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Newsletter n. 32 da www.garganoverde.it

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La mia Newsletter, giunta al n. 32, è stata alquanto trascurata ...

Di seguito, alcuni dei "file" caricati: 1864-Il Brigantaggio: proemio e tutto il Brigantaggio.

Cercate voi (sono pigro): https://www.garganoverde.it/indipendenza.html

[...]

Il 20 e 21 settembre 1864 avvenne, a Torino, la prima strage impunita dell’Italia appena (1861) unita. L'eccidio di Torino è staoa rimosso, o comunque, è stato “giustificato”. Queste le dimensioni della strage rimasta impunita: 55 morti ed almeno 133 feriti. Vittime innocenti, dimenticate dalla storia. Perché?

In quell’anno (1864), per il tramite di un accordo tra i Francesi (Napoleone III) e gli Italiani, fu deciso di spostare la Capitale da Torino a Firenze, ed il Socci, in questo libro di memorie (1871), non ne fa alcun cenno.

Il sito www.torino1864.it riporta molte notizie al riguardo: … È sufficiente il numero delle vittime per dare la dimensione e la natura di quanto avvenuto a Torino nei giorni 21 e 22 settembre 1864.
I morti sono stati 55 e 133 i feriti di cui si è rilevato il nome; sicuramente di più, considerando quelli che non sono ricorsi alle cure mediche negli ospedali. ...

L ’identificazione dei morti e dei feriti si deve al lavoro dell’ispettore sanitario del comune di Torino, il dr. Rizzetti, che puntualmente forniva al sindaco un rapporto dettagliato e preciso, completo dei dati identificativi delle persone con esaurienti tabelle riepilogative.

Di ogni vittima, il dr. Rizzetti fornisce nome e cognome, età, provenienza e professione. ...

Nel 1862 (Aspromonte) e nel 1867 (Mentana) Garibaldi tentò di conquistare Roma, ma fu sconfitto. Nal 1870 (20 settembre), un anno prima del libro del Socci, Roma fu conquistata e divenne la Capitale dell’Italia unita.

Tornando sulla strage di Torino del 1864, il libricino di Marco Veneziano [nessuna notizia sul web, NdR], Il Ministero dell’assassinio e le notti di Torino, Lugano 1864, così esordisce:

Da questa nobile città di Torino, le cui vie furono dianzi bruttate di sangue dal ministero dell'assassinio, la mente afflitta ricorre alle altre città della Penisola, che hanno ricevuto le tristi novelle. Pur troppo furono travisate dallo spirito di parte, e fu male interpretato il movente che spinse questi bravi popolani con tanto fermo cuore incontro al ferro ed al piombo! ... Come mai la verità poteva apparire chiara in mezzo alle tenebre che si è con male arti procacciato di addensarle intorno da coloro che tennero e tirannescamente abusarono il potere?

Certa cosa è che le città italiane più vivamente addolorate da queste orribili scene saranno Roma e Venezia con le altre sorelle.

Come! (si dirà)... Agli altri mali d'Italia per poco non s’aggiunse anche la guerra civile! ... E quelle armi che son destinate a liberar noi dagli stranieri, o aperti nemici o dubbi e pericolosi amici d’Italia, furono volte contro petti italiani!”

E a Venezia mia specialmente volgendo il pensiero, ne immagino lo squallore accresciuto dalle tristi novelle di Torino; e (quello ch'è peggio) la baldoria della soldatesca straniera che le tiene il piede sul collo, vedendo Italia discorde lacerarsi colle proprie mani.

Ma ciò che debbe sopratutto rendere inquieto ogni buon Veneto che abiti ora al di qua dal Mincio, si è il pensiero che si possa far credere ai nostri, che il popolo torinese abbia tumultuato per conservar qui la capitale d’Italia; che abbia voluto sacrificare gl’interessi nazionali ai municipali, attraversando il ministero Minghetti-Peruzzi in un’opera che dagl’ingannatori e dagl’illusi si dirà benefica per l’Italia. Si sviseranno i fatti; si calunnieranno le intenzioni; si mostrerà come una fatale necessità quello che fu tirannico arbitrio; si tenterà di far apparire in aspetto di vittime i carnefici del popolo torinese e di strappare la corona del martirio ai miseri caduti nelle orribili notti del 21 e del 22 settembre.

A temer questo c’induce il sapere che troppi sono i Veneti legati da torte opinioni e più da interessi alla parte moderata che da più anni sgoverna l’Italia, e ha fatto la giornata d’Aspromonte e le notti di Torino. Noi prevediamo che costoro porranno l’opera ad ingannare i nostri concittadini, per togliere o almeno per attenuare le colpe dei loro consorti. Pur troppo fiduciosi verso di costoro e troppo creduli furono sinora i più dei nostri al di là dal Mincio; onde potrebbero per avventura essere tali anche questa volta!

Nei rimescolamenti politici è frequente di veder salire ad immeritata fama ed autorità uomini inetti o perversi; a mo’ d’esempio, retori avvocatucci avidi di potere e d’oro e più d’oro che di potere, antichi liberali apostati studiosi di cancellare un giorno d’energia e di patriotismo con anni di fiacchezza o di moderatume, nobilastri i quali non hanno degli avi famosi altro che il nome. I cosifatti nella patria da liberare non veggono che i grandi impieghi da occupare e i grossi stipendi da intascare: antecipatamente si dividono

fra loro la preda, riserbandone per altro una parte ad alcuni fra i più astuti fautori della tirannide; i quali a tempo si camufferanno da liberali, e con cui sarà loro facile, per similitudine di animo e d’indole, lo ingraziarsi e il far comunella. Intanto, in una ai compagni di mangiatoia, calunniano i patrioti d’intemerata vita e superbi solamente dello apostolato del vero che esercitano, degli esilii e dei dolori sofferti per esso e della povertà che lo accompagna.

È certo dunque che i moderati veneti cercheranno di travisare i fatti nel comunicarli ai nostri. Ma se dai soliti ingannatori e addormentatori verranno tesi questi tranelli, altri non procurerà di disfarli? Arrogi che pur troppo un Veneto d’ingegno, ma tratto miseramente in errore, si fece in questi giorni campione, in pubblici fogli, del ministero dell'assassinio, allora appunto che stava per isdrucciolare e dar le chiappe in terra intrisa di sangue cittadino.

Alcuni altri emigrati veneti, male informati, non possono avere un sano criterio dei fatti recenti. E non ci sarà un Veneto che alzi la voce a dire la verità, che osi bollare in fronte i governanti assassini e interpretare le opinioni e i voti dei molti generosi figli della Venezia emigrati, fra cui tanti prodi soldati delle patrie battaglie, i quali, al pari di chi queste pagine scrive, imprecano ad essi? …

Ed ora torno al libro. …

Avvertenza: di molti personaggi nominativi non ho trovato nulla sul web, per cui li ho segnalati con una [?].

Ho “corretto” alcune espressioni in uso all’epoca, senza variare il senso di ciò che l’Autore, toscano di Firenze, voleva dire; da “tuono” ho corretto in “tono!, da “avea” in “avevo”, ecc.

Il libro è pieno di dialoghi, secondo il gusto dell’epoca: Es. - Anche il cielo si tinge di rosso - Gridò il solito compagno, provocando un'occhiataccia dal padron di bottega, il quale dacché aveva raggruzzolato la miseria di un mezzo milione si era buttato, anima e corpo, nella categoria dei ben pensanti - Allegri ragazzi - Continuò collo stesso tuono di voce lo scapato - Gli augurii, non potrebbero essere migliori... Evviva il rosso!

I dialoghi li ho resi così: es. - Anche il cielo si tinge di rosso, gridò il solito compagno, provocando un'occhiataccia dal padron di bottega, il quale dacché aveva raggruzzolato la miseria di un mezzo milione si era buttato, anima e corpo, nella categoria dei benpensanti.

- Allegri ragazzi, continuò collo stesso tono di voce lo scapato.

- Gli auguri! non potrebbero essere migliori. Evviva il rosso!

A questo proposito mi appiglio al Manzoni e al suo “risciacquare” in Arno: … La questione della lingua rimaneva, infatti, irrisolta da secoli, a partire dalla monolitica Commedia dantesca. Ai tempi del Sommo Poeta, infatti, il volgare si articolava in numerose varianti dialettali, nobilitate anche dalla Scuola poetica siciliana, che lo utilizzavano in forma aulica nei loro componimenti.

Dopo le Prose della volgar lingua, in cui Pietro Bembo indicava il toscano come modello della lingua italiana, aggiungendo a Dante anche Boccaccio e Petrarca, sarà infatti il Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla di Alessandro Manzoni a segnare una svolta decisiva, nel 1868, a soli sette anni dalla proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1861 ...

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