Vi offro da leggere il testo che è servito da sceneggiatura per il filmato creato gratuitamente in occasione del centenario della esplorazione della Grava di Zazzano (2006). Quest'opera è stata realizzata con pochi mezzi da: Michele Colletta (regia e montaggio); Alessandro Augello, valente agronomo emigrato a Bologna, autore delle ricerche e dei testi; Ciro Iannacone, ottimo musicista che per campare fa (ottimamente) l'insegnante, che ha prestato la voce narrante ed ha fornito le basi musicali (anch'esse inedite). Potete vedere ca. 15 minuti.
Il webmaster
Si arriva da due parti diverse. Si segue la strada vicinale San Marco-Cagnano per circa 5 km a iniziare dall'innesto sulla SS 272; quindi, subito dopo il Papaglione, si prende, sulla sinistra, la deviazione che porta alle Cave Milo; si percorrono 6 chilometri, di cui un paio asfaltati, sino ad un bivio. Qui si gira a destra e, dopo circa 100 metri, nelle vicinanze di una cisterna, si nota una grossa depressione dall'aspetto cupo e misterioso, siamo sull'orlo della 'grava di Zazzano'. Oppure si segue per 6 km la provinciale S. Marco-S. Nicandro Garganico e quindi, sulla destra, si imbocca la deviazione per Bosco Rosso. Dopo 11 km di strada asfaltata, presso alcune costruzioni in rovina, si prende infine una strada sterrata che si percorre per 1 chilometro.
Un tempo la notorietà di Zazzano era legata alla freschezza e fertilità dei terreni, ora quasi tutti abbandonati e coltivati solo per una piccola parte. Di altitudine abbastanza elevata, circa 680 metri sul livello del mare, la contrada permetteva una vasta gamma di colture agricole, grano tenero, avena, orzo, grano saraceno, legumi – in particolare lupini, fagioli e ceci, ortaggi di ogni genere. Le patate però avevano il predominio. Esse crescevano rigogliose e con attacchi abbastanza contenuti di virosi che sono malattie delle piante generalmente portate dagli Afidi, insetti minuscoli e noti col nome volgare di Pidocchi delle piante. Ad altitudini che si avvicinano ai 1.000 metri, gli Afidi hanno difficoltà a riprodursi e quindi a trasmettere la malattia. E' questo il motivo principale per il quale la riproduzione delle patate da seme viene fatta in località ad altitudine elevata come Sila e Alto Adige.
![]() |
Magari non sarà proprio così, ma che tutta la zona fosse coltivata, è attestato da documenti che ne danno testimonianza.
Nel periodo dal 1815 al 1852, come si legge nel testo di Tommaso Nardella, Lo sviluppo economico e industriale della Capitanata, testo che ripubblica una relazione di Francesco Della Martora , la patata prima del 1813 o era sconosciuta in generale in Provincia, oppure se ne piantavano povere gemme per curiosità agraria.
'Oggi vasti campi se ne coltivano nel Gargano, massime nei comuni di San Marco in Lamis, San Giovanni, Carpino, Ischitella, Vico, per modo che cotesto farinaceo è divenuto un oggetto di industria. E son belle veramente le patate imperiali di cosiffatte località, richieste financo nella Capitale e all’estero'.
S. Marco in Lamis, nella prima metà del 1800, era dunque un paese esportatore di patate che venivano prodotte in abbondanza nei boschi dell’interno, Zazzano e Chiancate in primo luogo. Il fatto è tanto più sorprendente, quando si pensa che Michelangelo Manicone nella sua Fisica Appula, pubblicata nel 1806, se la prende con gli scettici sulla coltura della patata, che allora non era praticata sul Gargano, e scrive:
'Si, io non cesserò mai di ripetervi: coltivate le patate. So, che molti ridono, quando di coltivazion di Patate parlar mi sentono. Ma io altamente disprezzo il riso loro; perché al bel nome di patatista garganico altamente aspiro'.
In risposta alle speranze del Manicone anche adesso, soprattutto in zone dotate di maggiori servizi, anche se un po’ distanti da Zazzano, continua la produzione di questi tuberi.
È d’obbligo, a questo punto, ricordare che le patate costituiscono l’ingrediente di base per la preparazione del pancotto, uno dei piatti tipici di San Marco, non a caso servito agli speleologi anche in occasione delle prime spedizioni, nel 1957 e nel 1959 e, come ci racconta il professore Cursio avidamente gustato già alle nove del mattino.
![]() |
![]() |
![]() |
Il secondo fattore era dato dal fatto che i terreni di montagna, con piovosità doppia rispetto a quelli della pianura, erano più freschi e avevano bisogno di meno acqua di un terreno di pianura dove, agli inizi del secolo e prima, di certo non c'era l'irrigazione.
Tale tendenza avrà il suo culmine negli anni 60, in coincidenza con il boom economico del Nord Italia che richiedeva un numero di lavoratori sempre maggiore.
Il Gargano, e in maniera più accentuata le sue zone agricole interne, fu investito in pieno da questa ondata migratoria e, a coloro che per tutta la vita avevano fatto i contadini, non restava altro che fare le valigie e partire in cerca di una vita migliore.
Attualmente i seminativi, non più coltivati da decenni, sono in fase di colonizzazione da parte delle piante pioniere, soprattutto il Prunus spinosa, detto volgarmente Prùgnolo e, in dialetto sammarchese, Trigne nire.
In quest'opera di riconquista degli spazi da parte della vegetazione spontanea, fanno compagnia al Prùgnolo il Rovo, il Carpino nero, l'Orniello ed altre specie pioniere, fra le quali la Ginestra odorosa. Ma, una delle prime piante ad insediarsi nei coltivi abbandonati è la Felce, che talora cresce così alta che una mandria di vacche, in mezzo ad essa, quando è ancora verde, si distingue a fatica.
![]() |
![]() |
|
![]() |
La Felce è una pianta ostica per chi ha intenzione di lavorare la terra. I pochi allevatori che ogni tanto tentano di mettere a coltura i seminativi abbandonati, in particolare a foraggio, ben presto desistono dall'impresa. La Felce, più la estirpi e più ricaccia; non teme il fuoco, non sia mai, per tentare di eliminarla, si interviene con motozappe e frangizolle vari: un intervento con questi mezzi equivale a una sua forte propagazione: i suoi rizomi, spezzettati e quindi numerosissimi, daranno origine ad altrettanti individui. Pare che qualche risultato si ottenga con diserbanti sistemici, ma non tali da indurre gli allevatori a proseguire in quest'opera che è più da tenaci contadini anziché da allevatori distratti. Eppure, c'è chi questa pianta la utilizza, in particolare per la preparazione del supporto di corone di fiori. Non è raro, infatti, vedere camion provenienti specialmente dalla Campania, venuti sul Gargano a fare il pieno di felci.
Quasi tutto il territorio è ora zona franca per il pascolo. Ovunque ci sono solo Vacche podoliche allo stato semibrado, quasi tutte di razza Pugliese, detta anche Podolica, libere di pascolare dove gli pare. I proprietari di numerose aziende abbandonate sono ormai morti da tempo e gli eredi di queste aziende non si sono mai interessati a tale eredità vuoi perché emigrati al Nord e all'estero e vuoi perché la conduzione di questi terreni è antieconomica.
Se si aggiunge l'assenza di servizi in zona e la presenza di soggetti la cui unica preoccupazione è tenere lontana la gente dal posto, si può capire come i veri padroni di questa parte di territorio, attualmente, siano gli allevatori che non si fanno alcun problema nel recintare, senza chiedere il permesso a nessuno, i loro e gli altrui terreni, quelli pubblici e privati, demaniali compresi.
Si coglie un certo senso di disagio nel percorrere la strada che porta alla grava. Forse è il senso di solitudine o di primordialità che queste contrade inducono nel visitatore, forse è la semplice emozione per una passeggiata fuori dagli schemi usuali, provata da persone abituate ormai solo alla città.
![]() |
Non c'è, comunque, da annoiarsi: il paesaggio, all'occhio del profano, può apparire totalmente selvaggio, specialmente adesso che è sotto l'opera di riconquista da parte della natura. In realtà, si coglie ancora distintamente l'azione della mano dell'uomo. Gli alberi che si vedono lungo il tragitto, soprattutto Cerri, ma anche Carpini, Aceri, Orniello, indicano il tipo di governo dei boschi. Si operano tagli a ceduo anche se la tendenza, in buona parte del territorio garganico, è la conversione dal ceduo all'alto fusto. Il Castagno, invece, di solito è tenuto ad alto fusto per la produzione di castagne, ma non mancano cedui per la produzione di paleria.
Ci si domanda come mai, in queste zone, specialmente quando erano in auge, nessuno abbia mai pensato a costruirvi un centro urbano. La risposta è semplice: il tentativo è stato fatto, ma non è riuscito. A testimoniarlo restano solo delle rovine. In una pietra che qualcuno ora ha asportato, c’era scolpita la data del 1814, come ci ha raccontato un vecchio cacciatore.
Zazzano, dunque, come località, è stata sempre famosa. La sua fama più diffusa, però, è legata alla presenza di una grava, la grava di Zazzano, per l'appunto.
Pasquale Soccio, in Gargano segreto, dichiara di non saper se in fondo alla grava o altrove, non si trovi il cuore stesso del Gargano e il segreto della sua vita.