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Ideato e tenacemente voluto, il Museo è stato puntualmente realizzato dal Prof. Matteo Stuppiello.
L’idea nasce negli anni ’60 sotto l’impulso del movimento per la conservazione dei beni culturali, che invade tutta l’Europa promuovendo l’impegno per la salvaguardia del monumento di “eccezionale valore d’arte”, ed evidenziando il criterio della “protezione diffusa”. Sin dalle prime manifestazioni il Museo, nella piena consapevolezza delle proprie funzioni, segna un notevole impulso alle attività culturali della Città, imponendosi per il rigore scientifico nell’indagine storico-sociale, primo fondamentale momento per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione dei “beni” della città.
Grande è l’interesse dei cittadini che, maturando una progressiva sensibilità e l’interesse per l’antico ha visto e vede ancora nel Museo il destinatario privilegiato di donazioni di “oggetti”, testimonianza di un settore lavorativo, della religiosità, di un grande evento storico, ecc. Oggetti raccolti e, poi, intenzionalmente disposti con un filo di coerenza a ricostruire, con tessere piccole e grandi, il vasto e complesso scenario del passato.
Percorrendo le sale del Museo si riscoprono i cicli di lavoro e le condizioni umane e sociali, vivificando le vicende di un quotidiano, ormai lontano, del quale gli oggetti per la loro caratteristica di permanenza costituiscono lo sfondo ideale: sono testimonianze concrete, osservabili e studiabili quando e come si vuole, di una vita radicalmente diversa e spingono a confrontarsi con le diverse soluzioni realizzate nel tempo in risposta ai bisogni materiali, sociali ed economici. Il numero degli oggetti va tuttora aumentando tanto da richiedere l’utilizzo di tre Depositi staccati. Il Museo si avvale, inoltre, di un considerevole archivio fotografico (foto, diapositive, cartoline) e un ricco archivio documentale (testi, manifesti, corrispondenza,) fonti di informazione e supporto per le varie attività svolte.
I MOMENTI SALIENTI
1972. Il prof. Matteo Stuppiello costituisce il “Gruppo Giovani Ricercatori”.
1972, 7 – 10 settembre, Feste Patronali in onore di Maria SS.ma di Ripalta. L’universitario Matteo Stuppiello organizza, per la prima volta nella città, una Mostra foto-documentale “Cerignola antichissima”, nucleo base del futuro Museo. In Corso Roma n. 89 (oggi A. Moro n. 45) vengono esposti attrezzi agricoli (bilancia in legno, misure per cereali, lume a petrolio per carretti, falci, pala e forcone in legno, aratro in legno con vomere in ferro…) suppellettili ed utensileria domestica. (Tavolo da masseria con scodella in legno, cucchiaio in legno, boccale e bicchiere in argilla, orgiuolo, serie di pignatte in terracotta, …), attrezzi di vari settori artigianali (sellaio, fabbro ferraio, bottaio, funaio, …), cartoline e fotografie d’epoca, a coprire un periodo dalla fine del sec. XIX agli inizi del sec. XX; si aggiungono, anche, 23 pannelli fotografici esplicativi (Chiesa dei Cappuccini, Duomo Tonti, prima auto a Cerignola, Ospedale, Stazione ferroviaria nel 1929, Villa Comunale, Regio Ginnasio, Madonna di Ripalta e Carro Processionale, Mons. Antonio Palladino; cerealicoltura, vitivinicoltura, allevamento, …).
1977, dicembre. Viene allestito il Museo in due locali seminterrati in Via San Martino n. 41, di proprietà del prof. Roberto Cipriani, con circa 350 oggetti, una minima parte del cospicuo materiale già raccolto. 1979, 1 maggio. Il Sindaco Gaetano Dalessandro inaugura il Museo “lodevole iniziativa di alto valore culturale. 1980, 29 giugno. Il Museo è trasferito in Corso Roma (oggi Corso Aldo Moro) n. 87, primo piano, di proprietà del sig. Michele Stuppiello, con un’esposizione di oltre 600 oggetti. 1980, novembre. Nuovo trasferimento, quello definitivo, in Viale Di Vittorio n. 70, Palazzo Simone (prima metà sec. XIX), in locali di proprietà della Sig.na Maria Stuppiello: sei Sale in cui trovano idonea e razionale collocazione 2066 oggetti a costituire settori specifici. La Soprintendenza per i Beni AA.AA.AA.SS. di Bari riconosce l’attività del Museo Etnografico Cerignolano, apprezzando l’adeguata tutela dei materiali esposti, senza dubbio unica, importante ed interessante testimonianza storica.
ORGANIZZAZIONE MUSEALE
L’organizzazione del Museo segue un criterio “settoriale”, pur non essendo propriamente di tipo “razionale”.
Il Museo, infatti, si caratterizza per la sua ambivalenza “razionale-evolutiva”.
Razionale perché organizza ed espone la maggior parte delle testimonianze custodite per categorie logiche di appartenenza ( cronologicamente, per affinità stilistica e/o tipologica). Evolutiva perché in alcuni casi (vedi la casa unicubiculare del bracciante) si espongono gli oggetti in ambienti ricreati in maniera più fedele possibile agli originali.
I SETTORI ESPOSITIVI
Servo di Dio Mons. A. Palladino, per il quale è in atto la Causa di Beatificazione.
Vigili Urbani: divise e complementi (Anno ’30-50).
Abbigliamento femminile (Secc. XIX-XX).
Corrispondenza augurale: iconografia e grafica (Sec. XIX, fine).
Statuette sacre in cera, legno, cartapesta, argilla (Sec. XIX). Santini (Sec. XIX);
Iconografia sacra: stampe su seta e carta, dipinti su vetro, ricami su seta e rintaglio su carta (Secc. XIX – XX).
Personaggi illustri di Cerignola: quadri e riproduzioni fotografiche.
La Grande Guerra (Sec. XIX)
Oggettistica varia: scaldabagno a carbone (Sec. XIX – fine), fanale per illuminazione stradale (Sec. XIX), grammofono a manovella (Sec. XX); ceramica da tavola: piatti, brocche, … (Secc. XVIII – XX);
oggettistica in vetro (Secc. XIX – XX).
Artigianato scomparso: attrezzi e manufatti del fornaciaio, aggiusta piatti ed orci, scalpellino, funaio, carradore, bottaio, maniscalco, sellaio, calzolaio, barbiere.
Portone originario in legno del Santuario della Vergine di Ripalta.
Cerealicoltura, pastorizia, vitivicoltura; pesi e misure.
Iconografia ed araldica episcopale.
Ricostruzione della casa unicubiculare del bracciante (Sec. XIX – fine)
FINALITA'
- Sottrarre le testimonianze del passato del nostro territorio al logorio ed all’insulto del tempo, all’istinto distruttivo dell’uomo, ricostruendo e nobilitando l’identità sociale, culturale ed economica della nostra Terra.
- Valorizzazione del patrimonio culturale acquisito ed opportunamente conservato ai fini di incentivare lo studio individuale, la ricerca, e l’approfondimento storico-scientifico assicurando sempre una puntuale fruizione e tutela.
- Costituire per le scuole, e non solo, una fonte privilegiata di studio degli ambiti disciplinari più diversificati: risorsa ed opportunità di memoria, conoscenze ed esperienze, occasione di potenziamento cognitivo e formativo.
- Promuovere in maniera costante e programmata attività educative verso le nuove generazioni al fine di trasmettere le conoscenze storico-artistiche del proprio territorio e le sue antiche tradizioni.
- Costante attività di divulgazione delle ricerche e studi eseguiti attraverso pubblicazioni scientifiche, saggi, convegni, mostre e tavole rotonde.
Attività di sensibilizzazione mediante esposizioni ed attività socio-educative ai fini di favorire una sempre più acuta consapevolezza del patrimonio culturale del territorio e di ciò che effettivamente rappresenta.
di Matteo Stuppiello
A partire dal secolo XVI si registra anche a Cerignola la istituzione di confraternite laicali, qui come altrove con finalità di natura sociale, impegnate in opere assistenziali e di carità. Notevole il loro impegno anche nel restauro, nella ristrutturazione e nell'arricchimento delle chiese nelle quali operavano, dotandole di pregevoli arredi sacri e di nuove preziose decorazioni. Nove le confraternite istituite a Cerignola, qui elencate secondo l'anno di ottenimento dell'assenso regio (ma alcune operavano già prima di tale data) e con una descrizione sommaria dei rispettivi abiti cerimoniali: Maria SS. Assunta in Cielo: 1749, mozzetta azzurra e tracolla bianca con dodici stelle; Morte e Urazione o del Purgatorio: 1754, mozzetta nera e tracolla rossa; Santa Maria della Pietà: 1786, mozzetta rossa e tracolla nera con sopra ricamati i simboli della Passione; Maria SS. Addolorata: 1786, mozzetta azzurra e tracolla rossa con un cuore trafitto da una spada; Maria SS. del Rosario e S. Rocco: 1816, mozzetta verde bordata di pelliccia bianca, con effigie della Madonna e conchiglia del pellegrino; Maria SS. de l Carmine: 1823, mozzetta beige, camice bianco e cingolo marrone; SS. Sacramento: 1839, mozzetta bianca e fascia rossa; S. Giuseppe Patriarca: mozzetta gialla e fascia azzurra; S. Matteo Evangelista: mozzetta azzurra. Le ultime due hanno ottenuto solo l'approvazione ecclesiastica, rispettivamente nel 1884 e nel 1922. Le confraternite di Maria SS. Assunta in Cielo e del Purgatorio si fregiano inoltre - entrambe dal 1825 - del titolo di arciconfraternita. Oltre queste nove confraternite, in un documento del XVII secolo viene attestata la presenza di un'altra confraternita, intitolata a San Giacomo. Ogni confraternita aveva un proprio statuto, le cui regole erano sottoposte all'approvazione regia.
Era retta da un prefetto o priore, coadiuvato dal primo e dal secondo assistente, un cassiere, un segretario, un maestro dei novizi, un padre spirituale ed un sacrestano. Attualmente l’attività di queste confraternite si limita alla gestione delle tombe cimiteriali e alla partecipazione alle processioni.
di Matteo Spuppiello
I santini manufatti venivano realizzati su cartoncino bristol, sul quale, di solito, venivano ricopiati disegni già predisposti. L'immaginetta sacra - in cromolitografia o in litografia in bianco e nero - veniva posta a rilievo sul cartoncino, quindi si procedeva ai lavori di decorazione che impreziosivano il manufatto: l'intaglio con il temperino; il ritaglio della carta con forbicine dalle punte molto sottili; il traforo, che rendeva il cartoncino simile ad un delicato merletto; la puntinatura - fitta o rada - eseguita con aghi, sulla base di un disegno già prefissato; la fustellatura, essenzialmente usata per creare una sorta di cornice intorno all'immaginetta. L'unicità e la preziosità dei manufatti - al di là del valore intrinseco dei materiali usati - erano dati dall'estro e dal gusto delle artigiane che realizzavano composizioni ricche di spirito devozionale e di creatività. A confezionare tali immaginette sacre erano - soprattutto - le suore di san Vincenzo de' Paoli o di Carità, che vivevano presso l'Opera Pia Anna Rossi. Di solito questi santini avevano il retro bianco in modo da poter essere utilizzati dai sacerdoti e dai religiosi - in genere come bigliettini augurali o celebrativi - in occasione delle ordinazioni e degli anniversari di sacerdozio e di vestizione, delle festività liturgiche, degli onomastici, dei compleanni. Chi li riceveva, li conservava gelosamente nei testi sacri, come segnalibro, li esponeva nelle campane di vetro o nei quadri. Oltre ai santini manufatti di produzione locale, erano anche molto diffusi quelli france si. tedeschi ed italiani. di produzione industriale.
dI Matteo Stuppiello
Sotto questa voce vogliamo comprendere i "dietrovetro", i quadri con ricami su seta, i quadri con immagini sacre incornici ate da composizioni in vario materiale, le litografie su seta, le stampe.
Due gli esemplari di "dietrovetro" esposti nel Museo Etnografico Cerignolano: uno di santa Maria di Siponto, l'altro di san Pasquale Bylon. Tali manufatti pittorici sono piuttosto rari e di essi sono pressoché nulle le notizie in merito alla produzione locale. Venivano realizzati dipingendo direttamente sul vetro la sacra effigie a rovescio. Di solito l'immagine veniva poi delimitata da una linea ovale dipinta in marrone scuro, in contrasto con il colore di fondo, per il quale venivano utilizzate tinte molto chiare.
I ricami su seta - di pregevole fattura - per quadri a soggetto sacro, venivano realizzati con fili di oro e di argento e di seta colorata, utilizzando una vastissima gamma di punti, e, a volte, anche coralli, perline e paillettes. L'immagine sacra utilizzata spesso era semplicemente ritagliata da una stampa ed incollata sulla seta. Stampe erano pure le immagini utilizzate per i quadri, adornati con composizioni di racemi floreali, fiori e foglie, realizzati in carta, stoffa, stagnola, corallo e perline. Molto diffuse e richieste nell'Ottocento erano le litografie su seta - di vario colore e in diverse dimensioni - della icona di Maria SS. di Ripalta, di solito commissionate e distribuite dalla Deputazione Feste Patronali. Va tuttavia precisato che, spesso, l'immagine riprodotta non corrispondeva pienamente a quella della Protettrice di Cerignola, nel quale caso si trattava - probabilmente - di un cliché usato anche per altre icone pugliesi.
di Matteo Stuppiello
Tradizione nella nostra terra e, in generale, in tutto il Meridione, era conservare nelle proprie case statue di santi protettori e della Madonna - nelle sue varie attribuzioni - in campane di vetro con base di legno tornita. Un bene da conservare gelosamente perché potesse essere tramandato ai propri discendenti. Inoltre, per antica consuetudine, le campane di vetro venivano utilizzate anche nelle chiese - come documentano i relativi inventari - per ornare gli altari. Le statue in questione, di varie dimensioni, erano realizzate con diversi materiali, dalla cera alla cartapesta, dal legno all'argilla. Si trattava di pezzi unici perché l'artigiano imprimeva in ciascuna di esse il segno della sua creatività. Qualunque fosse il materiale usato, con esso si preparavano la testa, gli avambracci, le mani e i piedi, pezzi che potevano essere anche acquistati singolarmente. Il corpo era invece costituito da un'anima in metallo, intorno alla quale si avvolgevano paglia, spago e carta, saldati con la colla. Creata la base e l'anima della statua, si procedeva a rivestirla con abiti di stoffa - seta, raso, velluto, broccato - secondo le richieste dei committenti. Abiti impreziositi con ricami, applicazioni in oro e argento, pietre dure, coralli, perle e lamine di stagnola in vari colori, arricchiti con trine e merletti.
Le corone, le aureole ed altri attributi cultuali venivano realizzati con lamine di stagno. La statua in cera "trattata" era ottenuta mediante la fusione e la colorazione del materiale in appositi stampi predisposti. La campana di vetro con l'immagine sacra veniva spesso completata ed arricchita da composizioni floreali - lavorate a mano - in stoffa, carta, coralli, semi, conchiglie. La loro realizzazione costituiva una vera e propria attività artigianale, connessa con quella delle ricamatrici di arredi sacri. Questo tipo di attività era essenzialmente svolta da signorine di profondo spirito religioso, che dedicavano la loro giornata anche alla preghiera comunitaria, all'impegno nelle parrocchie e alla cura delle suppellettili di arredo delle chiese.
Tra le altre, ricordiamo, a proposito, le sorelle Caterina e Maria Federico, esperte nel confezionare le statue sacre e le decorazioni per le campane, abili anche nei ricami in oro - su seta - per i quadri sacri; le sorelle Vincenza, Caterina e Donata Albanese, che realizzavano quadri in seta e in carta, lavori in corallo, in cera (mele, pere, uva, animaletti), oltre a ricamare tovaglie per gli altari, stole per i sacerdoti, gonfaloni e stendardi per le varie parrocchie, soprattutto per quella di san Domenico, e anche lenzuola e tovaglie per corredo; le sorelle Michelina e Teresa Moscarella, che restauravano le corone del rosario; le sorelle Francesca e Anna Novelli, che ricamavano arredi sacri in oro e argento, realizzavano decorazioni in corallo e in carta, preparavano le caratteristiche palme di vario materiale; Ripalta Russo, esperta ricamatrice in oro, che realizzava anche fiori - in stoffa, carta, corallo - e palme; infine, le sorelle Rosaria, Maria e Giovanna Scelsi, che avevano anche un negozio dove vendevano la loro produzione: arredi sacri, fiori, palme in cera, seta e carta, oltre a biancheria per corredo.