? E se invece la strada si fosse già chiamata via del Purgatorio per voce popolare, dai tempi della costruzione della chiesa omonima; o se addirittura la strada si fosse già chiamata così, e la chiesa ne avesse preso il nome?
La via Carducci oggi è una strada anodina: asfaltata, in salita, stretta se si misura col metro delle strade moderne. Io la ricordo, da bambino, diversa e più significativa: la strada del Purgatorio mi sembrava - ed era per quei tempi - straordinariamente larga. Nella parte altab_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_parte-superiore-via-carducci.jpg dalla piazza di sopra (corso Giannone) alla Chiesa era una scalinata larga di pedata e bassa di alzata, acciottolata. Ai margini aveva due marciapiedi larghi, diversamente costituiti.
S. Marco in Lamis. Corso Matteotti, già Corso Umberto I, denominato comunemente 'chiazza di sotto'.
S. Marco in Lamis. Corso Matteotti, già Corso Umberto I, denominato comunemente 'chiazza di sotto'.
Dall'altezza della Chiesa al suo sbocco nella piazza di sotto, già piazza seconda ed ora corso Matteotti, la strada si restringeva, ed aveva una lieve pendenza.
Sembrava una strada fatta per contenere adunanza di popolo a monte della Chiesa e fino al sagrato, e per consentire a valle il deflusso dell'adunanza.
S. Marco in Lamis. Vecchia immagine di inzio '900 di Via Roma.
S. Marco in Lamis. Vecchia immagine di inzio '900 di Via Roma.
Via Roma
: "è una delle principali strade della città... tutt'ora indicata con la primitiva denominazione: 'la strada del ponte' (da La Strada Ponte delle Grazie) così detta da un ponticello costruito, in tempi abbastanza remoti, allo scopo di permettere ai cittadini un più agevole passaggio sul torrente Iana ......' 'L'antica denominazione di strada Ponte le Grazie rimase in vigore fino al 1907... " Così il Ciavarella.
S. Marco in Lamis. Vecchia veduta dei due ponti che attraversavano il torrente Iana.
S. Marco in Lamis. Vecchia veduta dei due ponti che attraversavano il torrente Iana.
All'inizio del secolo, e come la ricordo io, la Strada del Ponte iniziava dalla Piazza di Sotto (via Matteotti) e terminava al ponte. Il ponte scavalcava il torrente quasi a metà del suo percorso urbano, e non era un ponticello: aveva la stessa larghezza della strada, era fiancheggiato da spallette. Subito dopo il ponte la strada, ed il sobborgo delle Grazie, si allargava, e le pareti laterali delle case fiancheggiavano il torrente. Ancora all'inizio del secolo anche il ponte si allargava. Qui i miei ricordi si fanno confusi; ma mi sembra che esso diventasse copertura del letto torrentizio, già divenuto scarico di acque luride e di immondizie e fortemente maleodorante; un pezzo di tombinatura ante litteram, che poi fu seguito, dopo molti anni (molti... non so quanti, ero già studente inforestierato) dalla copertura lungo tutto il percorso del torrente fino al Puzzu ranne.
S. Marco in Lamis. Il Largo Piano come appariva.
S. Marco in Lamis. Il Largo Piano come appariva.
(Piazza) Largo delle Grazie. Dice Ciavarella: ... "la denominazione trae origine dalla chiesa dedicata a Maria SS.ma del Rosario e a Cristo Redentore, ma intesa comunemente come la Chiesa della Madonna delle Grazie. Ritenuta da qualcuno come la Chiesa più antica di S. Marco ... "
Ricordo il S. Marco degli inizi del secolo, quale io lo vedevo, e lo vide il Bacchelli: appiattito sulle pendici del monte, dal rione San Giuseppe a quello dell'Addolorata e di San Berardino. Il paese era pressoché tutto lì ordinato in file di case perpendicolari all'asse della valle, le più alte di 2-3 piani verso il fondo valle, e sempre più basse lungo le strade a gradoni risalenti sul monte.
S. Marco in Lamis. Il quartiere 'Casarinelli'.
S. Marco in Lamis. Il quartiere 'Casarinelli'.
Il panorama andava visto da Casarinelli, ed io bambino lo vedevo, di giorno e di sera, da Le Pietre, la casetta di campagna che mio padre si era fatta costruire anticipando la consuetudine del weekend (Le Pietre si vedono, isolata casetta sul profilo del monte, nel quadrante alto a sinistra della figura 25 della raccolta iconografica di Bonfitto e Nardella) (Nota 2).
Da lassù io vedevo il paese distendersi ai miei piedi: linee di coppi e stradine allineate e parallele. La massa era tagliata trasversalmente dalla linea dei corsi piazza di sopra e piazza di sotto, e dalla linea del torrente. Sporgevano in avanti i rioni al di qua del torrente: l'Addolorata, le Grazie, il polmone verde dei grandi platani della Villa.
Veduta aerea di S. Marco in Lamis. Era il 1972.
Veduta aerea di S. Marco in Lamis. Era il 1972.
L'allineamento delle strade sfalsava fra i vari dispiegamenti del paese da est ad ovest; cioè erano tutte parallele e discendevano dal piede delle Coppeb_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_coppe-casarinelli.jpg (credo si chiami così il monte a nord del paese) alla piazza di soprab_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_corso-giannone-08-500.jpg. Quelle che dalla piazza di sopra raggiungono la 'piazza di sotto'b_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_innesto-giannone-matteotti.jpg (da corso Giannone a via Matteottib_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_corso-umberto-03.jpg), anch'esse parallele tra loro, non erano però allineate con le strade superiori. E così quelle, che dalla Piazza di sotto raggiungevano il corso del torrente, erano a loro volta parallele tra loro ma non allineate con le superiori. Specie di notte le filiere delle luci sottolineavano il caratteristico sfalsamento delle strade; io le vedevo bene dalle 'Pietre'.
Le uniche strade, larghe in confronto alle altre, perfettamente allineate tra loro, erano quelle del Purgatorio, del Ponte, delle Grazie.
Nel 1500, al tempo cioè della costruzione della Chiesa del Purgatorio, il paese era costituito, se ho ben compreso la ricostruzione del Ciavarella, da alcuni nuclei abitati: uno fra il Tronob_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_municipio-01.jpg ed il 'Purgatorio'; in basso dai rioni del Pozzo Grandeb_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_i-pozzi-04.jpg e della Paludeb_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_mappa-palude.jpg fino alla strada del ponteb_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_strada-del-ponte.jpg.
Dunque la via del ponte, che dava accesso al rione delle Grazie, costituiva un largo, pei tempi, e lungo viale rettilineo, marginale al paese, che conduceva direttamente al cimitero dei Morticellib_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_lapide-morticelli.jpg. Il cimitero era posto a valle delle fonti pubbliche delle acque ("I Pozzib_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_i-pozzi-05a.jpg") per non contaminarle, in un punto periferico del paese, quale era in quel tempo.
Nella loro evidente significatività, le strade, che costituivano il viale di accesso al cimiterob_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_accesso-cimitero.jpg, raccontano una loro mistica storia. Il loro nome primitivo, che conservavano agli inizi del secolo, fu loro dato dal popolo e non imposto da commissioni; un nome che esprimeva una funzione. E la funzione di quelle strade era quella di condurre i defunti alla loro dimora, e le loro anime a Dio attraverso il Purgatorio e nell'affidamento alla Grazia. Ritengo che oggi il rito dell'accompagnamento non sia più quello, che io ricordo agli inizi del secolo e che aveva certamente lunga tradizione.
S. Marco in Lamis. Vecchia immagine di un funerale.
S. Marco in Lamis. Vecchia immagine di un funerale.
Il corteo funebre non si limitava al tragitto più breve fra la casa del defunto e la parrocchia, ma si snodava per le vie principali, Piazza di sopra e Piazza di sotto, e seguiva un itinerario tanto più lungo, quanto più importante era il defunto.
Il paese si schierava al bordo delle strade a commentare sulla vita, le ricchezze, le eredità del defunto; e a pregare per lui se in odore di benefattore o comunque amato (Nota 3). E’ fantasia, ma non illogica, vedere gli adulti de i fuochi (le famiglie) che nel complesso dovevano raggiungere le tremila persone nel 1500, radunarsi nel largo inizio della via del Purgatorio per comporre il corteo fino alle Grazie.
I nomi delle strade e dei luoghi testimoniano della loro storia.
Le Grazie, la chiesa ritenuta la più antica del paese, fu in realtà il primo cimitero di cui si ha memoria. Il suo nome ha una chiara origine popolare.
S. Marco in Lamis. Largo Piano ora Piazza Europa. A destra si vede la Chiesa delle Grazie, con il campanile non ancora terminato.
S. Marco in Lamis. Largo Piano ora Piazza Europa. A destra si vede la Chiesa delle Grazie, con il campanile non ancora terminato.
Nei cimiteri si incontra spesso, se non sempre, una cappella titolata alla Madonna della Grazia per consuetudine e pregiudizio popolare.
I romani credevano che il latte fosse cibo di vita; essi usavano bere il latte sulle tombe dei defunti e praticavano buchi nei coperchi dei sarcofaghi per versare il latte nell'interno (Nota 4). Tale credenza era tuttora valida nel 1500-1600, e in quell'epoca l’iconografia religiosa presenta la Madonna delle Grazie, spesso col Bambino in braccio, che spreme il latte dal suo seno in rivoli sulle anime purganti ai suoi piedi (Nota 5).
Pertanto la più antica chiesa di S. Marco, che fu cimitero e poi rimase chiesa cimiteriale fino alla eliminazione dei Morticelli, fu verosimilmente chiamata dal popolo Le Grazie fin dalle sue origini e tale rimane tuttora. E possibile che la consacrazione diversa (alla Madonna del Rosario ed al Redentore) sia posteriore ed abbia costituito un tentativo di liberare la religione dalla antica superstizione popolare. In sostanza si sarebbe tentato di sostituire i concetti di preghiera e redenzione a quello di grazia, che però rimase tale nella coscienza popolare. Se così è, come la logica dei nomi suggerisce, anche il nome di Purgatorio, che precede la Grazia in quello unico viaggio verso l'eternità, potrebbe avere origine popolare e finalistica, anteriore alla costruzione della chiesa.
S. Marco in Lamis. Il vecchio quartiere della Palude.
S. Marco in Lamis. Il vecchio quartiere della Palude.
La Palude, via lungo Iana; via Pozzo Grande; Via Starale. Dice Ciavarella (l.c. 134): "la Padula è ritenuta il primo nucleo abitativo di S. Marco". Essa ha due porte: porta vecchia e porta nuova ... (Porta vecchia corrisponderebbe al tratto di via Bux che fiancheggia la collegiata  e porta nuova a vico Palude... che segna l'apertura verso la via Matteotti)".
"Via Pozzo Grande rappresenta uno dei più antichi toponimi della città e ricorda... l'esistenza di un pozzo più grande del solito".
"Via Starale dall'antico toponimo della zona in cui rimane la via".
"Via lungo Iana... deriva dal torrente omonimo che scorre parallelamente ad essa; il nome del torrente deriverebbe da Giano, il cui culto anticamente sarebbe stato assai diffuso nelle contrade garganiche... anzi sulla collina dove sorge il convento di S. Matteo, vi sarebbe stato un tempio dedicato a Giano. Quindi, molte contrade e abitati circostanti avrebbero preso nome da quello del nume pagano, e così: tutto il vallone di S. Marco, che si estende dai conventi di S. Matteo e di Stignano, sarebbe stato denominato Valle la Iana ...".
Così, con prudente condizionale, si esprime Ciavarella. Egli è andato molto vicino ad udire la parola delle strade, ma non ne ha capito il racconto. Già altrove ho espresso l'opinione che il torrente Iano (o Iana, piú propriamente) derivi il nome da ianua, porta e non da Giano.
Il vallone dello Starale nel quale si trova S. Marco in Lamis.
Il vallone dello Starale nel quale si trova S. Marco in Lamis.
Infatti il vallone di S. Marco rappresenta l'unica apertura naturale, la porta del Gargano verso la pianura pugliese. Se iana derivasse da Giano, il torrente dovrebbe chiamarsi Jano, addolcendo la G iniziale in I lunga; ma il nome è iana, femminile e con la I breve: è un nome latino (il latino non ha la I lunga). I romani chiamarono porta, ianua, anche altre località; ed io ricordavo Genova, l'antica ianua che dal mare e dalla via Aurelia apriva la porta verso la terraferma. Nel contesto delle varie sezioni in cui si divide il vallone di S. Marco il significato di ianua come porta riemerge senza pericolo di confusione e con assoluta certezza. Il vallone che da S. Matteo va fino a Stignano si divide sul terreno in tre parti: la valle di Stignano fra i monti la Donna e Castellob_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_castelpagano_iancuglia.jpg, inizia dal Convento di Stignano e termina in quello che all'inizio del secolo era ancora il rione S. Berardino (così l'ho sempre sentito chiamare nella mia infanzia); la iana, che segue, va da S. Berardino alla Chiesa Madre (il nome di torrente Iana è circoscritto al tratto interurbano dall'alveo del torrente. Non ne ho sentito parlare né a monte né a valle, se non per qualche vago accenno ad un torrentello che sarebbe esistito nella zona di S. Matteo; ma io non credo a questo; se cosí fosse lo Iana riapparirebbe dopo la interruzione dello Starale. Il torrente come unicum in realtà esiste ed è segnato sulle carte topografiche: inizierebbe in località Montenero e si perderebbe, con fenomeno carsico, sotto Stignano; ma non ha nome. In origine, ho la ferma convinzione che non vi sia stata altra Iana che quella urbana; il resto potrebbe essere estensione postuma del nome originario. Infine, proseguendo in salita, dopo la Iana la valle dello Staraleb_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_panorama-san-marco-in-lamis-09.jpg, che andava da S. Marco a S. Matteo. I nomi delle strade e dei luoghi raccontano chiaramente la loro storia. Procedendo dalla pianura verso l'interno del monte si incontra la valle di Stignanob_250_0_16777215_01_images_vittorio-de-filippis_strade_tooltips_valle-di-stignano.jpg, di chiara etimologia 'ostium ianuae'. Tutta la valle è l'ostium; la strada fu originalmente il letto del torrente, e tale rimase fino alla costruzione della via nova di S. Severo. La strada primitiva raggiungeva la quota del piano terreno all'altezza di quella che era propriamente detta la iana, chiamato poi globalmente lu puzzuranne, e che oggi appare come una piazzetta irregolare, bordata da case basse e dimesse, disordinate per altezza ed allineamento, evidentemente sorte 'per generazione spontanea' come primitivo centro di sosta e di commerci del paese.
S. Marco in Lamis. Il quartiere della Palude con, in primo piano, uno dei pozzi dai quali si attingeva acqua potabile.
S. Marco in Lamis. Il quartiere della Palude con, in primo piano, uno dei pozzi dai quali si attingeva acqua potabile.
Al centro il pozzo grande, che dava il nome al rione. Sorse dopo, e di questo si hanno notizie storiche, la Padula o Palude che aveva una porta sulla piazzetta già esistente (la Porta vecchia). La Palude, costruita secondo un piano, ebbe una struttura urbanistica esemplare: rettilinea, con case per l'epoca decorose e provviste di sottani distinti dalle stanze; al centro della strada vi era una fila di pozzi che consentiva il rifornimento di acqua alle famiglie (poche per ogni pozzo) senza comunelle e confusioni. Non potevano circolarvi i carri. Ancora a metà del secolo la palude offriva un esempio di strada pedonale tranquilla e silenziosa, residenziale 'off limits' da quella che doveva essere alle sue spalle la movimentata piazzetta del pozzo grande. In quest'ultima, ai primi anni del secolo, si trovavano ancora la Taverna, il fabbro maniscalco, il pozzo grande. Servizi che io, bambino, ho visto esaurirsi progressivamente e sistemarsi al piano, nel palazzo La Selva, lasciando il puzzu ranne in uno stato di sonnacchiosa emarginazione. Quando ero bambino al 'puzzuranne' aveva tuttora alloggio per sé e per i cavalli, e recapito, quello che ritengo sia stato l'ultimo barrocciaio di San Marco. Si chiamava Donato (non ne so il cognome) e si doveva prenotare lo sciarabà (char à bancs) per farsi portare a S. Severo. Non viaggiava tutti i giomi per lasciare il riposo ai cavalli. Io avevo il compito di andare da Donato, nel tardo pomeriggio, per compiere l'operazione di noleggio; ne ero molto fiero.
S. Marco in Lamis. Il quartiere San Bernardino visto dalla chiesa dell'Addolorata.
S. Marco in Lamis. Il quartiere San Bernardino visto dalla chiesa dell'Addolorata.
Costruita la 'strada nuova', la quale raggiungeva S. Berardino a quota piú alta del torrente, fu necessario scavalcarlo. Non so intuire i tempi e le date: l'ostium ianuae è romano, la via nova è posteriore ed il ponte di S. Berardino era già ai miei tempi una larga tombinatura che dava accesso al rione dell'Addolorata, storicamente sorto relativamente tardi, nel 1700, ed alle vie novae (così si chiamavano) dei piani di sotto e di sopra (oggi viali della Repubblica ed Europa, confluenti nella zona puzzu ranne,
S. Marco in Lamis. La zona dei pozzi.
S. Marco in Lamis. La zona dei pozzi.
in via Marconi, già via della Chiesa Madre) le quali conducevano dunque nuovamente alla piazzetta terminale del pozzo grande, centro primitivo del paese.
Le vie novae dei piani costituivano ancora, nei primi anni del 900, una tangenziale di S. Marco, che verosimilmente per qualche secolo aveva condotto al vecchio centro storico e via dei traffici del paese. Questa tangenziale costituiva la via di accesso al centro garganico. Avevo amici varesini che mi assicuravano di averla percorsa per recarsi, in auto, a caccia nella foresta umbra. Di S. Marco non avevano altro ricordo.
Da questa tangenziale, al piano, partiva la via nova per S. Giovanni e Rignano. Ingegneria primitiva, ma efficace, per lo svincolo del centro dai collegamenti interurbani.
S. Marco in Lamis. Il complesso dei 'morticelli', smantellato nel 1909.
S. Marco in Lamis. Il complesso dei 'morticelli', smantellato nel 1909.
Un bel mattino di primavera, andando alle Pietre, ho visto un gran movimento di carri 'alle Grazie'; la triste e cadente cinta dei Morticelli era stata abbattuta, ed i carri trasportavano via mucchi di terra per risanare la zona dell'antico recinto.
Potevo avere 5 anni. Nel 1909, dice Ciavarella, fu smantellato i Morticelli. Le date corrispondono.
Fu rinnovata la Chiesa delle Grazie; mi sembrava brutta, ma il piazzale grande, bianco, succeduto a quel triste ed uggioso grigiore (io credevo che i morticelli fosse il cimitero dei bambini, e mi sentivo particolarmente triste passandovi accanto - ero bambino anch'io) mi dava serenità.
S. Marco in Lamis. Largo Piano dopo lo smantellamento dei 'morticelli'.
S. Marco in Lamis. Largo Piano dopo lo smantellamento dei 'morticelli'.
Le case della zona si lavarono la faccia, altre se ne costruirono avvicinandosi alla chiesa. La nuova organizzazione dei dazi comunali aveva portato all'apertura di un decoroso ufficio nel palazzo La Selva in cui lavorava Don Nicolino Siani. Demolite le baracche cadenti dei dazi a S. Berardino e dietro la Chiesa Madre, press'a poco all'altezza della 'porta vecchia', davanti alle quali bisognava scaricare e mostrare pacchi e valigie come in una dogana.
Il palazzo La Selva, al centro di un largo spiazzo, con vie confluenti, si attivava sempre più come centro di nuova vita che portò ad esaurire progressivamente quella del puzzu ranne, ivi si allogarono Taverna e maniscalco, oltre il dazio.
Quando ero bambino, dopo i pozzi, che era una spianata che sbarrava la valle, dove erano scavati pozzi comunali, iniziava lo starale, ostium arale, che indicava lo sbocco a monte della ianua, verso l'ara.
S. Marco in Lamis. La Valle dello Starale.
S. Marco in Lamis. La Valle dello Starale.
Ovviamente si trattava di un'ara per compiervi i sacrifici del ringraziamento per aver percorso il tratto piú pericoloso, sia per diifficoltà naturali che per possibilità di imboscate o rapine, del viaggio di accesso al Gargano.
Ostium arale dunque precristiano. Lo starale conserva, fino all'inizio del secolo, la funzione di unica via di accesso ai fondi che costeggiavano la valle di S. Marco a S. Matteo. Come l'ostium ianuae, Stignano, dava il nome a tutta la vallata dell'accesso fino alla ianua, l’ostium arale, starale, dava il nome a tutta la valle dall'uscita dalla porta fino al Monte Celano (coelum ianuae). Al termine dell'ostium arale doveva esservi quindi un'ara, non un tempio. E questo è logico: il tempio è il luogo di riunione di una popolazione: e quale comunità preconventuale era nella zona di S. Matteo? Non ve n'è traccia.
Se poi dovessero nascere dubbi sull'agibilità di queste strade, basta pensare che io personalmente ricordo lo starale come una strada acciottolata e transitabile anche da carri.
S. Marco in Lamis. L'attuale S.S. 272 che porta a San Matteo.
S. Marco in Lamis. L'attuale S.S. 272 che porta a San Matteo.
Si percorreva nelle gite a S. Matteo. Oggi chi lo direbbe? Allo stesso modo, dopo non cinquant'anni di disuso, quanti sono passati per lo starale, ma dopo secoli, non è possibile riconoscere nel fondo valle di Stignano una strada di accesso alla 'lama' in cui era la ianua. E questo è tutto: mancano gli scritti ma i nomi popolari parlano ugualmente, in forma sicura.
Chiudeva la valle il coelum ianuae, il Monte Celano, aggirato il quale, alla sua base si perveniva all'altopiano garganico.
S. Marco in Lamis. Il carrettiere.
S. Marco in Lamis. Il carrettiere.
Vorrei chiudere con il ricordo, collegato alle strade, di un amico.
Quando ero bambino, a S. Marco vi erano moltissimi cani di piccola taglia, cani da traino o pummini, gli amici del trainiere. Questi faceva il più della strada a piedi, la frusta al collo come una sciarpetta, il manico di qua del collo e la corda di là; il cagnino correva sotto il carro, all'ombra, o tra le zampe dei cavalli.
Quando era stanco chiedeva il permesso di saltare sul carro, che gli era accordato. Il pummino, che io ritengo fosse un lupetto di pomerania (pummino, appunto) era rosso di pelo, molto intelligente, con un musino appuntito da volpino, guardiano fedelissimo del carro e dei cavalli. Non ce ne sono più. Ne incontravo uno alcuni anni or sono, quando per qualche tempo tornai a far vacanza a S. Marco, alle Pietre. Era randagio sulla via di Casarinelli. Un anno ho tentato di farmelo amico: l'avrei raccolto volentieri. Era bellissimo. Non volle saperne di me. L'anno dopo non l'ho più visto. Sono scomparsi i traini, gli sciarabà, le carrozze, i faeton, i cupé. Sono scomparsi anche i trainieri ed i pummini. Amen.
Vittorio De Filippis

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