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Da Qualesammarco, n. 1 del 1992
San Marco in Lamis: le origini
In un bellissimo, vecchio atlante stradale 1/250.000 (Shell. De Agostini. 1972) un sottile segno azzurro, anonimo, parte dal Monte Nero e finisce a Stignano: è la traccia di un torrente, in gran parte scomparso, che in epoca verosimilmente diluviale si fece strada isolando dal complesso dell’acrocoro il monte Celano, plasmando il vallone di San Marco ed infine, a valle, isolando anche il monte Della Donna, fino a portare una pietraia nel sotto Stignano ed alla pianura. Quella apertura fu la via naturale di accesso al Gargano, unica, preistorica, tuttora valida. E' un fatto.
In fregio a quel torrente-strada si trova San Marco: il suo primo centro fu la contrada "Padula" (palude), e della Palude il primo nucleo fu la zona detta "lu puzzu ranne" (il pozzo grande) col suo slargo delimitato da casette disordinate per aspetto, allineamento e proporzioni: in centro il pozzo maggiore del paese, appunto "il pozzo grande".
In questo spiazzo confluivano le strade di accesso primitivo al paese: quelle costituite, a monte e a valle, dal letto del torrente, che qui si perdevano nelle "lame" nei tempi antichi e si interrompevano al livello del suolo ai miei tempi, e quella attuale: la "vianova" di San Severo che, raggiunta San Marco a San Berardino (oggi porta San Severo), scavalcato il torrente, rimontava i "piani" coi nomi di "vianova del piano di sotto" e "vianova del piano di sopra"; declinava davanti alla "villa" e si porta al livello della piazzetta del pozzo grande, nel punto in cui questa confluisce con la "via della Chiesa Madre". Confluenza di strade e confluenza di acque: qui quelle scorrenti da monte, in parte a cielo scoperto, in parte tombinate, si immettevano nel letto del "canalone" rettamente allineato e non lontano.
Era uno spettacolo, dopo forti pioggie, che mi affascinava.
Anche questi sono fatti, tutt'ora riscontrabili.
San Marco nasce dunque da un piccolo nucleo in fregio all'unica strada naturale di accesso al Gargano.
Interpretare il significato di quel piccolo nucleo equivale, indubbiamente, a conoscere l’origine ed il significato del paese. Nei miei ricordi infantili, e cioè agli inizi del secolo, sentivo chiamare "pozzo grande" tutta la zona del pozzo col suo slargo e la sua corona di case e casette.
Al "puzzuranne" venivo inviato non per prendere acqua, ovviamente; ma per prenotare lo "sciarabà" di Donato per andare a San Severo. In quel posto ed in quel tempo la primitiva attività della ianua (centro di sosta, ristoro, rifornimento) era cessata; ma rimanevano e funzionavano alcuni servizi: maniscalco, taverna, trasporto privato (Donato). L'acqua non importava più: San Marco era ormai una cittadina prospera, di agricoltori (proprietari e fittavoli del latifondo pugliese), commercianti ed artigiani.
La sosta del viandante e la sua sete erano un ricordo.
Non saprei dire quando lo spiazzo abbia perduto la sua originaria funzione di centro viario e commerciale del paese; ma certo la funzione di centro viario era ancora in atto almeno fino alla costruzione della "via nova", che lì si attestava: tempi storici.
Nei miei ricordi il centro del paese, atipico, era trasferito alla "piazza di sotto" (che non era una piazza), il corso Umberto, ora Matteotti, tra le chiese di S. Antonio e di Santa Chiara. Qui i palazzi dei signori (Tardio, Serrilli, La Selva, Gravina, Villani, Ciavarella, Centola, Piccirella): qui la posta ed il "casino" dei signori.
Pochi anni dopo, eliminati i "Morticelli", bonificato il largo delle Grazie, si trasferirono al "piano", dal "pozzo grande", anche i servizi. Nel palazzo La Selva, di nuova costruzione, maniscalco e taverna; in piazza acquaiolo, fermata delle corriere, poi la posta.
Il "pozzo grande" fu chiuso e lo spiazzo cadde nel letargo, in cui penso vegeti tuttora.
In quale epoca nacque San Marco, e da chi? Date ed epoche non saprei indicarne. Sono solo un vecchio emigrante che medita i propri ricordi. Probabilmente i primitivi garganici erano i Dauni, pastori di Arcadia fuggiti dall'invasione dorica; ma si tratta dell'età del ferro, verosimilmente antecedente.
I nomi dell'antico itinerario sammarchese, che sono arrivati fino a noi, sono latini, come latine sono parole dell'antico dialetto: la Puglia era il granaio principe di Roma e quindi l'epoca potrebbe essere romana.
Da chi? Giuliani parla di "pastori e fuggiaschi". Non ho elementi; ma dubito ed opino: i pastori avevano un loro punto di incontro, il "Cutineddo" abbeveratoio delle greggi; ed un centro zoosanitario: la fonte di "Podalirio", le cui acque sembra curassero malattie della pelle delle pecore. Pare che vi fosse anche un tempio titolato a "Podalirio" (Angiuli in Bonfitto e Nardella, Dal fondo dei paesi, Lacaita ed. 1981). Dubito: era un tempio o un'ara? Che rapporti ebbe con lo Starale?
Comunque: non i due centri, di lavoro e di fede, posto che preesistessero, coagularono il centro urbano. Fu il terzo, quello non riconosciuto dalle tradizioni, la "ianua", a generare il paese.
Forse dunque né pastori. che convenivano altrove, né fuggiaschi, che difficilmente si sarebbero fermati proprio sulla strada; ma genericamente indigeni, o forse componenti delle stesse carovane di transito (dico carovane: non riesco ad immaginare un viaggiatore solitario), attirati dal guadagno di servizi e commerci, si stabilirono sulla "porta"; quindi le loro famiglie. E così sarebbero diventati residenti gli addetti ai servizi propri della funzione; poi quelli addetti ai servizi per gli addetti ai servizi (commercianti ed artigiani). Nella porta verosimilmente, oltre a servire ed approvvigionare le carovane, si scambiavano o si commerciavano valori (dovevano abbondare carni, uova, lana, formaggi pecorini ...).
Qui si fissarono le abitazioni.
E nacque il centro di servizi e commerci che determinò l'origine e le casistiche del paese. Che il centro di origine fosse questo, è un fatto che mi sembra non si sia posto in discussione; che poi le cose siano andate come le prospetto è possibile: ma non pretendo che mi si creda.
E finalmente, i nomi.
Per secoli, penso, quanti ne occorsero al volgare per affermarsi, rimasero i nomi latini, verosimilmente degradati nel dialetto: Ostium ianuae divenne Stignano, la ianua Iana (od anche Iano, una variante che ci fu insegnata a scuola; ma non era ufficiale, e pure è tanto parente di Giano), ostium arale Starale, coelum ianuae Celano. La sequenza è così logica che non credo si possa dubitare delle etimologie: topografia, toponomastica e funzione coincidono.
I primitivi sammarchesi probabilmente non erano pronti ad afferrare il concetto astratto di porta: la "sartania" era una padella e sartania rimase; ma la "ianua"? Un nome senza senso concreto, aleggiante sul torrente; e fu il nome ufficiale del suo tratto urbano. Questo, dopo la subentrata
vianova, non era più strada ma, corretto, (allargato e munito di sponde ad evitare esondazoni) ai miei tempi si chiamava "il canalone".
Iana o "iano"? Di qui giano? (ci sono almeno due paesi che si chiamano Giano: Giano vetusto in provincia di Caserta e Giano dell'Umbria, Perugia, e può darsi che anche altre località non degne di codice postale così si chiamino. Ho chiesto ai comuni se vi fossero notizie sulle origini di quel nome: non ne ho avuto risposta).
Perché San Marco non si chiamò, ad esempio, Genova? Ritengo, a conferma di quanto suppongo sia avvenuto nel traslare il nome Iana al torrente, che avvenne perché il significato ed il valore della "ianua", che pure determinò nascita, fortuna e modo di essere del paese, non fu mai riconosciuto.
Il nome di San Marco di dove viene? Non lo so e non ne ho visto discorso. Caso? O battesimo tardivo, ad esempio in seguito all’avvento della amministrazione badiale, intorno all’anno mille?
Ipotesi che poggiano su certezze: sono certi il luogo, il significato, il valore del punto di origine e del suo evolvere iniziale, l'influenza sullo sviluppo e sulla via del paese. Un mio compaesano (consideratemi così: Sammarchese nell'anima nostalgica) può domandarsi: cosa ci racconta costui, di cose che non esistono e forse non sono mai esistite?
Ha ragione di dubitare: ma io ho visto il taglio della valle, che è ancora lì, ancora oggi via naturale di accesso diretto al monte.
Non ho visto il primo tratto della strada primitiva: la razionalizzazione del percorso Stignano-San Marco aveva cancellato (forse da secoli) il vecchio tracciato.
E Stignano, dimenticata l'Ostium, rimaneva solo un convento.
Non ho visto il tratto San Berardino - pozzo grande, che era ormai il "canalone": la "Iana", corruzione di un nome e di una funzione (dimenticata senza essere stata compresa) non era più che un nome, traslato al torrente dalla vera porta, che sonnecchiava inattiva.
Ma io ho visto lo Starale: una buona via carraia, funzionante al servizio dei piccoli fondi e delle loro casette "sparse e biancheggianti sul pendio" della parte nord del vallone; al servizio dei Romei e di me bambino gitante.
Cinquant'anni dopo, tornato a passare le ferie a San Marco, sono stato invitato a raccogliermi i fichi dall'albero nella "vigna" di un parente. Era una proprietà che si estendeva su entrambe le parti della valle, nel punto più declive della loro confluenza uno stretto e fondo fosso, quasi invisibile tra i rovi, tra il ricordo irriconoscibile dello Starale!
Non c'era dunque più neanche lo Starale: un tracciato stradale e pochissimi anni hanno fatto ciò che non avevano fatto i secoli. Ha ragione il "compaesano": non c'è più il ricordo degli "ostia"; non c’è più quello della incompresa "ianua"; non quello del "pozzo grande". Non c’è più neanche la funzione che caratterizzava San Marco e lo privilegiava fra i comuni garganici: centro di transiti e di commerci indigeni.
Se lasciamo perdere anche i ricordi, non c’è più niente.
Sic transit gloria mundi! e dei mondi piccini. Amen.
Vittorio De Filippis

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