Luigi Dubino, Storia di un biennio ..., Roma 1872
[...] 1. Colla caduta delle mura di Porta Pia atterrate dalle artiglierie del general Cadorna veniva a scomparire l’ultimo residuo della sovranità temporale della Santa Sede. Si poneva fine ad un dominio che, qualunque sia la sua origine e la sua forma, era giunto a contare dieci secoli di esistenza, e che avrebbe potuto vivere ancora vario tempo se avesse avuto la fortuna in questi ultimi ventisei anni che alla somma delle cose di Stato presieduto avessero uomini di maggior genio e capacità. Alcuni non sanno spiegare questa mancanza di abili statisti nella clerocrazia romana, la quale fino a Pio IX non ne ebbe mai difetto. Secondo me è consentanea alla povertà intellettuale dei tempi in cui viviamo. È questa un’epoca, non giova illudersi, di grave decadenza di tutta la razza latina, che specialmente in fatto di politica pratica non ebbe durante questi ultimi venticinque anni fra tante illustri mediocrità che poche splendide meteore. Non deve perciò far meraviglia se la clerocrazia romana risenta anch’essa il difetto proprio della razza cui appartiene.
Nel governo pontificio, a chi osservi profondamente e con imparzialità la sua storia, il giorno più inappuntabile della sua vita è stato sempre quello della sua morte. Ogni qualvolta esso è caduto, non cadde mai indecorosamente e senza dignità e così avvenne in questi ultimi tempi, il Santo Padre, sebbene avesse assicurato che le truppe italiane non sarebbero entrate nella città santa, pure non doveva esser molto persuaso della sua promessa. Io ciò deduco dalla lettera che fu scritta dal papa al generale Kanzler, la quale venne in seguito in luce su i pubblici giornali. Con quel documento si ordinava al Kanzler di far tacere il fuoco delle batterie pontificie dopo pochi colpi più di protesta che di risposta contro l’esercito di Vittorio Emmanuele. Questa decisione del pontefice sommamente ragionevole e generosa fa a lui grande onore. Si dirà che era impossibile ed assurdo voler resistere contro forze cinque volte maggiori delle proprie; ma dove trovate la logica dell'umanità nella guerra? Era egualmente impossibile ed assurdo opporsi nell’anno 1849 alle forze di Francia assedianti la cinta aureliana: eppure la Repubblica Romana non si peritò d’immolare a quest’assurdo ed a quest’impossibilità le giovani vite dei Masina, dei Mameli, dei Manara, dei Narducci e di tanti altri valorosi soldati.
Siamo imparziali. Io credo ben difficile che un altro governo si fosse indotto per amore di umanità a risparmiare il sangue dei suoi difensori e per conseguenza anche quello dei nemici. Di un atto simile non è capace che questa inconcepibile Roma papale che accusata di vivere come Tiberio, mostra all’occasione di saper morir come Cesare.