02 Marzo 2025
Ho appena reso pubblico la Storia di Giuseppe Mastrilli, di autore ignoto e stampato presumibilmente nell’anno 1880; si tratta di un liblicino di 28 pagine.
Incuriosito sono andato a vedere chi era Giuseppe Mastrilli: era un brigante, ma trattato benissimo dal nostro anonimo estensore. Ho inserito 2 note, per me esaurienti, sul Nostro, che era vissuto alla fine del ‘700 negli Stati della Chiesa.
Il libercolo è in rima (ABABABCC) e si capisce cosa l’estensore voleva dire.
Il libricino racconta tutta un’altra storia rispetto a quella assodata. “Fake”. Il “popolo” di allora voleva questo prodotto e gli editori glielo davano.
Alla fine del libriccino si trovano elencati altri volumi che la Casa editrice (la Salani di Firenze) proponeva. Ne elenco 22: 1. Pia de’ Tolomei. 2. Il Frustino e la Grestaina. 3. Storia dell’Imperatore superbo. 4. Liberazione di Vienna. 5. Soldato Prussiano. 6. L’assassino Francescotto. 7. Federigo Bobini, detto Gnicche. 8. Flavia Imperatrice. 9. I due Sergenti. 10. Aida. 11. La trappola delle Donne. 12 Lo Spedale dei Rovinati. 13. Marziale. 14. Girolamo Luchini, famoso ladro. 15. Storia di Baruccabà. 16. Marietta Cortigiana. 17. Contrasto tra un Povero ed un Ricco. 18. Angiola Crudele. 19. Grognolo. 20. Guerrino detto il Meschino. 21. Cario Grandi. 22. Sansone […].
Ne sono illustrati 46, ma il libriccino è incompleto.
06 Marzo 2025
Da un pò di giorni ho iniziato a leggere “L’anno 3000” di Paolo Mantegazza, dato alle stampe nel lontano 1897. Come è mio costume ho iniziato a raccogliere materiale sul tipo; ho raccolto anche materiale sul francese Jules Verne … ; nel frattempo leggo e correggo il libro … che renderò di pubblico dominio, con le mie osservazioni, naturalmente ….
Il mio sito www.garganoverde.it cresce, e cresce … ; non vi dò una informazione puntuale sui nuovi inserimenti, perché i miei “followers” sono della persone colte … ; cercate e vi sarà aperto ….
In una tabella, posta agli inizi del libro, ho inserito una citazione, che vi propongo:
Da www.experiences.it
Siete curiosi di sapere come se la immaginavano la vita quotidiana a fine Ottocento? Ad esempio, come sarebbe stato viaggiare? Magari alla pazzesca velocità di 150 chilometri orari? Leggiamo il libro nato dalla fantasia di Paolo Mantegazza, scrittore, ma anche medico fisiologo e igienista. È uno dei precursori della fantascienza italiana, che nel 1897 descrisse una utopica società del futuro. Il suo viaggio immaginario avviene nell’anno 3000. Ogni problema è stato risolto da una tecnologia meccanica che ha fatto superare anche le vecchie ideologie. Nel suo romanzo ci si imbatte nei temi che nel corso del Novecento diventeranno nodi da sciogliere, come pacifismo, internazionalismo, eugenetica, controllo demografico, libertà sessuale per entrambi i sessi, sperimentazione farmacologica umana e animale.
10 marzo 2025
Sono quasi riuscito a leggere per la prima volta il libro di Paolo Mantegazza (1831-1910) “L’anno 3000”, stampato nel 1897. L’autore era un medico, famosissimo nel suo tempo, in cui “spadroneggiavano” i Lombroso, i Ferri, i … Mantegazza e compagnia bella.
Ho già resa pubblica la Rassegna scientifica, scritta dal Mantegazza per la “Nuova Antologia” del 1877 come preparazione alla pubblicazione sul mio sito della versione commentata del libro “L’anno 3000”. Avevo già reso pubblico un testo, riferito al Mantegazza, scritto dal religioso Giovanni Casati (1881-1957) nel libro del 1921 “I libri letterari condannati dall’Indice” [https://www.garganoverde.it/contenuti/letteratura-download-2/costume/1921-giovanni-casati-i-libri-letterari-condannati-dall-indice-p-mantegazza.html]. A proposito di “Indice”, abolito ufficialmente nel 1917, ma le cui competenze passarono al “Grand’Offizio”, il cui capo (controllare! Telefonare a p. Mario Villani”) era un monaco francescano di S. Giovanni Rotondo, il grandissimo padre Diomede Scaramuzzi (1880-1966), morto nel convento di San Matteo a San Marco in Lamis.
Nell’ “incipit” del libro “L’anno 3000” si trova una dedica, che riporto:
“Alla mia Maria/Raggio divino di sol e/che illumina e riscalda/l'ultimo crepuscolo/della/mia sera”.
Ho terminato di farvi vedere le immagini presenti nei 2 volumi, presenti nella Biblioteca di s. Matteo a San Marco in Lamis e dal titolo "Descrizione storica degli ordini religiosi".
Pubblico alcune immagini di un libro del 1857, scritto da Cesare Cantù …
12 marzo 2025
Ho terminato di leggere per la prima volta il libro “L’anno 3000”, di Paolo Mantegazza, edito nel 1897; ho appreso che il libro è nato come reazione a quello del 1888 di Edward Bellamy, accusato di rappresentare una società a carattere socialista. Ora posso dedicarmi ai miei commenti, in genere presi dal web.
Nell’ “Anno 3000” il Mantegazza (1931-1910), che aveva 66 anni, fa una “summa” dei suoi libri e del suo modo di pensare. Il Mantegazza era una persona molto importante, insieme a Cesare Lombroso (1835-1909), del quale ho pubblicato una “Prefazione” e gran parte del primo capitolo di “L’uomo di genio”, edito nel 1894; ho preso pubblico questo estratto, con notizie riguardanti Cesare Lombroso e Max Nordau (https://www.garganoverde.it/contenuti/letteratura-download-2/costume/1894-c-lombroso-l-uomo-di-genio.html) per “inquadrare” meglio l’importanza di questi due personaggi nella società dell’epoca …
Avete capito ora perché Gaetano Salvemini (1873-1957) si dimise polemicamente dal partito socialista dei Ferri e … Lombroso (anti meridionalista e “nordista” (https://www.garganoverde.it/scrittori/gaetano-salvemini.html). Il Lombroso è morto nel 1909, il Mantegazza nel 1910.
15 marzo 2025
Nel commentare “L’anno 3000” di Paolo Mantegazza, sono capitato, cercando libri sul web, su Guido Pallotta, giornalista, fascista convinto, caposquadra in Africa Orientale (dove vi troverà la morte, nel 1940), “Pagine di un gregario”, edito a Torino nel 1935. Incuriosito sono andato a leggere, e vi ho letto la “Risposta al professor Salvemini intorno al problema dalmata “, che ho reso pubblico, insieme a delle note sull’Autore (https://www.garganoverde.it/contenuti/storia/1935-guido-pallotta-contro-g-salvemini.html).
Tornando al Mantegazza (1831-1910), mi sono preso la briga di andare a vedere alcuni coetanei (o quasi) del Professore, che rispondono al nome di:
Garibaldi (1807-1882): il M. aveva 51 anni quando l’Eroe morì; lo conobbe;
Cavour (1810-1861): il M. aveva 30 anni quando il Conte morì;
Vittorio Emanuele di Savoia (1820-1878): il M. aveva 37 anni quando il re morì.
Giuseppe Mazzini (1805-1872): il M. aveva 31 anni quando il Mazzini morì; lo conobbe.
Gaetano Salvemini (https://www.garganoverde.it/1918-salvemini-ghisleri-italiani-e-jugoslavi.html) (1873-1957): il Mantegazza, a Firenze, all’Istituto di Studi Superiori, fondato da P. Villari, allievo ed amico del De Sanctis, in cui il Salvemini fu alunno ed in seguito insegnò, fondò l’Istituto di Andropologia ed Etnologia. Quando il M. morì (1910), Gaetano Salvemini aveva 37 anni.
Ernesto Rossi (1897-1967): il Rossi aveva 13 anni quando il Mantegazza morì ….
Accompagno questo testo con immagini prese ed aggiustate da un numero del “Travaso” del 1950.
A San Marco in Lamis, addossato alla sede della Democrazia Cristiana, in Corso G. Matteotti, proprietà dell’ex onorevole Angelo Cera, c’era un locale, che prima di ospitare la sede di un calzolaio (Angelo, morto non molto tempo fa), era la sede di un’edicola di giornali: ricordo un solo titolo rimastomi impresso nella mente: il “Travaso”.
15 marzo 2025
Walter Pasini, Paolo Mantegazza, deputato e senatore del Regno, in Paolo Mantegazza e l’Evoluzionismo in Italia, a cura di Cosimo Chiarelli e Walter Pasini, p. 121-132, 2010
Tra le molteplici attività alle quali Paolo Mantegazza si dedicò nel corso della sua intensa ed affascinante vita vi fu quella politica. Egli fu dapprima deputato nazionale (dal 1865 al 1876), poi senatore. Partecipò e vinse 4 elezioni nel collegio elettorale di Monza. la prima elezione avvenne il 22 ottobre 1865. la quarta ed ultima elezione ebbe luogo nel novembre 1874. Fu l’ultimo successo della Destra, che pur perdendo 30 seggi mantenne la maggioranza.
Nelle elezioni del 1876, vinte poi dalla Sinistra, Mantegazza non si presentò. In quello stesso anno venne però nominato per regio decreto senatore. Perché Paolo Mantegazza volle occuparsi di politica? Per curiosità intellettuale, per vanità, per ambizione, per allargare i suoi orizzonti, per esplorare un altro mondo, per poter tradurre in pratica quella sua visione della sanità e della cultura che aveva dentro di sé. Bisogno di conoscenza, di riconoscenza. C’è forse in questa scelta la stessa motivazione che lo aveva spinto a lasciare la tranquillità dei luoghi natii per recarsi nella lontana Argentina. Desiderio di allargare i propri confini intellettuali, di entrare in luoghi conosciuti solo dai resoconti dei giornali, desiderio di esplorare nuovi territori delle umane attività, di raggiungere nuovi traguardi. Paolo Mantegazza aveva partecipato giovinetto alle 5 giornate di Milano del ‘48, aveva “preso parte alla battaglia infelice sotto le mura della stessa città sotto il comando del generale Zucchi”. Aveva fatto il medico ed il chirurgo nell’ospedale militare di Sant’Ambrogio nel ‘59. Nel ‘66, già deputato, volle poi partecipare alla III guerra di Indipendenza, ricevendo però dal generale Pettinengo, ministro della guerra, uno sdegnoso rifiuto. Il patriottismo, l’amore per la patria, per la libertà e l’indipendenza della nuova nazione erano stati mutuati dall’esempio della madre, figura fondamentale della sua formazione. Laura Mantegazza era nata nel 1815 a Milano. Perduta presto la mamma, fu affidata alle cure di una famiglia amica, poiché il padre Solera era emigrato per cause politiche. Sposò a 16 anni G. B. Mantegazza, appartenente ad una facoltosa famiglia di Monza, dove la coppia si stabilì. Nel 1848 si fece promotrice di una colletta per i feriti delle Cinque giornate di Milano, che poi si diede a curare personalmente nell’ospedale di Milano. Nel 1850 fondò la Casa di ricovero per i bambini delle madri povere e oneste per far fronte al problema dell’accresciuto numero di bambini abbandonati negli ospizi per trovatelli e lanciò caldi appelli alle madri appartenenti ai ceti agiati affinché aiutassero con le loro offerte questa istituzione. Nel 1852 fondò una Scuola per le adulte analfabete, dove per qualche tempo fu anche maestra. Nel 1859 seguì con grande passione gli eventi politici e bellici della II guerra di Indipendenza. Dopo il ferimento di garibaldi all’Aspromonte ed il suo imprigionamento a Varignano, ella si prodigò con Adelaide Cairoli per prestare soccorso al generale. Si mantenne sempre in contatto con il Castellini, che dirigeva a Milano la commissione dei soccorsi di garibaldini. Nel 1870 ad unità di Italia raggiunta, creò una Scuola professionale femminile per accogliere le fanciulle, che erano poste nella condizione di dover lavorare, dopo i pochi anni di scuole elementari, per insegnare loro un mestiere.
La madre dunque, col suo esempio esercitò un grande fascino sul Mantegazza. l’opera educativa, sociale e politica della madre avranno senza dubbio un grande richiamo sul figlio Paolo. È probabile che egli possa aver intrapreso la strada politica anche per onorare la madre che tanti sacrifici aveva fatto per lui e per il bene collettivo. Un’altra motivazione potrebbe essere stata, come si diceva, la speranza di poter incidere nella realtà. lui professore universitario di Pavia, medico, con una cultura di igiene e sanità pubblica, aspirò di poter intervenire dove si decidono le sorti del paese, laddove si legifera. Politica come ampliamento, estensione del suo esser medico. Con l’impegno politico egli intende prendersi a cuore l’interesse generale del Paese, in particolare nel campo dell’istruzione e della salute pubblica. Sono molti gli esempi che si potrebbero citare a supporto di questa tesi. Il 21 maggio del 1868 egli fece un’interpellanza al Ministro della Pubblica Istruzione, Broglio, sull’insegnamento superiore. Si trattò del più lungo discorso in assoluto che mai fece alla Camera. Egli deplorò lo stato incerto, confuso, precario in cui versava l’insegnamento superiore, auspicò la fioritura di studi nel paese e soprattutto criticò la dispersione delle competenze, la frammentazione del sapere universitario, il numero eccessivo di Università, proponendo la creazione di poli universitari di alto livello (concentrazione del sapere) e la chiusura delle piccole. Egli auspicò anche una riforma degli insegnamenti che erano pagati poco. Per quanto riguarda gli studenti, egli raccomandava un maggior impegno. Intervenne (8 giugno 1866) in merito alla legge sulle Risaie per sottolineare i pericoli per i lavoratori delle risaie e per gli abitanti delle zone paludose.
La legge intendeva lasciare i consigli provinciali arbitri circa l’impianto di nuove risaie e la distribuzione delle antiche. la legge quindi affidava ai gruppi di potere locale grande autonomia. La legge metteva di fronte l’interesse economico e quello igienico-sanitario. Mantegazza votò contro la legge che fu approvata dalla camera, perché trascurava del tutto la tutela della salute. È vero che le risaie consentivano occupazione, ma gli effetti sulla salute erano considerevoli. Non era solo la malaria, che rappresentava a quel tempo in Italia un problema di sanità pubblica di primaria importanza, ma anche febbri tifoidi, altre malattie a trasmissione oro-fecale, reumatismo. gli addetti alla risicoltura erano costretti ad attingere a pozzi facilmente inquinati dall’acqua di scolo delle risaie.
Ai tempi in cui Mantegazza interveniva nel dibattito sulle risaie (giugno 1866) non si conosceva ancora l’agente etiologico della malaria (protozoo), né l’agente vettore (zanzara Anophele). Il merito d’aver associato le zanzare alla malaria viene storicamente conteso tra l’italiano Battista Grassi, professore di Anatomia comparata e l’ufficiale medico britannico, Ronald Ross, insignito nel 1902 del Premio Nobel.
Ronald Ross descrisse nel 1897 il ciclo di sviluppo che un parassita malarico degli uccelli compie in zanzare del genere Culex. l’intervento di Mantegazza a tutela della popolazione contro la malaria era troppo innovativo: solo alla fine del secolo venne introdotta in Italia una legislazione antimalarica con la produzione e la distribuzione del chinino da parte dello Stato. Fu poi Bizzozero, che succedette a Mantegazza alla cattedra di patologia generale a Pavia, insieme a Baccelli, che si fece promotore poco dopo della legge che stabiliva che nelle zone dichiarate malariche fosse il Comune a farsi carico delle spese di distribuzione di chinino ed a rivalersi nei confronti dei proprietari di terre e degli imprenditori di lavori in tali zone. Vennero poi emanate norme di protezione meccanica attraverso barriere come reticelle meccaniche, zanzariere, ecc.
Con la legge del febbraio 1904 il chinino, distribuito gratuitamente a malati ed a sani che lavorano nelle zone a rischio, diventò mezzo di cura e di profilassi. Nel luglio del 1870 si oppose al fatto che i sifilocomi passassero alle province e ai comuni. In quel caso la Camera votò favorevolmente alla sua proposta di non decentrare le competenze in materia.
In età giovanile Paolo Mantegazza aveva scritto un libro Ordine e libertà nel quale aveva espresso il suo pensiero politico. Nel libro, l’autore descrive il suo modo di concepire la vita sociale e politica della nazione e nello stesso tempo illustra al lettore le norme che regolano la vita civile e politica, facendo quindi quello che si chiamava un tempo educazione civica. Paolo Mantegazza richiama tutti i lettori ai doveri civici sottolineando il valore delle parole scelte per il titolo dell’opera.
"I doveri che abbiamo verso la patria, i diritti che abbiamo come cittadini non sono diversi dei doveri e dei diritti che come uomini abbiamo verso il padre, la madre, gli uomini tutti. la politica è la morale allargata a più vasto campo, complicata dal meccanismo di mille elementi che si muovono insieme e si fanno equilibrio; ma poggia tutta quanta sui principi immutabili del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. Ciò che noi molte volte non intendiamo della morale politica è la forma; ciò che ci sembra intralciato o incomprensibile è l’applicazione d’un principio semplice a mille casi diversi e complessi; ma l’uomo più povero di mente può e deve intendere perché vi sia un governo, perché vi siano codici e tribunali, premi e castighi; perché i cittadini abbiano diritti e doveri; perché i ministri, i re, i potenti della terra non possano essere altro che cittadini; e perché tutti abbiano ad ubbidire all’autorità che difende la giustizia, l’ordine, la libertà. Siccome non v’ha un uomo al mondo che non abbia una patria, così non v’ha cittadino che non abbia doveri verso quella famiglia che difende le proprietà, che amministra la giustizia, che si fa garante del libero esercizio dei diritti di tutti. Chi vuole assicurare il campo dalla grandine, la casa dall’incendio, la nave dal naufragio, paga una piccola somma ogni anno ad una società, e così può dormire i suoi sonni tranquilli, sicuro che il mattino non lo troverà fatto povero in un’ora. or bene, la patria è una vasta e potente società di assicurazione che difende la libertà e le proprietà di tutti, che per tutti abbellisce le città, feconda le terre, illustra le scienze, le lettere e le arti. E questo dico per gli uomini di corta vista e di povero cuore che d’ogni cosa cercano la ragione matematica e in ogni istituzione vedono un interesse. Per gli altri tutti la scienza dei doveri verso la patria è scritta nel cuore, là dove Dio stampava a caratteri indelebili: Tu amerai i tuoi fratelli; godrai delle sue gioje ed egli soffrirà del tuo dolore. I diritti del cittadino sono il riscontro dei suoi doveri. Come non v’ha dovere senza un diritto, così non v’ha un diritto senza un dovere. Questo rapporto necessario segna l’equilibrio sulla bilancia del giusto, è la pietra angolare dell’umana società; è la vera fonte dell’eguaglianza fra gli uomini; è anzi la sola eguaglianza più completa, più assoluta che dovrebbe chiedere in prestito l’onnipotenza da Dio e far nascere tutti gli uomini della stessa forma, della stessa misura, dello stesso ingegno, collo stesso cuore; allora soltanto raggiungerebbe l’ideale dell’eguaglianza. Finché gli uomini sono così diversi, finché ve ne sono di splendido ingegno e di corta vista, di gracili e di robusti, di generosi e di rapaci, non v’ha altra eguaglianza segnata dal regolo della libertà che quella di diritti e dei doveri. Diritti di libertà e di giustizia per tutti. Diritti di lusso a chi ha più doveri: a chi può godere di pochi diritti, pochi doveri. là dove la vita d’un uomo lotta invano e si affatica contro un cumulo di obblighi senza l’equo e armonico equilibrio dei diritti, v’ha un’ingiustizia che la società deve riparare. la conquista laboriosa della civiltà è un lotta continua per riparare agli errori di equilibrio sociale". Nel capitolo dedicato al parlamento, Mantegazza illustra le norme che regolano le elezioni politiche. Ad essere "elettore" - dice - "è richiesto il concorso delle seguenti condizioni: di godere per nascita o per origine dei diritti civili e politici nei Regii Stati. Di essere giunto all’età di anni 25 compiti nel giorno dell’elezione. Di saper leggere e scrivere. Di pagare un annuo censo non minore di lire italiane Quaranta".
Sono però ammessi all’elettorato, indipendentemente da ogni censo, molti cittadini che per la loro cultura danno sufficiente garanzia di capacità. Responsabilizza molto l’elettore al quale spetta il compito di scegliere i rappresentanti della nazione, coloro chiamati a legiferare. Costoro sono chiamati ad un’alta missione.
"Il deputato è l’uomo che col re governa il paese; egli ha raggiunto l’onore più grande a cui possa aspirare un cittadino in un libero paese. Egli ha diritto di proporre una legge, di combatterla; egli può in un giorno abbattere un ministro, può all’indomani diventare ministro; decidere col re e i suoi colleghi della pace e della guerra; può fondare scuole, e strade, e istituti d’industria e di arte; può lasciare ai posteri larga eredità di gloria e di fortuna così come può disonorare la patria. E quest’uomo così potente siete voi che lo nominate, siete voi che gli conferite tanta autorità e tanta potenza nel momento in cui con un rapido mover di penna scrivete il suo nome sopra un povero foglio di carta. Voi state dettando la legge che dovrete obbedire, dacché i codici sono fatti dai legislatori e il deputato è legislatore, è giudice, è re. Pigliate dunque a due mani il vostro ingegno e il vostro cuore; meditate profondamente e a lungo; discutete le vostre opinioni cogli amici, coi congiunti, cogli avversari vostri. Fatevi insieme ai cittadini operosi che in pubblici circoli si istruiscono a vicenda e si combattono a chiarire il valore degli uomini e la solidità dei principj. Non crediate al primo giornale che vi cada fra le mani, ma leggetene di molti; non crediate di fare il vostro bene, mandando al Parlamento chi lusinga le vostre passioni, chi vi promette ajuto nelle vostre suppliche, appoggio alle vostre querele. Molti ambiziosi lusingano le passioni degli individui, le vanità municipali; poi raggiunto il potere, dimenticano tutto e tutti; né, volendo occuparsi di voi, lo potrebbero, assorbiti una volta dal torrente dei pubblici affari. Volendo fare il vostro interesse, non farete il vostro né quello del paese. occupandovi invece del pubblico bene, farete anche il vostro; dacché dove la nazione prospera, anche gli individui godono della prosperità universale".
"Il buon deputato è un uomo intiero, ricco di cuore più che di ingegno; è un cittadino che non venne mai meno alla dignità, né ha mai saputo transigere coll’onore né coi nemici del suo paese. È un uomo che si è occupato più di mantenere pura la coscienza che di estendere in campo smisurato la sua coltura. È un uomo che ama la patria sopra ogni cosa, che per essa ha fatto sagrifizio di sangue, di denaro e di ingegno; che l’ha difesa col suo braccio o illustrata colle sue opere o illuminata coi suoi consigli. Egli non è né poeta, né musico, né filosofo; ma è uomo di senno che distingue con molta sicurezza le utopie della mente dalle difficoltà della pratica.
È un uomo che non si lascia rompere dalle minacce, né piegare dalle seduzioni, né avvilire dalle calunnie; che negli uomini cerca prima il cuore e poi venera l’ingegno, che non combatte i ministri colla speranza di ghermire un portafogli, né li accarezza per avere un nastro o un impiego. Il deputato è un uomo che sa benissimo come nessun onore, nessuna gloria possa essere maggiore di quella che gli fu concessa di rappresentare la nazione, di pensare e di combattere per essa".
Nel capitolo intitolato "Malcoltenti e mestatori - Dei partiti e delle sette", Mantegazza richiama tutti i cittadini alla partecipazione e alla consapevolezza che l’Italia è la patria di tutti gli italiani.
Ma ora la patria è nostra, è libera, è forte e fra poco dalle Alpi a Scilla sventolerà una sola bandiera; da Venezia a Palermo sarem tutti fratelli di una sola famiglia. liberi cittadini di un libero paese non abbiamo però perduto la fatale abitudine di vedere nel governo un nemico, o quanto meno una potenza che ci sta sopra come un incubo, a cui dobbiam sempre guardare con aria di sospetto e di sfiducia. Non possiamo dimenticare che per tanti anni la stessa mano che amministrava la giustizia, ci percuoteva; che la stessa mano che segnava la sentenza di morte all’assassino, segnava pur quella dell’uomo innocente e generoso che non aveva altro delitto che quello di aver molto amato la patria. È questo un errore tristissimo che ci fa ricordare le catene in mezzo al canto degli inni nazionali; è un ricordo amaro de’ tempi passati e che con Dio e col nostro coraggio non hanno più a ritornare. Quando odo dir da alcuno: Prima c’erano i Tedeschi, or abbiamo i Piemontesi, mi si gonfiano gli occhi di lagrime, e mi par di vedere un uomo liberato dal carcere, in cui languì lunghi anni, ad ogni tratto tastarsi i polsi per cercarvi le catene spezzate. Fate di non pronunciare mai una tanta bestemmia.
I Piemontesi sono Italiani come noi, come gli abitanti di Venezia, di Roma, di Firenze, di Napoli. Essi furono soltanto più fortunati di noi.
Ebbero libertà e indipendenza prima di noi e passarono il Ticino, col loro re alla testa, per liberare i loro fratelli. Noi dobbiamo ad essi eterna riconoscenza. Essi hanno conservato nelle loro mura, con grandi sagrifizi di uomini e di denaro, la sacra favilla della libertà: di là ci venne il grido d’emancipazione. È per essi che noi non siamo più sudditi austriaci, ma cittadini d’Italia: è per essi che 22 milioni di Italiani si chiamano fratelli; è per essi che il nostro povero paese, schiavo ancora pochi anni or sono, diviso fra cento tiranni, sta per diventare una grande nazione; è per essi che Vittorio da re di Piemonte è divenuto re d’Italia".
Infine, nel capitolo "la religione nello stato" Mantegazza sottolinea il concetto che lo Stato deve rispettare la libertà di culto, ma che la chiesa non deve essere Stato, non deve fare attività politica, ma occuparsi delle anime.
"Il dovere d’ogni governo, che sia all’altezza dei Tempi, è quello di rispettare la libertà delle religioni. Quando non si offendano i costumi, le proprietà, la morale, ognuno è giudice dinnanzi alla coscienza della propria fede; e chi volesse imporre quel senso prezioso del bene e del male, che è uno dei tesori più preziosi dell’uomo".
"La Chiesa non ha bisogno d’armi e di soldati, così come il pontefice, padre di essa, non ha bisogno di una corona. lasciate il triste compito di accusare e di punire agli uomini che esercitano il potere in questa vita; lasciate la pompa dell’oro e dello scettro ai re di questo mondo. Voi siete al disopra dell’umana miseria e dell’umana grandezza più misera di quella; voi siete in una regione ben più elevata di quella in cui si dibattono le povere gare delle umane passioni, in quel modo che il cielo sta al disopra della terra. Voi siete ministri di un Dio che nasceva in una stalla, che aveva ad apostolo dodici pescatori, che non sdegnava il lavoro delle mani e vi insegnava a conquistare un mondo colle armi innocenti dell’umiltà e della morale".
Abbiamo citato qui brani del libro Ordine e libertà, ma quello che più di ogni altro illustra l’attività politica di Paolo Mantegazza è Memorie politiche di un fantaccino del Parlamento italiano in cui egli descrive l’intera sua esperienza politica.
Leggendo le sue Memorie politiche è netta l’impressione che Mantegazza fosse in politica, almeno nei primi anni, un pesce fuor d’acqua. A lui erano sconosciute le regole della politica, il linguaggio, la forma mentis, il modo di ragionare, di discutere e risolvere i problemi. Egli si trovava a competere con professionisti della politica, con uomini navigati, per i quali la politica era una professione e che esercitavano con determinazione, tenacia, passione. Molto significativo e molto divertente è il suo primo intervento politico.
Angosciato dal pensiero che i suoi elettori di Monza pretendessero di vederlo attivo in politica e di leggere un suo discorso, egli decide di prendere la parola in una situazione certamente inopportuna per un novellino: una pregiudiziale di voto. Si accorge mentre parla dell’inopportunità del suo gesto e soprattutto si lascia prendere dal panico quando sente, come sarebbe stato logico supporre, un "mormorio" dai banchi della sinistra, disappunto per quello che dice e che è contrario al pensiero della Sinistra.
"Io ero abituato - egli dice - ad essere ascoltato con attenzione dai miei studenti e non essere disapprovato. Ed è puerile pensare in politica di suscitare la stessa religiosa attenzione da tutta l’aula". Poi vede Francesco Crispi, il leader della sinistra, che si sbraccia e chiede ai suoi "Ma chi è quello?".
I suoi fanno eloquentemente cenni con le braccia e con la bocca di non saperlo proprio e mentre assiste a questa scena ed ascolta la propria voce che parla (d’altra parte la Destra allora aveva la maggioranza) egli rimane profondamente deluso ed intimidito. Questo fu il suo battesimo politico.
"E tutti i giorni i miei elettori di Monza cercavano con avidità i rendiconti della Camera per vedere se avessi fatto un discorso. E il discorso fu fatto; ma fu un parto col forcipe e con grave lesione del feto e della puerpera. Non poteva scegliere momento più inopportuno, occasione più sciagurata per parlare. Era il 18 dicembre del 65, e si trattava di votare l’indirizzo in risposta al discorso della Corona. la sinistra voleva che la risposta fosse discussa e largamente, prendendo occasione per criticare l’indirizzo politico del Ministero. la destra invece voleva che la risposta non fosse che una parafrasi del discorso della Corona, un complemento, una formalità: null’altro. Per opporsi agli intendimenti della sinistra avrebbe dovuto prendere la parola uno dei generali della destra e non un oscuro gregario, che da pochi giorni e per la prima volta era deputato. Ma il povero neofito aveva dietro le spalle il coro degli elettori, che giorno e notte e su tutti i toni gli gridavano o gli mormoravano all’orecchio: Parla, parla, parla! E il deputato di Monza domandò la parola per una mozione pregiudiziale".
"Quelle parole in corsivo "mormorio a sinistra" non sono che tre, ma furono per me una scarica a mitraglia. Come professore, come conferenziere io era abituato a parlare a uditori silenziosi ed attenti; ma quando il mio modesto e breve discorso fu interrotto da quel mormorio, mi sentii correre per tutta la pelle un brivido, e un sudor freddo mi bagnò dal capo ai piedi. Insieme al mormorio vidi il Crispi, capo allora della sinistra, che agitando telegraficamente le sue braccia con violenza siciliana chiedeva ai vicini, chi io mi fossi. E tutti mi guardavano - rispondendo a lui, che non mi conoscevano. - E quell’ignoto, quel quidam, osava mettersi di contro a un Crispi, al capo potente di tutto un partito! Dopo di me parlò il Ricciardi per sostenere la mia tesi, per tutt’altra ragione, e il Crispi rispose con accento violento e guardandomi da lontano con uno sguardo quasi feroce, e che mi fece risudare più freddo che mai".
"Il presidente Mari mise ai voti l’approvazione del progetto di risposta al discorso della Corona e la camera lo approvò. Io avevo avuto dunque ragione, ma il mio discorso era stato inopportuno, inutile, e come aveva detto benissimo il Crispi, anche poco conveniente. Del mio primo parto parlamentare fatto col forcipe non so se i miei elettori di Monza rimanessero contenti o no. Quello che io so è ch’io ne fui scontentissimo, e imparai a mie spese la verità dell’antichissimo proverbio, che il silenzio è d’oro!".
Capirà nel corso della sua esperienza parlamentare che la politica è un’arte, una professione che richiede competenze proprie per acquisire le quali sono necessari molti sforzi e doti, alcune delle quali innate.
"Per diventare giuristi, ingegneri, medici, dobbiamo studiare almeno per un terzo della vita, passando per una trafila di stacci e di cribri, che chiamansi programmi, esami di passaggio, esami di licenza elementare, di licenza ginnasiale, di licenza liceale; esami di laurea. E come ciò non bastasse, anche dottorati dobbiamo trovare altri cribri ed altri esami per salire altri gradini della gerarchia; cioè per diventare avvocati, medici di marina, professori, ecc. “.
Il deputato ha innato o impara quel metro di giudicare avvenimenti, fatti che Mantegazza chiama “criterio politico”.
"Oso dire, che giudica meglio delle cose della guerra un medico dotato di criterio politico, che un grande generale, a cui manca il criterio politico; e un generale, che è politico, può sciogliere un problema di istruzione meglio di un professore senza criterio politico. Questo criterio, che è sempre una forma del quid divinum, ci fa vedere in ogni questione il lato pratico, in ogni matassa ingarbugliata il filo, che ci condurrà a dipanarla. È quel criterio, che ci fa mettere sempre il dito sulla piaga o sul calcagno d’Achille, (secondo i casi), che ci fa distinguere il pane quotidiano dalla torta dell’avvenire; che ci insegna ad ingrossare, quando è necessario, una piccolissima questione, e fino a farne un casus belli o a impicciolire un grande problema fino a renderlo invisibile ad occhio nudo. Il criterio politico, soprattutto è quello, che ci fa conoscere gli uomini a primo colpo d’occhio, che ci fa distinguere i ciarlanti o gli ignoranti presuntuosi dai sapienti modesti; che ci fa scoprire in ogni uomo il lato debole e il lato forte, e ad ognuno di essi ci fa assegnare il posto che gli spetta nella grande baracca sociale"
Queste attitudini a pensare politico appartengono ad una certa categoria di uomini ed il Mantegazza, attento osservatore e conoscitore di uomini apprese facilmente la facoltà di annusarli, di distinguerli, riconoscerli anche in luoghi diversi dalla Camera e dal Senato.
"Sul terrazzo dei bagni di Rimini la sera io discorrevo spesso con due giovanetti, uno dei quali non era che un signore e un conte, marito di una bellissima signora e l’altro era un avvocato molto bello e di liete speranze. Si chiamavano Luigi Ferrari e Alessandro Fortis, e quando giudicavano dei fatti politici della giornata, parlavano con tanto criterio, con tanta finezza, ch’io ebbi a dir loro più volte: "Ma caro conte, datevi alla politica. Ne avete tutta la stoffa per diventare qualcuno e qualcosa. date l’esempio all’aristocrazia vana e oziosa, di prender parte attiva nella politica del nostro paese". E al giovane avvocato diceva: "lasciate il foro, lasciate i tribunali: entrate in Parlamento, vi troverete un posto e salirete in alto.
Il povero Ferrari è morto pugnalato da un volgare assassino, quando nella Camera aveva già acquistato un bel posto, ed era stato segretario generale al Ministero degli esteri. Il Fortis è uno dei deputati più eloquenti, già segretario generale agli Interni, sarà un giorno ministro".
Nel corso della sua esperienza di deputato e senatore egli venne in contatto con tutta la fauna politica: dai personaggi che recitarono un ruolo importante come Quintino Sella, Giovanni Lanza, Urbano Rattazzi, Marco Minghetti, Francesco Crispi, Agostino Depretis ai semplici fanti o fantaccini, rappresentanti dei vari collegi elettorali. Con la sua solita mania classificatoria, egli così dipinge il mondo parlamentare:
"I deputati si possono classificare, come le piante, con un sistema artificiale o con un metodo naturale; più pratico e più facile il primo che il secondo. Artificialmente si sogliono classificare secondo i collegi che li eleggono, o, meglio ancora, secondo il paese che li produce. In meridionali o settentrionali; lombardi, veneti, toscani, siciliani e cosi via. Un altro sistema di classificazione, che riunisce in gruppi i rappresentanti della nazione, è quello che li raggruppa secondo il partito a cui appartengono o dicono di appartenere. Sono di destra o di sinistra, radicali o socialisti, ministeriali o di opposizione.
Questi gruppi non son sempre omogenei e spesso si compongono e si scompongono; seguendo le vicende della meteorologia politica, più instabile e più oscura di quella del cielo. Io quindi, naturalista e fisiologo, preferisco di classificare i deputati con un metodo naturale, che li raggruppi secondo molti dei loro caratteri e secondo la subordinazione di questi stessi caratteri.
Ed ecco come io osi, forse per il primo, classificare gli onorevoli nostri rappresentanti in Deputati comparse, colla varietà dei telegrafici. Deputati affaristi o industriali della politica. Deputati forensi. Deputati coscienziosi. Deputati politici. Vediamo di tracciare a grandi tratti i caratteri di queste famiglie; e così le chiamo, perché spero che rappresentino davvero famiglie omogenee e non già ordini artificiali, come quelli del Linneo.
Deputati comparse.
Costituiscono la grande maggioranza del Parlamento. Sono uomini, che per ricchezza o per titoli nobiliari, per notorietà o fama letteraria o scientifica o patriottica hanno chiamato sopra di essi l’attenzione e le simpatie del loro paese, che li manda a Montecitorio, per far sapere all’Italia tutta, che quell’uomo è nato per l’appunto a Milano o a Siracusa, ad Asti o a Barletta. Essi poi non si credono impegnati a fare grandi discorsi o grandi cose. Sono stati eletti regolarmente, portano alla catena dell’orologio con certa dignità la loro medaglietta. Sono assidui alle sedute pubbliche, e un po’ meno negli uffici: non mancano mai nelle votazioni importanti e votano sempre col partito che li ha eletti. Quando son poco assidui od anche molto negligenti, non mancano però mai di ubbidire al telegrafo, quando li chiama a Roma per solenni circostanze.
Partono subito dopo il voto, e in questo caso si chiamano deputati telegrafici. Per lo più, non avendo né attitudine, né passioni politiche, si accontentano di una o di due elezioni, ritornando con molto piacere alle loro occupazioni predilette e ai loro ozii.
Deputati affaristi.
Sono una minoranza, ma che basta ad ammorbare l’atmosfera di un Parlamento. Vanno alla camera per cavarne denaro, impieghi, concessioni di ferrovie ed industrie, forniture, croci da vendersi e da rivendersi; favori da cedere al maggiore offerente.
Il Depretis un giorno era accigliato e triste e teneva fra le mani una lettera aperta. Ad un amico mio, che gli domandava il perché di quella tristezza, rispondeva facendogli leggere un postscriptum, mentre colla mano copriva la firma. Quel proscritto diceva: "Voglia V. E. ricordarsi ch’io vivo di provvigioni." E qui il Depretis, traendo dall’ampio petto un profondo sospiro, aggiungeva:
- Come volete voi, che si governi, quando un deputato non si vergogna di scrivere e di firmare queste parole? E aveva ragione.
I deputati affaristi, se hanno ingegno e furberia, si riuniscono in piccoli gruppi di cinque, di dieci, di venti colleghi e allora diventano più esigenti coi ministri a seconda del numero dei voti, di cui dispongono.
Per dirla in una parola fanno dei ricatti, fanno del vero brigantaggio politico. Sono la peste dei parlamenti e il loro numero indica con un metro molto esatto il grado di corruzione di un paese e di un tempo.
Deputati forensi.
Son quasi tutti avvocati, maestri nell’arte della parola, vanno in Parlamento per tenere in esercizio la loro voce e la loro eloquenza, e per avere per le loro esercitazioni drammatiche un palco più grande, che non sia il tribunale o la Corte d’assise. Si confondono spesso cogli affaristi, perché la notorietà, che dà il Parlamento, giova alla clientela avvocatesca e questa giova ai brogli elettorali e alla vita politica.
Talvolta però sono onesti e possono chiamarsi artisti della parola, per cui accettano ben volentieri di difendere un ordine del giorno, che deve salvare un ministero o un partito. Si battono per il piacere di battersi: parlano spesso anche senza necessità per il piacere di parlare e gli applausi della Camera li fanno felici. Deputati coscienziosi. Costituiscono una piccola minoranza. Sono modesti e studiosi, e non hanno altra ambizione, che quella di servire la patria e di votare sempre con scienza e coscienza.
Quando non intendono una questione, se la fanno spiegare dai più dotti e dai più esercitati nelle arti della politica, sagrificando anche il partito, quando non possono metter d’accordo le sue esigenze colla loro coscienza. Il loro numero indica il grado diverso di moralità di un paese e di un’epoca.
In un parlamento sano dovrebbero costituire la gran massa dei deputati.
Deputati politici.
Sono l’aristocrazia, lo stato maggiore di un Parlamento Sono uomini nati ed educati per la vita politica, e che finiscono sempre per diventare segretari generali, ministri, capi di un partito. Non hanno sempre bisogno di essere molto dotti, né molto profondi; dacché la scienza si può prendere a prestito da altri, non così il criterio politico, non così l’energia dell’azione né il colpo d’occhio sicuro, né le altre virtù peregrine che ho già delineate in questo capitolo e che ci danno la vera fotografia del deputato politico".
Come si collocò politicamente Mantegazza? Inizialmente si schierò con la Destra. Alla morte di Cavour, la classe politica, un po’ scimmiottando il sistema costituzionale inglese, era divisa in una Destra e in una Sinistra. Non si trattava di veri e propri partiti, come li intendiamo oggi. Erano coalizioni piuttosto composite. la Destra raggruppava quanto rimaneva del partito di Cavour con esponenti moderati di spicco di altre regioni. la Destra aveva un gruppo dirigente insigne per disinteresse personale, spirito patriottico, dedizione alla cosa pubblica ed annoverava personaggi come Bettino Ricasoli, Farini, Silvio Spaventa, Quintino Sella, Giovanni Lanza, Urbano Rattazzi, Marco Minghetti. la Sinistra era ancora più composita comprendendo la vecchia sinistra parlamentare subalpina di Agostino Depretis e Angelo Brofferio ed il partito garibaldino di Francesco Crispi.
"Io m’ero seduto a destra, coraggiosamente; benché sapessi che i miei elettori mi avrebbero voluto veder seduto un po’ più a sinistra. Io credeva allora che quel posto rispondesse alle mie convinzioni. Per me era la destra quella che aveva fatta l’Italia, incominciando da Cavour e venendo giù giù fino ai suoi più umili e modesti discepoli. Nella sinistra non sedeva che gente irrequieta o impaziente; senza un programma pratico, senza molta coltura. Vi vedevo giovani ardenti, patriotti provati, ma tutti quanti più cospiratori che pensatori, più rivoluzionari che uomini politici".
Mantegazza non fu sempre ligio alle direttive del suo schieramento. Anzi, spesso assunse posizioni indipendenti votando secondo coscienza e seguendo il suo autonomo pensiero. Votò contro, come abbiamo visto, la legge sulla risicoltura, votò contro nel 1868 alla legge sul macinato, tassa antipopolare che suscitò grandi polemiche e proteste nel paese e in altre occasioni. Un suo voto contrario al governo fu determinante ai fini della caduta di una legislatura. È evidente che questo atteggiamento gli causasse antipatie e deplorazioni all’interno dello schieramento in cui militava. È evidente che egli pagò in cambio dell’autonomia di posizione un prezzo. Non ebbe infatti mai cariche ministeriali, né di sottosegretario. gli furono precluse partecipazioni a missioni o a incarichi per i quali aveva evidenti competenze. Di tutto questo egli si lamenta nel libro delle sue memorie. Ma ciò è comprensibile. la Destra non lo considerava un "fedele", una persona di cui si poteva fidare pienamente.
Nelle polemiche relative alle sue elezioni, i giornali ispirati dal "partito clericale" ed i suoi oppositori in generale solevano dire proprio questo. la Destra non lo considera uno dei suoi, la Sinistra nemmeno. Non si capisce dunque quale sia la sua posizione, quale sia la sua politica, quali interessi difenda, ecc.
Una votazione importante contraria al governo fu quella contro la legge delle guarentigie del 1 maggio 1871. Dopo la conquista di Roma attraverso Porta Pia del 20 settembre 1870 ed il plebiscito di annessione di quello che rimaneva dell’ex stato pontificio del 2 ottobre, il governo con la legge sulle guarentigie intendeva concedere al Vaticano una pace ragionevole e garantirsi da eventuali accordi della Chiesa con la Francia o altri eventuali alleati affermando in tal modo il principio cavouriano della completa separazione tra Stato e Chiesa. la legge garantiva il libero esercizio del papa nella sua funzione di capo della Chiesa, riconosceva l’extraterritorialità dei palazzi del Vaticano, del laterano e di Castel gandolfo. Il Regno d’Italia rinunziava a tutti i privilegi giurisdizionali, avuti nel passato, ad eccezione del placet (assenso statale alla nomina dei vescovi) e dell’exequatur (ratifica statale degli atti amministrativi ecclesiastici).
Nel bilancio dello Stato venne inscritta una dotazione annua a favore della Chiesa pari a quella che l’ex Stato pontificio aveva in bilancio per il mantenimento della Corte papale. A Mantegazza, come ad altri, quelle concessioni sembrarono eccessive ed egli votò contro.
"Sebbene io mi fossi distaccato dalla destra, votando contro alcune leggi molto importanti proposte dagli uomini di questo partito, io non avevo creduto di disertare, schierandomi fra gli uomini di sinistra. Di fatto io era divenuto un indipendente, un deputato del centro, partito calunniato ed anche deriso da molti, ma che si era andato ingrossando a poco a poco; non già per opera di una rivoluzione parlamentare, ma per affinità elettiva di molecole e molecole. Alcuni di sinistra, stanchi di fare dell’opposizione a tutti i ministeri o scontenti dei loro capi, si erano staccati dal loro partito. E così i più liberali della destra malcontenti della burbanza, dell’intolleranza ed anche dell’aristocrazia del loro partito, si erano avvicinati ai primi; e così dai disertori dei due grandi partiti, si andò formando un terzo partito, che chiamavano ironicamente il limbo, ma che cominciava a pesare sulla bilancia della politica italiana”.
Presentata la legge delle guarentigie, sentii nel profondo della mia coscienza, che non l’avrei mai potuta votare. Era una legge, in cui si poteva forse da taluni ammirare il tradizionale machiavellismo italiano, ma che a me sembrava una legge dettata dalla paura e scritta dall’ipocrisia. I miei amici rimasti fedeli alla destra mi dicevano che non bisognava sgomentare l’Europa cattolica: altri invece mi dicevano: È un sacco di parole e non altro. Bisogna votarla per prudenza politica. Io rimasi fermo nel mio proponimento di votare contro la legge delle guarentigie, e a quelli amici rispondevo:
Se volete che io la voti per alte ragioni politiche, vi dirò che Machiavelli vostro maestro, a quel che pare, lasciò scritto che i nemici conviene vezzeggiarli o spegnerli: e voi, invece, con questa legge li irritate; pessima fra tutte le cose!
E la storia mi ha dato ragione. Il giorno prima della votazione, incontrandomi col Sella, allora Ministro e grande promotore dell’infausta legge, gli dissi:
- Domani io proverò uno dei maggiori dolori della mia vita.
- E perché?
- Perché dovrò oppormi a voi, che tanto amo e stimo, dando palla nera alla legge delle guarentigie.
Il Sella, mostrando un grande dispetto, alzò le spalle e se ne andò via, senza dirmi una parola. Anche quei pochi deputati di destra, che avevano ancora un po’ di stima per me, da quel giorno mi voltarono le spalle per sempre".
21 marzo 2025
Il 18 marzo mi è capitato questo. Ricordate che vi ho avvisato della mia lettura di “L’anno 3000” di Paolo Mantegazza del 1897; che stavo a commentarlo (ero arrivato all’inizio del capitolo IV); che avrei condiviso tale libro con voi?
Stranamente, il “file” si è corrotto e non riesco più ad aprirlo. Ho provato di tutto per aprirlo, ma niente: il tipo non si lascia aprire. Ho cercato nel web … nulla; mi offrivano, a pagamento!, di risolvere il problema, ma io ho rifiutato.
Voi mi direte perché, cosa ho fatto sul “file”. Vi assicuro che non ho fatto niente; il guaio è che, con queste diavolerie moderne, capita … Mi è già capitato … ma non mi arrendo.
L’unica cosa che mi è riuscita di fare è il “downgrade” di LibreOffice, il programma di video-scrittura che uso.
Per questi motivi, ho deciso di non pubblicare più il libro commentato e di ritornare da subito ad E. Falqui ed al suo libro sulla “Terza pagina”.
Continuo con la messa in rete di immagini del “Travaso” n. 19 del 1950 e con uno “strano messaggio”.
23 marzo 2025
Sono riuscito a riparare il tutto; il “file” “1897-P.Mantegazza-L’anno 3000” sembra che sia saltato: non c’è niente da fare, almeno per il momento. Nella difficoltà ho deciso di ritornare sui miei passi: ho preparato per la (mia) lettura, correzione e commento i libri, sempre del Mantegazza, “Parvulae: pagine sparse” (1910), “Il bene e il male” (1861), e “L’anno 3000” (1897). Sto provando con il libro del 1896 “Ricordi politici”… Speriamo bene .… Nel mentre scrivevo questo “post”, il libro “Ricordi politici” è diventato “ricercabile”. Però! ..
Rifarò tutti i commenti.
Con il Manzoni dico “la Provvidenza ...
Continuo a rendere pubbliche le immagini che ho salvato dal “Travaso” n. 19 del 1950.
27 marzo 2025
Ho deciso. Renderò pubblico, in due volte, il libro di Paolo Mantegazza, “Ricordi politici” del 1896 (era stato deputato! - Pubblicherò molto su Paolo Mantegazza, anche “L’anno 3000”, con nuovi commenti … ). Nel frattempo, nella lettura di questo libro, sono arrivato all’inizio del V capitolo (ne sono 13 in totale). Pubblicherò i primi sei, e poi gli altri 7, commentati.
P. Mantegazza racconta di sua madre Laura Solera Mantegazza (va messa insieme a Ismenia Sormani Castelli, nomi tuttora venerati a Milano), dei seminari, dei barnabiti, del padre Stanislao Ceresa, condannato da un tribunale a 10 anni (non lo sapevo …). della scuola e di tante altre cose.
Ah dimenticavo … Ho “caricato” sul sito www.garganoverde.it qualcosina, nel caso qualcuno volesse leggere. https://www.garganoverde.it/cronologia-di-milano-dal-1841-a-1850.html e https://www.garganoverde.it/contenuti/letteratura-download-2/costume.html
Cito dal libro:
“Il Padre Ceresa era un uomo d’ingegno, di gusti squisiti, ed in alcune sue belle poesie lascia le traccie di un’anima elevata che si lamentava con Dio, perché non avesse fatto il peccato men bello o lui più forte!
Era poeta, era barnabita, ma non avendo avuto il barbaro eroismo di Origene, peccava in Eva e in Adamo. Quando gli misero la giacca bigia del galeotto, il padre Ceresa pianse a calde lagrime, tanto da commuovere anche i carcerieri”.
28 marzo 2025
Ho reso pubblico: https://www.garganoverde.it/letteratura/2011-sciascia-borgese.html?view=simplefilemanager&id=1019
Paolo Mantegazza per fare il deputato ha rinunziato ad un eredità favolosa: 300.000 dell’epoca ...
Nel capitolo V del libro di Paolo Mantegazza “Ricordi politici”, edito nel 1896, si trova la più importante interpellanza in Parlamento, mentre era deputato; questa è di enorme attualità, seppure a distanza di 250 anni. …“.
Cosa si dice in codesta interpellanza?
a) Accorpamento e tagli di Università e cattedre … “se venissero a sapere, per esempio, che vi sono Università dove gli studenti costano allo Stato 2.500 lire ciascuno, se sapessero che vi sono Università dove c’è una spesa in bilancio per un laboratorio e non c’è nessuno che vi lavori, ebbene, allora il paese direbbe: è giusto, è naturale che si sopprima un albero che non dà frutto”.
Certo, è di grande attualità il taglio e l’accorpamento delle università, allora come oggi.
Se si allargasse, oggi, il discorso al numero abnorme di sedi universitarie, materie universitarie, aereoporti, province …
b) Burocrazia … “L'onorevole Mantegazza svolse oggi con molta dottrina la sua interpellanza sull'insegnamento superiore. Deplorò la incertezza e la confusione, che regnano nelle nostre università, dichiarò che non basta domandar tasse al paese, ma che bisogna levarlo dall’ignoranza. Assicurò che il primo nemico dell’istruzione in Italia è la burocrazia, pedante e oscurantista. Infine continuò la sua interpellanza chiedendo un’inchiesta” (https://www.garganoverde.it/burocrazia.html?view=simplefilemanager&id=174). ...
c) Insegnanti … “Io voglio che finisca questa fabbrica d'arcadi, di dottori, che a 40 anni guadagnano ancora 1.000 o 2.000 lire; che gravano sopra il bilancio dello Stato con una coorte d’impiegati; che si contentano di vivere meschinamente col diploma nelle loro tasche”. ...
d) Studenti … “Io dico che, quando si viola il rispetto alla legge, quando s'incomincia a violare i regolamenti, quando si comincia a ridurre l'insegnamento superiore al basso livello di fabbrica di dottori e d'ingegneri; allora io dico che lo studente per ultimo ha diritto di pigliarsi le vacanze che vuole, e di studiare la sua Teseide”. … (Laddove Teseide sta per Tesi, NdR) e ancora … “Questa diminuzione di arcadi, di dottorucci insufficienti, d’ingegneri ignoranti, di avvocati che ingombrano le vie, non avverrà finché non diminuiscano i centri dell’insegnamento, finché un contadino, un portinaio, con poche lire potrà mandare all'Università il proprio figlio e farlo dottore”.
e) Istituti sperimentali … “Qui fra noi si rifiutarono invece 50 lire ad un laboratorio operoso, e perché? Perché quelle 50 lire non erano nel bilancio. Non si distingue fra laboratorio dove si lavora o dove non si lavora.
Non voglio offendere alcuno; ma vi sono laboratorii dove si lavora e dei laboratorii dove non si fa nulla, dove non si aggiunge una sola pietruzza all’edificio della scienza; ma c’è la cifra nel bilancio, ed al 27 del mese si può andare a riscuoterla; tutti sono pareggiati ad un livello, che non desidera neppure la più temeraria delle democrazie; dacché la natura ci ha fatto nascere I'uno dall’altro assai diversi: vi sono dei professori operosi ed altri inerti; vi sono uomini che sono glorie della nazione ed altri che sono nullità”.
Capito?
05 aprile 2025
Ho aggiunto una parte che non c’è nel libro “Ricordi politici” di Paolo Mantegazza, del 1896: gli Approfondimenti, che ho piazzato alla fine del testo “ufficiale”, reso pubblico da me in due volumi separati: il primo contiene 6 (sei) capitoli; il secondo 7 (sette).
Nel primo capitolo l’Autore descrive, tra l’altro, come è diventato deputato-legislatore e perché ci ha rimesso un’eredità di 300.000 mila lire da parte di un suo zio canonico.
Nel Capitolo II l’Autore parla, tra l’altro, della legge sulle risaie. Egli era contrario a questa legge, che fu approvata nonostante il suo argomentato discorso di opposizione.
Parla poi dell’incontro con Giuseppe Garibaldi
In occasione dell’elezione di Mazzini a Messina (25 febbraio 1866) il Mantegazza presenta un ordine del giorno in Parlamento.
Nel Capitolo III parla dei seminari, “scuole di reazione” contro l’Italia nuova e si scontrò rudemente con Cesare Cantù e D’Ondes Reggio, ambedue fanaticamente “cattolici”. E dice: “Ebbene, io domando: il dare la libertà ai seminari, l'essere indulgente con essi, fa bene o fa male?”.
In quel periodo si verificava nel nuovo Stato l’affare della Regìa Tabacchi, in cui il Parlamento nell’agosto 1868 approvò, su proposta del ministro Cambray-Digny, la concessione della privativa della fabbricazione dei tabacchi ad una regìa cointeressata costituita da una società di capitalisti privati italiani ed esteri. Votarono a favore la Destra governativa e la Sinistra “possibilista” del “Terzo partito” di Mordini; si opposero il gruppo del Rattazzi, la “Permanente” (Destra piemontese), il Lanza e il Sella, la Sinistra del Crispi e la Sinistra radicale di Bertani. Il Mantegazza in questo libro non fa alcun cenno a questo “affaire”.
09 aprile 2025
Il deputato Mantegazza dice che … Gli studi superiori sono in crisi.
Rimpiange la legge Casati (1859 - … tanto fu demolita, guastata, fatta, rifatta … )
Le Tasse scolastiche tolte per … il tumulto degli studenti… Prima di tutto furono levate le tasse scolastiche, che erano la vera garanzia, l'unica garanzia dell’insegnamento libero; sarebbe come volere una casa senza le pareti, volere la libertà dell’insegnamento senza le tasse, e, quello che è peggio … non fu dietro uno studio serio o profondo che si levarono le tasse; fu dietro il tumulto degli studenti; e non si fecero più rispettare i regolamenti universitari, si sospesero gli esercizi sperimentali in molte scuole per falsa ragione di economia, si moltiplicarono le vacanze, non si attuarono, come si doveva, le Commissioni per gli esami, non si diedero con sufficiente larghezza sussidi ai giovani perché studiassero all’estero; insomma, da tutte queste cagioni nacque il primo male.
Il secondo male, per il Mantegazza, è l’incertezza delle leggi e al riguardo porta degli esempi. ( … Ma i Toscani gridavano, ed il ministro Amari per contentarli lasciò le cose com’erano. Allora i Toscani si accorsero che questo trattamento particolare peggiorava in questa parte la loro condizione, ed i ministri Natoli e Berti si provarono a ristabilire il regolamento Matteucci; ma i Pisani gridavano, ed al solito il Ministro cedette. … Dunque, per ragioni politiche non si possono togliere le Università, ed intanto si diminuiscono le facoltà lentamente, ed intanto col metodo dei sorci si continua a scalzare, e divorare, a lasciar vivere i moribondi, a lasciar tutti in una vita, che non è né vita né morte … Ebbene adunque, bisogna confessarlo, per ragioni politiche il Governo ebbe sempre paura: ma paura di abolire o delle Università, o delle facoltà, in un paese dove ieri si è osato votare, per salvare il paese, il macinato? .…
a proposito dei cosiddetti Arcadi): … Un ministro dell’istruzione pubblica dovrebbe aver vergogna, certamente, quando scorre quella parte del bilancio dove vede che uomini i quali sono destinati a diventare domani gl’insegnanti nelle primarie Università d’Italia, guadagnino 800, 900 e 1.200 lire. … Questi assistenti hanno un posto fisso, un posto a vita, per cui questi poveri infelici potrebbero giungere all’età di settant’anni, e non avere niente più che 1.200 lire di stipendio. ...
Il Mantegazza in questi 6 capitoli parla anche di politica: … Si diventa ministri della pubblica istruzione, non sempre per essersi occupati della istruzione: la politica, che è l'atmosfera in cui tutti viviamo, porta al potere i ministri; ebbene, quest’uomo si mette a studiare, è naturale, ma il ministro spera sempre di avere una vita pùt lunga dei suoi antecessori … Noi abbiamo veduto ed avuto uomini sommi al potere, che ne discesero senza aver fatto nulla … Di solito, quando hanno appena incominciato ad imparare, il vento capricciosissimo della politica li buttan giù …
e di Burocrati: … ma che la burocrazia si sostituisca al potere, ma che i ministri veri siano gl’impiegati dei Ministeri, questo non lo possiamo tollerare. … Eppure i capidivisione, eppure tutti gl'impiegati dei Ministeri, hanno essi sempre ragione, perché il ministro va e viene, il segretario generale va e viene; chi resta e chi ha ragione, chi resta è il burocratico, e questa è la vera piaga dell’insegnamento superiore. … sentirebbe un solo grido: signor ministro, salvateci dalla burocrazia.
E di Professori: … Poche settimane or sono, un professore ordinario di una delle più piccole Università d’Italia concorreva al posto di medico condotto … era un uomo che si sentiva, più sicuro toccando il polso ad un contadino, che sopra una cattedra, che da un giorno all’altro potrà essere soppressa, che sopra una cattedra sulla quale, coi mezzi spilorci che ci dà il governo ...
E poi l'onorevole ministro lo sa meglio di me: al concorso di alcune cattedre più importanti d'Italia, cattedre alle quali sarebbero in altri tempi accorsi a cento a cento gli studiosi per ottenerle, nessuno si presentava; i concorsi restavano deserti. … Non sono le mura ed i monumenti che fanno grande una Università, ma sono i buoni professori. … Nei paesi come la Francia, dove la scienza è onorata e pagata meglio di qua …
https://www.garganoverde.it/download-nord-sud/marcello-vittorini.html
12 aprile 2025
… Questi assistenti hanno un posto fisso, un posto a vita, per cui questi poveri infelici potrebbero giungere all’età di settant’anni, e non avere niente pii che 1.200 lire di stipendio.
Per essere state tolte le tasse sotto la pressione degli studenti, fu tolta loro anche l'unica risorsa di dare corsi liberi. Quale differenza col bellissimo spettacolo che ci danno le Università di Germania, dove si trova un gran numero di professori ordinari e straordinari, un gran numero di liberi docenti, tutti uomini che fanno a gara per accrescere il lustro della scienza!
Noi invece abbiamo professori che brontolano, e assistenti che per poco non muoiono di fame. …
Io voglio che finisca questa fabbrica d'arcadi, di dottori, che a 40 anni guadagnano ancora 1.000 o 2.000 lire; che gravano sopra il bilancio dello Stato con una coorte d’impiegati; che si contentano di vivere meschinamente col diploma nelle loro tasche. …
25 aprile 2025
Ho reso pubblici due FILE:
1 - Carlo Cattaneo: Link: https://www.garganoverde.it/storia/carlo-cattaneo-download.html?view=simplefilemanager&id=1020
2- Paolo Mantegazza: pubblicazione fino al cap. 6: Link: https://www.garganoverde.it/contenuti/storia/1896-p-mantegazza-ricordi-politici-parte-i.htm
Siccome ho terminato di fare il COPIA E INCOLLA della seconda parte dei RICORDI POLITICI di Paolo Mantegazza (reso ricercabile dal sottoscritto … che renderò pubblico, dopo averlo corretto e commentato), vi propondo l’ INDICE dell’opera, che si trova alla fine del libro.
INDICE
Capitolo I
Com’io divenni deputato. - La mia candidatura e il mio programma. - La mia elezione. - II pranzo d’onore. - I brindisi e una poesia maccheronica. - Entro nella sala dei cinquecento, modesto sì ma superbo. - Una doccia fredda datami dal deputato Brofferio. - Le prime armi. - Relatore di molte elezioni. - Un mio duello parlamentare con Francesco Crispi.
Capitolo II
Piceoli discorsi, piccoli trionfi e piccoli fiaschi. - Una mia interpellanza intorno al regolamento delle facoltà di medicina e di chirurgia nelle Università. - Mia difesa degli studenti. - Mie sterili proteste contro le risaie, e una legge che le proteggeva. - Velleità guerresche. - Una visita al general Garibaldi a Bergamo. - Un mio ordine del giorno sull’elezione del Mazzini. - Le lezioni del Villari e del Ferrari.
Capitolo III
Interpellanza del deputato Civinini al ministro Berti sui seminari. - Mio discorso e mio ordine del giorno. - Per pochi voti non decido un ministro. - Giudizio dei giornali sul mio discorso. - Giudizio del mio zio Don Giacomo, che mi disereda.
Capitolo IV
Il mio discorso contro i Barnabiti e le sue code. - Le lettere minatorie.
Capitolo V
La mia interpellanza sull’insegnamento superiore.
Capitolo VI
Due nuovi disinganni della vita della Legislatura nona e nascita della Legislatura decima. - Mia seconda candidatura. - La mia lettera agli elettori e il mio discorso nel teatro di Monza. - Lotta accanita fra Mantegazza o Villa Pernice. - Mio trionfo e musica ai clericali.
Capitolo VII
I1 Congresso internazionale di statistica del 67. - Due aneddoti del re Vittorio - Mentana o le sue conseguenze. - Son chiamato al Consiglio dei Ministri, ma senza alcun frutto. - Prendo la parola sul bilancio della marina. - Voto contro la tassa sul macinato, e divento un reprobo della destra. - Un colpo di Stato per conservare Ellero alla Camera. - Tramonto della luna di miele politica, e musoneria dei miei elettori. - Vado in Sardegna colla Commissione d’inchiesta. - Aneddoti e profili del Sella, del Depretis, del Ferracciù, del Tenani e del Macchi.
Capitolo VIII
La vita politica non basta alla mia attività giovanile. - Una questione d’igiene alla Camera a proposito del sale o del granturco. - Una vittoria senza battaglia a proposito del sifilicomio e della prostituzione. - Una terza elezione. - Il Mellana, le sue sgrammaticature e un battibecco con me. - 1 funerali della decima Legislatura illustrati da E. Caro. - Un problema di morale politica e di puritanismo parlamentare.
Capitolo IX
Do la palla nera alla legge delle guarentigie. - Passo al Centro e vi rimango. - Embriogenia di questo limbo. - Vantaggi della mia medaglia di deputato in una questione di scienza e d’insegnamento. - Le ossa di Ugo Foscolo e quelle di Rossini. - Raffronti poco consolanti fra il passato e il presente. - I piccoli dispetti dei paolotti monzesi. - A Roma ci siamo e ci resteremo. - Un’ora di estasi politica e umana.
Capitolo X
Lemme lemme tiro avanti la mia vita politica. - Aspiro invano al Senato. - Una lettera di Quintino Sella. - Prendo 1a parola per la Sardegna e per I'Istituto di Studi superiori di Firenze; aggiungo un mio articolo alla legge della Convenzione con l'Istituto. - I miei elettori monzesi, e storia d’una croce. - Mia ipocondria e mia rinunzia alla candidatura. - Dolci pressioni per ripresentarla. - Mia quarta ed ultima elezione
Capitolo XI
Quando mi piaceva la vita politica. - Il giuramento di Garibaldi. - In occasione dell’ interpellanza sugli arresti di Villa Ruffi, voto contro il Governo.
Capitolo XII
La mia ipocondria e le mie angoscie. - Un nuovo dispettuccio dei paolotti florentini alle tombe medicee. - Una visita non voluta ai miei cari e buoni elettori di Monza. - Il canto del cigno di Marco Minghetti del 16 marzo e la grande rivoluzione del 18 marzo 1876. - Mio voto e mia lettera-testamento agli elettori. - I1 Sella e il Villari. - Il mio successore nel collegio di Monza; sono nominato senatore
Capitolo XIII
Come si diventa deputati. - I criterii onesti, falsi e disonesti che guidano l’elettore. - Classificazione dei deputati secondo sistemi e secondo metodi. - Deputati comparse. - Deputati affaristi. - Deputati forensi. - Deputati coscienziosi - Deputati politici. - Analisi chimica di un Parlamento ideale,
Capitolo XIV
Un mio giudizio sugli oratori della Camera del dicembre 67. - Divisione geografica degli oratori. - I lombardi, i piemontesi, gli emiliani, i romagnoli, i toscani, i napoletani e i siciliani. - Gli oratori eccentrici.
Capitolo XV
Ritratto del governo parlamentare fatto da un pessimista ed altro ritratto fatto da un ottimista. - Due caricature. - Ritratto abbozzato dall’autore.
28 aprile 2025
Andatevi a rileggere cosa scriveva Piero Angela https://www.garganoverde.it/1998-togliamo-la-spazzatura-dalla-tv.html.
Mantegazza è molto spiritoso. Nal 7. capitolo di RICORDI POLITICI (abbiate ancora un poco di pazienza … !) il nostro fa una descrizione accurata di tre personaggi mentre era nell’Isola con la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Sardegna: il Depretis, il Sella ed il Macchi (repubblicano [in Italia, allora, c’era la Monarchia], allievo di C. Cattaneo … ).
Su ques’ultimo scrive:
…
Ma, caro Macchi, come farai tu?
- Lo farò come gli altri, montando a cavallo
E quando i nostri bravi Sardi, che sono tutti quanti arabi o gauchos mi domandarono che specie di cavalli volevamo, io risposi:
- Per me un cavallo vivace, per l'amico Macchi un cavallo mansueto.
E fummo ubbiditi alla lettera.
Il cavallo destinato al Macchi non era di legno, perché era di carne; ma era pecora e bove, non destriero. Dove lo mettevano rimaneva, e le speronate e i gridi tollerava con animo da frate. Si misero due sedie a destra e a sinistra di quel destriero, e Macchi dalla sedia passò alla sella e alle staffe, senza che il mite quadrupede avesse mosso un pelo.
Inforcato 1’amico, mi avvicinai al cavallo che mi era destinato e che trovai davvero un po' troppo vivace. Rammentavo i miei trionfi equitatorii dell’Argentina, ma non sapevo che cosa fosse per i Sardi un cavallo vivace. Era un demonio, era un vulcano e gli vedeva la bocca insanguinata per la lotta, che aveva sostenuto per venire dalla stalla al palazzo del Municipio, dove noi eravamo.
Con qualche trepidazione saltai sul bellissimo animale, che non aveva subito l’onta della castrazione.
Appena fui in sella, vedendo un altro stallone montato da uno dei sardi, che dovevano accompagnarci, si rizzò sulle gambe davanti e si lanciò nitrendo e saltando sul rivale. Eravamo sopra un lastricato di pietra, e il povero sardo, per evitare che io fossi morso o abbattuto, si ritirò con tanta violenza per allontanarsi da me, che cadde col cavallo, rimanendovi sotto. I nitriti dei due rivali erano formidabili: il rumore dei caduti e lo scalpitar del mio destriero assordanti. Io saltai dalla sella per soccorrere il caduto. Poveretto! Aveva il femore spezzato .…
Appena si ebbe provveduto all’infelice, cercai il Macchi. Era ancora immobile sul suo cavallo di legno, che a quella scena non si era punto commosso, ed era sempre immobile Là dove l'avevo lasciato.
I1 Macchi però era pallido come il foglio di carta su cui sto scrivendo, e piangeva, non di paura, ma di compassione per il caduto.
Però mi disse subito:
- Paolin, Paolin, tirom gié. Mi vo pu a caval!
Si rimisero le due sedie, perché egli scegliesse la parte della discesa e il Macchi da quel giorno non montò piu a cavallo; né in Sardegna, né altrove.
…
04 Maggio 2025
Leggete, di Nello Rosselli, questo brano: https://www.garganoverde.it/download-risorgimento/n-rosselli-la-destra-storica.html. Ho caricato anche quest’altro scritto: https://www.garganoverde.it/contenuti/storia/1909-g-faldella-il-primo-parlamento-italiano.html
A questo proposito, leggete anche questo: https://www.garganoverde.it/leggi-su-carlo-de-cesare/1864-cletto-arrighi-introduzione.htm
Effettuando la correzione/commento della 2. parte di RICORDI POLITICI, il bel libro di Paolo Mantegazza, pubblicato nel 1896, stavo inserendo il commento per Maggiorino Ferraris (allora ministro e proprietario della rivista NUOVA ANTOLOGIA nel periodo 1897-1929), quando, non so perché, sono capitato nella mia raccolta digitale della rivista, e prescisamente all’anno 1909. Con mia grande sorpresa ho trovato un file di Giovanni Faldella, in formato .doc. Lo ho riletto, commentato in gran parte cose, ho rivisto la punteggiatura, ho inserito notizie su Giovanni Faldella, che scrive bene, ma il Mantegazza scrive meglio …
Lo scritto del Fandella è brioso, pieno zeppo di nomi di componenti del parlamento del 1860 (a Torino, capitale del nuovo Stato fino al 1864, quando la capitale passò a Firenze, dipoi a Roma in occasione dei risultati della guerra franco-prussiana … ); lo scritto dà un quadro abbastanza fedele della Rappresentanza nazionale del primo Parlamento italiano del 1860; il Faldella non nomina MAI Paolo Mantegazza, con ciò non voglio dire che il Mantegazza scrive sciocchezze, anzi … ; nello scritto viene anche evocato l’artista della penna Tullo Massarani (1826-1905), presente a quella prima seduta del 1860 …; ho rinfrescato/imparato tantissime cose …
9 maggio 2025
Ho terminato di correggere/commentare la parte 2. del bel libro di Paolo Mantegazza, senatore, RICORDI POLITICI, dato alle stampe nel 1896 e l’ho reso pubblico. https://www.garganoverde.it/contenuti/letteratura-download-2/costume/1896-p-mantegazza-ricordi-politici-capp-vii-xv.html
Mi ha colpito, tra l’altro, il Capitolo XII, sulla politica ed i politici-deputati. Il Mantegazza sapeva ... Cito alcuni brani.
Citazione:
I criterii disonesti sono le diverse forme della corruzione elettorale, per cui si dà il proprio voto a chi ci ha pagato per eleggerlo. Questa corruzione si fonda sull’egoismo, sulla vanità; su tutte quante le debolezze umane, che son pur troppo molte e di diversa immoralità. Dal danaro si sale alla promessa di croci o di impieghi o di forniture o di altri vantaggi, che impinguano le borse o accarezzano la vanita. Si può corrompere gli elettori ad uno ad uno, adoperando or l'uno or l'altro di questi mezzi, come si può corrompere tutto quanto un collegio colla promessa di una ferrovia o di strade, colla promessa di abolire una tassa o di diminuirla o di favorire un’industria, che è la prima risorsa di un paese.
Molti individui presi uno ad uno sanno resistere alla corruzione che vuol comprarli; ma riuniti in una grande collettività difficilmente resistono e con una facile transazione di coscienza confondono il bene del proprio collegio col bene della patria. A questa corruzione collettiva sommaria pochi collegi resistono, e i candidati son sempre larghi di promesse, che non son sempre sicuri di poter mantenere. I candidati sono come gli innamorati. Promettono molto, moltissimo all’elettore come i secondi promettono molto, moltissimo alla donna, che vogliono avere come amante o come sposa; ma, ahimé! nell’un caso e nell’altro, il bilancio consuntivo non torna mai con quello preventivo. Pur troppo dalla legislatura nona, nella quale io entrai in Parlamento per la prima volta fino alla decimanona che è l'attuale; la corruzione elettorale è cresciuta con una velocità geometrica.
Allora il pagare la propria elezione era cosa così rara, che noi mostravamo a dito un nostro collega, che aveva speso non so se 30 o 40,000 lire per entrare in Palazzo Vecchio. Oggi non si arrossisce più nel farsi a vicenda queste domande e nel darsi queste risposte:
- Quanto hai speso questa volta per essere eletto?
- Non c’è male; questa volta ho speso 20,000 lire meno dell’altra volta.
- Pare che la cresciuta miseria abbia diminuito il valore dei voti …
- Mi hanno detto che questa volta hai speso più parole che scudi. E vero?
- Verissimo! Che cosa vuoi? L’ultima elezione mi era costata troppo, e seppi da altri che si può spendere assai meno. Pare che il prezzo della coscienza umana sia di molto ribassato.
- Bravo collega! Mi hanno detto che hai saputo garantirti in un modo molto ingegnoso dai tradimenti degli elettori. Non hai dato che la meta dei biglietti da cinque lire e per avere l'altra metà hai aspettato la proclamazione dei voti, che erano controllati da un segno convenzionale?
E il collega ridendo
- Sicuro, ho proprio fatto cosi, dopo essermi accorto che un’altra volta alcuni elettori avevano preso il denaro da me e avevano votato per il mio avversario, prendendo denaro anche da lui!
Ed oggi, quando un ingenuo, che ha ancora serbata pura la propria coscienza, si sdegna contro il dilagare della corruzione, vi è sempre qualche scettico, che gli dice:
- Chetati! non sai forse che in Inghilterra, la patria del parlamentarismo, non si può riuscir deputati, senza spendere una grossa somma? Non sai forse che il grande, l'immortale Stuart Mill, protestando di non voler entrare in Parlamento a quel patto, seppe poi con grande dolore, che i suoi amici avevano pagato per lui? E non sai che quando non permise assolutamente che si spendesse un soldo per la sua elezione, rimase fuori del Parlamento?
I deputati si possono classificare, come le piante, con un sistema artificiale o con un metodo naturale; più pratico e più facile il primo che il secondo.
Artificialmente si sogliono classificare secondo i collegi che li eleggono, o, meglio ancora, secondo il paese che li produce. In meridionali o settentrionali; lombardi, veneti, toscani, siciliani e così via. Un altro sistema di classificazione, che riunisce in gruppi i rappresentanti della nazione, è quello che li raggruppa secondo il partito a cui appartengono o dicono di appartenere.
Sono di destra o di sinistra, radicali o socialisti, ministeriali o di opposizione. Questi gruppi non son sempre omogenei e spesso si compongono e si scompongono; seguendo le vicende della meteorologia politica, più instabile e più oscura di quella del cielo.
Io quindi, naturalista e fisiologo, preferisco di classificare i deputati con un metodo naturale, che li raggruppi secondo molti dei loro caratieri e secondo la subordinazione di questi stessi caratteri. Ed ecco come io osi, forse per il primo, classificare gli onorevoli nostri rappresentanti in Deputati comparse, colla varietà dei telegrafici.
Deputati affaristi o industriali della politica. Deputati forensi. Deputati coscienziosi. Deputati politici.
Vediamo di tracciare a grandi tratti i caratteri di queste famiglie; e così le chiamo, perché spero che rappresentino davvero famiglie omogenee e non già ordini artificiali, come quelli del Linneo.
Deputati comparse. Costituiscono la grande maggioranza del Parlamento. Sono uomini, che per ricchezza o per titoli nobiliari, per notorietà o fama letteraria o scientifica o patriottica hanno chiamato sopra di essi 1’attenzione e le simpatie del loro paese, che li manda a Montecitorio, per far sapere all’Italia tutta, che quelI'vomo è nato per l’appunto a Milano o a Siracusa, ad Asti o a Barletta. Essi poi non si credono impegnati a fare grandi discorsi o grandi cose. Sono stati eletti regolarmente, portano alla catena dell’orologio con certa dignità la loro medaglietta. Sono assidui alle sedute pubbliche, e un po’ meno negli uffici: non mancano mai nelle votazioni importanti e votano sempre col partito che li ha eletti.
Quando son poco assidui od anche molto negligenti, non mancano però mai di ubbidire al telegrafo, quando li chiama a Roma per solenni circostanze. Partono subito dopo il voto, e in questo caso si chiamano deputati telegrafici.
Per lo più, non avendo né attitudine, né passioni politiche, si accontentano di una o di due elezioni, ritornando con molto piacere alle loro occupazioni predilette e ai loro ozii.
Deputati affaristi. Fortunatamente sono una minoranza, ma che basta ad ammorbare l’atmosfera di un Parlamento.
Vanno alla Camera per cavarne denaro, impieghi, concessioni di ferrovie ed industrie, forniture, croci da vendersi e da rivendersi; favori da cedere al maggiore offerente.
I1 Depretis un giorno era accigliato e triste e teneva fra le mani una lettera aperta. Ad un amico mio, che gli domandava il perché di quella tristezza, rispondeva facendogli leggere un postscriptum, mentre colla mano copriva la firma.
Quel proscritto diceva: "Voglia V. E. ricordarsi ch’è vivo di provvigioni”.
E qui il Depretis, traendo dall’ampio petto un profondo sospiro, aggiungeva: - Come volele voi, che si governi, quando un depulato non st vergogna di scrivere e di firmare queste parole?
E aveva ragione.
I deputati affaristi, se hanno ingegno e furberia, si riuniscono in piccoli gruppi di cinque, di dieci, di venti colleghi e allora diventano piu esigenti coi ministri a seconda del numero dei voti, di cui dispongono. Per dirla in una parola fanno dei ricatti, fanno del vero brigantaggio politico. Sono la peste dei parlamenti e il loro numero indica con un metro molto esatto il grado di corruzione di un paese e di un tempo.
Deputati forensi. Son quasi tutti avvocati, Maestri nell’arte della parola, vanno in Parlamento per tenere in esercizio 1a loro voce e la loro eloquenza, e per avere per le loro esercitazioni drammatiche un palco più grande, che non sia il tribunale o la Corte d’assise.
Si confondono spesso cogli affaristi, perché la notorietà, che dà il Parlamento, giova alla clientela avvocatesca e questa giova ai brogli elettorali e alla vita politica.
Talvolta però sono onesti e possono chiamarsi artisti della parola, per cui accettano ben volentieri di difendere un ordine del giorno, che deve salvare un ministero o un partito. Si battono per il piacere di battersi: parlano spesso anche senza necessità per il piacere di parlare e gli applausi della Camera li fanno felici.
Deputati coscienziosi. Costituiscono una piccola minoranza. Sono modesti e studiosi, e non hanno altra ambizione, che quella di servire la patria e di votare sempre con scienza e coscienza. Quando non intendono una questione, se la fanno spiegare dai più dotti e dai più esercitati nelle arti della politica, sagrificando anche il partito, quando non possono metter d’accordo le sue esigenze colla loro coscienza.
I1 loro numero indica il grado diverso di moralità di un paese e di un’epoca. In un Parlamento sano dovrebbero costituire la gran massa dei deputati.
Deputati politici. Sono aristocrazia, lo stato maggiore di un Parlamento. Sono uomini nati ed educati per la vita politica, e che finiscono sempre per diventare segretarii generali, ministri, capi di un partito. Non hanno sempre bisogno di essere molto dotti, né molto profondi; dacché la scienza si può prendere a prestito da altri, non così il criterio politico, non così l’energia dell’azione né il colpo d’occhio sicuro, né le altre virtù peregrine che ho gia delineate in questo capitolo e che ci danno la vera fotografia del deputato politico.
Secondo le diverse proporzioni in cui entrano questi diversi gruppi di deputati in un Parlamento, questo segna il suo valore morale e intellettuale; è mediocre, pessimo od ottimo.
Noi tutti, elettori italiani, colla parola, colla penna, col voto dobbiamo adoperarci, perché la Camera dia questa analisi:
Deputati politici …………. 100
Deputati coscienziosi ……. 300
Deputati comparse ………..108
Deputati forensi …………… 0
Deputati affaristi …………... 0
13 maggio 2025
Ho reso pubblico, di Paolo Mantegazza, sconosciuto ai più, il libro PARVULAE NOTE SPARSE, postumo, a cura di Luciano Zuccoli e dell’Editore Fratelli Treves di Milano. https://www.garganoverde.it/contenuti/letteratura-download-2/costume/1910-paolo-mantegazza-parvulae-pagine-sparse.html
Il libro originale riporta 11 scritti inediti di P. Mantegazza, tra cui uno scritto di aforismi dedicato, in gran parte, alle donne, mentre nell’edizione pubblicata da me ne ho scelto sono 6, oltre all’introduzione di Luciano Zuccoli.
Dopo di aver reso pubblico il secondo libro di P. Mantegazza ritornerò alle origini di queta, ormai, lunga digressione, cioè a Enrico Falqui e alla sua TERZA PAGINA.
14 giugno 2025
Nell'attesa di potere gustare appieno la III parte del bellissimo libro di Enrico Falqui LA NOSTRA TERZA PAGINA, dato alle stampe il 1980 (nel mio web www.garganoverde.it, andando a controllare quante persone hanno scaricato la I e II parte del libro, ricevo uno sconfortante 0, ma questa è un'altra storia ... ), "pappatevi" questo testo del 1954, che ho trovato per caso sul mio PC (lo giuro ... ).
Adolf Hitler, Conversazioni segrete Ordinate ed annotate da Martin Bormann, 1954
Prefazione
Questo documento - indubbiamente il più importante tra quanti, nell’ordine storico-politico, sono stati finora pubblicati dopo la distruzione dell’impero hitleriano - ha una storia singolare che gli acquista un carattere di particolare naturalezza, ond’esso si differenzia senza possibilità di equivoco dai non pochi diari e memoriali relativi alla Seconda Guerra Mondiale e ai suoi massimi e più discussi artefici.
Prima della pubblicazione dei Bormann-Vermerke ("Note a cura di Bormann"), che oggi, sotto il titolo Conversazioni Segrete, appaiono nella versione italiana per i tipi della Casa Editrice Richter, il pensiero di Hitler rimaneva consegnato nelle infocate pagine di Mein Kampf e, in via subordinata, in alcuni dei suoi discorsi pubblici. Questi, per quanto riguarda i problemi di fondo, riecheggiano Mein Kampf, che a sua volta s’ispira ampiamente a Fichte, a Herder, a "babbo Jahn" (il "giacobino tedesco", il creatore di quelle società ginniche prussiane nelle quali Mettemich riuscì a vedere altrettante "palestre per le sommosse universitarie"), al francese Gobineau, a Wagner, all’inglese H. S. Chamberlain, genero e discepolo di Wagner, al baltico Alfred Rosenberg, a Rudolf Hess e al geopolitico Haushofer.
La differenza tra Mein Kampf e Conversazioni Segrete è profonda e investe due aspetti: uno riguarda il contenuto, l’altro la forma.
Cominciamo da questa.
Mein Kampf presenta tutti i caratteri di un’opera destinata alle stampe; queste Conversazioni Segrete sono, sul piano espressivo, vere e proprie improvvisazioni, occasionate da fattori contingenti e, il più delle volte, da stati d’animo.
Nel primo avverti la meditazione (e la premeditazione); nelle seconde la spontaneità. In queste hai mutevolezza di tono; in quello un’omogeneità che confina sovente con la monotonia. In Mein Kampf è evidente la preoccupazione architettonica; in Conversazioni Segrete colpisce (e piace) l’assenza di qualsiasi ordine prestabilito. E si capisce il perché: Mein Kampf, si sa, nacque in un carcere, nel carcere di Landsberg, in Baviera, dove Hitler trascorse tredici mesi a seguito della condanna pronunciata contro di lui dopo il fallito putsch di Monaco del 9 novembre 1923; codeste Conversazioni Segrete sono nate durante la Seconda Guerra Mondiale, e comprendono le conversazioni avute dal Führer con i suoi più intimi collaboratori nei Gran Quartieri Generali di Wolfsschanze (a Rastenburg, Prussia Orientale) e di Werwolf (a Winnitza, Ucraina).
La prima reca la data del 5 luglio 1941, l’ultima quella della notte sul 30 novembre 1944. Fu Martin Bormann, l’uomo di fiducia di Hitler, a proporne la trascrizione. Il Führer, in un primo momento, rifiutò. Forse modestia, pudore; fors’anche precauzione.
Considerava davvero quei suoi discorsi alla stregua di quattro chiacchiere alla buona? O non temeva, piuttosto, che una qualche parola sfuggitagli nell’ardore della discussione o in un momento di profonda stanchezza, di estrema reazione alla tensione quotidiana, potesse un giorno comprometterlo agli occhi della posterità?
Certo, quel ch’egli confidava a una ristretta cerchia di fidi non poteva venir da lui stesso consegnato al mondo. Presumibilmente, gli sarebbe parso, ove qualcuno avesse trascritto le sue parole, di non potersi più esprimere secondo il suo sentire. In quei momenti - e cioè durante i pasti, "all’ora del tè", e non di rado durante la notte - egli obbediva all’urgenza di chiacchierare, di aprire il suo animo (nella misura in cui può aprirlo un uomo che sia consapevole di rappresentare una parte di primo piano sulla scena del mondo), d’ironizzare, di discutere senza ufficialità, di polemizzare con interlocutori invisibili, di scegliere un tema e di svolgerlo secondo il suo estro, di "distendersi", d’isolarsi talora dal fragore delle armi, di "eludere" sovente i problemi più immediati e cocenti. Nella notte dal 13 al 14 ottobre 1941 dirà: "Ho preso l’abitudine di eludere, venuta la sera, qualsiasi contrarietà - altrimenti non potrei liberarmene per la notte ... Ho la fortuna di potermi distendere. Prima di andare a letto, mi occupo di architettura, contemplo dei quadri, m’interesso a cose assolutamente diverse da quelle che tutto il giorno hanno occupato la mia mente. Altrimenti non potrei dormire".
17 Giugno 2025
La pubblicazione della terza parte di Nostra terza pagina dura ... mi sono fermato (per modo di dire ... ) al Bergamini (molti nomi ed io sono curioso ... ). Ci sto lavorando ... abbiate pazienza. Nel frattempo potete visitare il mio sito www.garganoverde.it (ci vuole tempo, molto tempo ... ).
Per farmi perdonare il contrattempo, sciroppatevi questo contenuto, salvato da L'illustrazione popolare del 1872 il 04 settembre 2019.
L'Illustrazione popolare, Vol. VI N. 13 del 28 Luglio 1872
Trani.
Senza andare qui rintracciando nei tempi oscuri e remoti l'origine di Trani, e senza stare alla favolosa lapide (1), trovata sopra una delle porte, si può dire essere Trani città antica.
Alcuni credono che sia di origine greca; altri, che sia il Turenum dei Peuceti; ed altri ancora, il Trinium di Plinio.
Al tempo di Marco Aurelio Antonio, era municipio e stazione delle milizie romane, e vedonsi tuttora gli avanzi di una strada che menava ad un Castramentum.
Restò così sotto il dominio romano fino alla caduta dell'impero d'occidente; indi passò sotto gl'imperatori d' oriente.
I barbari, che invasero l'Italia, più volte l'occuparono, ma fu sempre ripresa dai Greci i quali nel secolo X, la tolsero ai Longobardi, e la tennero fino al 1043, nel quale anno venne in potere dei Normanni.
Prima di questo tempo Trani fiorirà: la sicurezza e l'ampiezza del suo porto la resero emporio di commercio col levante; e questa floridezza marittima durò fin sotto il governo della casa d'Angiò.
Amalfitani, Genovesi, Pisani, Veneziani ed Ebrei vi tennero i loro consoli, e questi ultimi vi tennero pure una Sinagoga che produsse dotti Rabini, dei quali il più celebre fu Moisè da Trani.
Nel 1043 i duci Normanni in una dieta tenuta a Melfi si divisero le città vinte, e Trani fu data a Pietro I, o Petrone, il più potente di tutti, e la sua contea comprendeva Bisuglio, Curato, Andria, Barletta.
Pietro I, per potenza e ricchezza si acquistò il titolo di magnus cornes; ampliò e fortificò la città della sua contea, tanto che Goffredo suo figlio, con una numerosa flotta, sconfisse i Greci e occupò Taranto. Tale potenza diminuì sotto Pietro II, il quale, avendo negato di prestare aiuto a Roberto Guiscardo che combatteva contro i Saraceni, questi pieno d'ira piombò su Pietro che resistette in Andria: ma, vinto, dovè prestare omaggio al Guiscardo il quale gli restituì tutti i paesi della contea, eccetto Trani. Ruggero in seguito tenne Trani, e nel 1061 si sostenne contro i Saraceni. In quei tempi si ribellò più volte; ma ricadde sempre nelle mani di Ruggiero, il quale nel 1137 all'appressarsi dell'imperatore Lotario, mandò 23 galere e molti soldati per custodirla; ma Lotario entrò in Trani, e spianò al suolo la rocca. Ma nel 1139 essendo morto il Duca di Puglia, e non potendo sola resistere a Ruggero, si arrese a patti onorevoli.
In seguito Federico II riedificò la rocca, e ne fece piazza di guerra.
Nel 1106 Guido di Lusignano, re di Cipro, concedette ai Francesi di commerciare con quei luoghi senza pagare alcun peso. Sotto Carlo d'Angiò continuò il commercio; ma nelle successive guerre i Siciliani danneggiarono il porto, che non si riattivò né sotto Carlo II , né sotto gli Aragonesi.
Sullo scorcio del XV secolo i Veneziani con l'aiuto di Carlo VIII, s'impossessarono della città di Trani, ed accolsero gli Ebrei cacciati di Spagna: ma dopo la sconfitta dei Veneti ad Aquadello gli Aragonesi ripresero Trani, e scacciarono gli Ebrei, che erano in numero di 30.000.
I Veneziani, col ritirarsi, devastarono le opere fatte, e perciò la città da quel tempo cominciò a decadere.
Dopo avere in breve esposto la storia di Trani, diremo qualche cosa dello stato attuale.
La città conta circa 30.000 abitanti; è sede della Corte di appello delle Puglie, ed è mediocremente fabbricata. Si nota qualche rimarchevole edificio, come la Cattedrale, di ordine gotico-sassone divisa in due parti, superiore ed inferiore, con altissima torre ed ornata di alcune colonne miliarie, e buone pitture. Il teatro bello ed elegante. Il castello celebre per avervi Federico II fatto impiccare il Tiepolo, figlio del Doge di Venezia, a vista delle stesse galere della repubblica. Si nota pure un bel giardino pubblico che dà sul mare.
Lungo la strada che mena ad una penisoletta, detta di Colonna, trovansi alcune sorgenti di acqua minerale, contenente muriati di soda e di magnesia, solfati di soda e di potassa, e nitrati di potassa e soda.
Francesco Olivieri.
21 giugno 2025
I libri commentati e resi pubblici, sono per uso personale mio (mi credo immortale ... quanto ancora devo "campare"? ... ): sono messi a disposizione del "pubblico" per un di più: abbeveratevi dalla cultura, ...
Quando ho adocchiato un libro, scarico quanto più possibile informazioni sul personaggio (i personaggi) e rendo pubblici (per il "pubblico") solo una parte dei materiali raccolti. Visitate il mio sito www.garganoverde.it, ne vale la pena.
Sto commentando e rivedendo la terza parte del libro Nostra terza pagina, di Enrico Falqui.
Nel mentre leggevo/commentavo questa terza parte, sono capitato (per caso, come al solito) sul libro La politica di Leone XIII ... (scritto da due cattolici integralisti e pubblicato nel 1912; il papa attuale ha scelto il nome di Leone XIV, ma questo libro, penso, lo ha certamente letto ... ) del quale ho intenzione di rendere pubblico (ci sto lavorando, abbiate pazienza! ... ) l'Introduzione con dei brani del senatore italiano Luigi Dragonetti (Scritti polemici), pubblicato nel 1867.
Per farmi perdonare (di che? ... bah!), rendo pubblico su FB una denuncia di un ex parlamentare dei 5 Stelle.
Testo
Il continuo attacco al reddito di cittadinanza da parte di politici professionisti pagati 12.000 euro (?, pensavo che fossero 15.000, NdR) al mese, è immorale.
Hanno uffici pagati, cellulari pagati, rimborsi di ogni tipo, telepass gratis, viaggi in aereo-treno-nave (anche in I classe) gratis e se la prendono con i percettori del reddito perché vi sono alcuni che lo prendono senza averne il diritto. E i politici che prendono lo stipendio ed il tfr senza andare mai in aula? Si indignano costoro per giornali propagandistici tenuti in piedi esclusivamente dai sussidi statali in quanto ormai hanno più pagine che lettori? Si sono mai indignati per opere inutili, tangentifici, nauseabondi conflitti di interessi, porte girevoli tra ministero dell'economia e banche, nomine fatta dai ministri esclusivamente per giochi di potere (tutto pagato con le nostre tasse)?
No, se la prendono con i disgraziati.
P. L. Battista, ex-parlamentare 5 Stelle.
22062025
Come promesso, ho reso pubblico il "file" che avevo preannunziato e lo ho chiamato "1912 - Leone XIII" e che ha questo link: https://www.garganoverde.it/contenuti/storia/1912-leone-xiii.html
Lo sapevate che San Pio (comunemente chiamato P. Pio) è stato a San Marco in Lamis?
03072025
Sono arrivato ad un buon punto della lettura-messa delle note della 3. parte del (bel) libro di Enrico Falqui La Terza pagina. Nel frattempo sono capitato sul critico Luigi Russo (1892-1961), che scrive e si fa capire molto bene. Sono capitato sul suo (bel) libro I Narratori del 1951; finalmente un buon libro sulla letteratura italiana! A un altro critico, Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952) ho dedicato una sezione del mio sito; questi viene trattato da L. Russo con i "guanti gialli"n in tale libro. Di L. Russo renderò pubblico un bel pezzo dei Narratori, che andrò a "spolparmi", l'Introduzione storica (senza commenti!). Ho deciso anche di dedicare una sezione del mio sito a Francesco Jovine (1902-1950), lo scrittore molisano. Nel frattempo, leggetevi questo pezzo ... (D'Annunzio non lo posso soffrire ..., ad eccezione della sua (buona) poesia I PASTORI ... settembre, andiamo. E' tempo di migrare ... ).
Inizio testo.
Corriere della sera 05.11.2018 D’Annunzio in guerra: Enfatico e dannoso risponde Aldo Cazzullo
Caro Aldo, quando parla della Prima guerra mondiale, citando D’Annunzio, lei lo considera poco meno di un pazzo fanatico guerrafondaio. Mi pare abbia una considerazione veramente scarsa per un personaggio che ritengo abbia avuto una notevole importanza durante la Grande Guerra che abbiamo anche vinto con lui che ha partecipato attivamente a molte azioni rischiando anche la vita. Le chiedo dunque una spiegazione di questa chiara ostilità verso il Poeta soldato. Sarà mica frutto di una sua educazione scolastica di stampo ideologico? Andrea Casoni Caro Andrea, Lei deve avere un sesto senso. Ci ha preso. Ho avuto un’educazione scolastica decisamente di stampo ideologico. L’insegnante che ha influito di più sulla mia formazione, Anna Maria Alessandria, docente di italiano e latino e poi preside del liceo Govone di Alba, era una fervente monarchica. Il giorno in cui morì Umberto II (noi sapevamo a malapena chi fosse), entrò in classe piangendo: «Un mese di regno e trentasette anni di esilio!». Ci dava del lei anche se avevamo quindici anni. E ci fece ovviamente leggere D’Annunzio. Di sicuro sapeva scrivere, anche se a noi cresciuti nel mito di Beppe Fenoglio, che aveva studiato nella nostra stessa scuola, il suo stile appariva decisamente enfatico. Ma D’Annunzio non fu solo un poeta. Fu una figura centrale nella storia italiana della prima metà del Novecento. Ed ebbe un’influenza nefasta. Non solo contribuì a trascinare l’Italia in una guerra da 650 mila morti. Volle anche combatterla, alla sua maniera: enfatica, autopromozionale, spesso dannosa. Un giorno si fece dare un comando di uomini per prendere il castello di Duino: siccome non si riusciva ad arrivare a Trieste, l’idea era mostrare ai triestini il tricolore. Però da Duino a Trieste ci sono 17 chilometri: se anche l’impresa fosse riuscita, i triestini non se ne sarebbero accorti. Ma l’impresa non poteva riuscire. I fanti italiani caddero sotto il fuoco delle mitragliatrici. Quando il Vate, al sicuro sulla nostra parte del fronte, vede che i pochi superstiti si arrendevano, ordinò agli artiglieri di aprire il fuoco sui «vili»: gli artiglieri lo mandarono a quel paese, e il giorno dopo centinaia di soldati si arresero agli austriaci, nel vedere che le loro vite venivano gettate via in quel modo. Lasciamo stare il pasticcio di Fiume. Va detta una cosa in difesa di D’Annunzio: rimase antitedesco, e finché poté tentò, d’intesa con Margherita Sarfatti, di separare Mussolini da Hitler.