In attesa di verificare l'esito dell'ennesimo concordato fiscale, tutti i giornali riportano lo studio presentato ieri alla Camera dall'osservatorio Itinerari previdenziali, diretto dal professor Alberto Brambilla, secondo cui nel 2022 il 15 per cento dei contribuenti – 6 milioni e 400 mila persone – ha pagato il 63 per cento dell'Irpef. In compenso, si fa per dire, ben 17 milioni di contribuenti, più del 40 per cento, dichiarano di guadagnare meno di 15 mila euro l'anno, e pagano di conseguenza poco più dell'1 per cento dell'Irpef complessiva. Spiega Brambilla: «Non è corretto descrivere l'Italia come un paese oppresso dalle tasse, poiché i contribuenti su cui grava il carico fiscale, e di riflesso il finanziamento del sistema di protezione sociale, non sono che uno sparuto 24 per cento». Ho però l'impressione che a lamentarsi delle tasse in Italia sia soprattutto chi non le paga, alimentando i consensi di chi gli garantisce che continuerà a non pagarle. Un po' come forse accade con la corruzione, le raccomandazioni e i privilegi della politica, e le tante campagne antipolitiche che da trent'anni producono politici sempre più scadenti, anche sul piano morale.
L'Ordine cavalieresco del buon ladrone proposto pel Regno d'Italia.
Io voglio mettere un termine a questo libro abborracciato alla meglio con una proposta pratica, ed è questa, che s'istituisca nel Regno d'Italia un Ordine cavalieresco intitolato l'Ordine del buon ladrone, coi cavalieri del buon ladrone, coi commendatori del buon ladrone, coi gran-croce del buon ladrone; ed eccomi a dire le ragioni del mio consiglio.
I Governi savi ed intelligenti badano ai vizi che serpeggiano presso i loro popoli ed alle virtù speciali di cui abbisognano, e poi propongono quei modelli che più valgono ad inspirare o l'odio di quei vizi o l'amore ed il culto di quelle virtù.
Cosi i Reali di Savoia, desiderando che le loro popolazioni crescessero al valore, all'onore, alla fedeltà militare, stabilirono l'Ordine di S. Maurizio, il valente soldato della Legione Tebea, il tipo della fedeltà al suo Dio ed alla sua religione, il capo di quei soldati che seppero morire piuttosto che venir meno ai loro giuramenti.
Che se i Savoini ed i Piemontesi a preferenza di molti altri andarono famosi nel mestiere delle armi e nella lealtà militare, io sono d'avviso che ci influisse assai l'esempio, il culto e la protezione del glorioso martire s. Maurizio.
Ma sgraziatamente quell'Ordine cavalieresco non fu tenuto in quel conto che meritava, ed oltre al regalarlo ai falegnami, ai calzolai e ad ogni genere di persone, che sarebbe il minor male, si appiccò anche sul petto di galeotti, come il deputato De Viry rivelava nella Camera del Parlamento subalpino.
E nell'anno 1868 abbiamo visto davanti i tribunali di Marsiglia agitarsi la lite di un cotale che pretendeva quaranta mila lire da un negoziante francese per avergli fatto regalare dai ministri italiani la croce di San Maurizio, processo che venne riferito dalla Gazzetta Piemontese; e recò danno al sensale che aveva procacciato la croce, al commerciante che l'aveva ottenuta, al Ministero italiano che l'aveva data, ed all'Ordine medesimo di S. Maurizio, che cadde sempre più in basso.
Tanto è vero, che lo stesso Governo di Firenze istituiva l'Ordine della Corona d'Italia, e dava per ragione di questa nuova creazione il desiderio di rimettere in onore quello dei santi Maurizio e Lazzaro. Il quale scopo non fu guari ottenuto; e nel novembre del 1868 la Gazzetta del Popolo di Torino misteriosamente ci raccontava che il Magistero dell'Ordine doveva radunarsi per togliere la croce non so bene a quale malandrino. Ora abbiamo avuto per giunta in Roma il processo Danesi, e Franchelucci!
I giornali stessi, quando parlano di certe decorazioni, ne ridono, e le chiamano le croci dei soliti santi, sicché la maggior parte dei cavalieri non hanno il coraggio di fregiarsi il petto d'una simile croce, temendo di essere volti in ridicolo. E di fatto li volsero in ridicolo prima il deputato Ricciardi enumerando in Parlamento la statistica dei sedici mila cavalieri, e poi il deputato Corrado proponendo che tutti questi cavalieri si assoggettassero ad un'imposta.
Laonde l'Ordine di S. Maurizio e Lazzaro ormai in Italia è ridotto al punto da non potersi più ristorare, né rimettere in qualche considerazione, e converrebbe, se non abolirlo del tutto, lasciarlo a poco a poco cadere in dimenticanza, come è avvenuto di tanti Ordini antichi.
Ed io credo che se gli dovrebbe sostituire invece l'Ordine del buon ladrone. Avvegnaché l'Italia essendo tormentata da ladri grandi e piccoli, di tutti i generi, di tutti i gradi, di tutte le condizioni, sarebbe ottimo rimedio metterle innanzi il glorioso esempio di un gran ladrone divenuto un gran santo.
Né la cosa potrebbe dirsi del tutto aliena dalle tradizioni italiane. Se l'Oriente fu dei primi ad onorare il buon ladrone, celebrandone la festività il sabato della settimana di Pasqua, in Napoli la chiesa di san Giorgio ha ab antico una magnifica cappella dedicata allo stesso santo.
La Congregazione dei pii operai ottenne dal Papa il privilegio di recitarne l'uffizio per le molte conversioni che avvenivano nelle missioni mediante l'intercessione del buon ladrone: propter expertas plurimas peccatorum conversiones eius intercessione in suis sacris missionibus factas, come dice il Ferraris nella sua Biblioteca all'articolo Latrones.
La città di Gallipoli, molto commerciante, posta sul golfo di Taranto, onora il buon ladrone con culto fervoroso, e lo venera come suo protettore. La quale devozione rimonta a tempi più remoti, ed ebbe origine dai pericoli che le incursioni dei pirati barbareschi facevano correre agli abitanti di quella marittima contrada.
Su questo argomento scrisse un bel libro monsignor Gaume, col titolo Storia del buon ladrone, dedicata al secolo decimonono ed il marchese L. Dragonetti, senatore del Regno d'Italia e gran nemico dei ladri e del latrocinio che impugnò sempre colla parola in Senato e colla penna nei libri e nei giornali, ce ne diè una buona edizione italiana, che nel 1868 fa pubblicata a Prato dalla tipografia di Ranieri Guasti.
Monsignor Gaum dimostra che il secolo decimonono trova nel buon ladrone il suo modello. Colpevole al pari di lui, come lui può e deve pentirsi. La sua conversione è la soluzione unica di tutti i problemi sociali. Quindi passa a discorrere dei ladri nella Giudea, del buon ladrone, della sua nascita, del suo nome, della sua vita, della sua conversione, della sua fede, della sua speranza, della sua carità, della sua fortezza, della sua temperanza, della sua prudenza e giustizia.
Io vorrei che il ministro Menabrea e gli altri ministri e i deputati e i senatori si procurassero il libro di monsignor Gaume, e non sarebbe male che prima d'incominciare i Consigli dei ministri e le tornate parlamentari se ne leggesse pubblicamente un capitolo, per esempio quello magnifico intitolato Prudenza e giustizia del buon ladrone.
Poi converrebbe invitare il conte Luigi Cibrario, così valente negli Ordini cavaliereschi, a compilare gli statuti di un Ordine del tutto italiano, che portasse il nome, come ho detto più sopra, di Ordine del buon ladrone. E bisognerebbe poi tenerlo molto prezioso, perché, se abbondano in Italia i cattivi ladri, sgraziatamente scarseggiano i buoni ladroni.
Tutto al più si potrebbero insignire di quest'Ordine i ministri, i deputati ed i senatori. In specie i ministri delle finanze dovrebbero essere Gran Mastri dell'Ordine del Buon Ladrone.
Fate l'esperimento di questo rimedio, e vedrete quanto varrà per guarire la piaga dei ladri nel Regno d'Italia. Molti se ne convertirono in Oriente ed in Occidente coll'esempio del buon ladrone.
Si è convertito il famoso capo-banda ai tempi di San Giovanni Evangelista; si è convertito il terribile masnadiero Moisè che viveva nei deserti d'Etiopia ai tempi di Sant'Antonio; si è convertito il Mandriano della Tracia, brigante celeberrimo sotto il regno dell'imperatore Maurizio; si è convertito il giovane ladro di Cluni per le parole dell'abate Sant'Odone; si convertirono i ladri delle Alpi che avevano arrestato il gran Taumaturgo delle Gallie, San Martino; si è convertito in Napoli nel 1858 un furibondo brigante per le esortazioni del padre Girolamo Uccello, che gli mostrava gli esempi del buon ladrone; e tanti altri si convertirono, che sarebbe troppo lungo annoverare.
Oh! quanti se ne convertiranno pure nel Regno d'Italia quando il buon ladrone sia onorato, come propongo! E più e meglio si onorerà, altrettanto maggiori saranno le conversioni.
Coraggio, Menabrea; voi, che già mostraste tanta devozione per Santa Caterina da Siena, mostratene anche un poco pel buon ladrone. Presentate al Parlamento una legge perché venga proclamato protettore del Regno d'Italia. E, poiché la festa dell'unità italiana essendo semplicemente politica non può attecchire, rendetela anche festa religiosa, e fissatela per il sabato dopo Pasqua, quando gli Orientali celebrano la festa del buon ladrone.
Non sappiamo se voi conosciate l'Oremus dell'Uffizio del buon ladrone che recitano i chierici regolari di San Gaetano Tiene. E' bellissimo e tenerissimo, e mattino e sera dovrebbe essere ripetuto in ginocchio da tutti i ministri.
Processo per un furto di decorazioni dell'Ordine della Corona d'Italia.
Scrivere ancora un capitolo, raccontando la storia del processo avvenuto in Roma nel dicembre del 1872, per un furto solennissimo di decorazioni dell'Ordine della Corona d'Italia. Nel primo libro di questa storia è detto come in Piemonte si regalasse la croce dei Santi Maurizio e Lazzaro ad un ex-galeotto. Qui si dirà come i brevetti della Corona d'Italia venissero audacemente rubati.
Due erano gli accusati. Un impiegato del Ministero di grazia e giustizia, ed un apostata. Ecco la relazione pubblicata da tutti i giornali:
"Un bel giorno si presentavano al cancelliere del magistero dell'Ordine della Corona d'Italia tre brevetti di cavaliere, intestato l'uno al signor Cottur, suddito francese, l'altro al signor Francesco Mayer, suddito tedesco, direttore della Banca austro-italiana, ed il terzo al signor Bicchi, suddito italiano e sarto in Firenze, perché venissero esaminati, e si vedesse quando erano stati registrati. Il cancelliere, cui venivano offerti i brevetti, aveva appena gettati gli occhi sopra di essi, che, accortosi come fossero stati falsificati, dichiaravali per tali, e più non volle restituirli.
Di questo fatto non tardarono a farsi sentire le conseguenze. Due individui venivano arrestati, cioè Luigi Danesi, d'anni 25, nato a Pisa e dimorante in Roma, perché applicato al Ministero della pubblica istruzione, e Franchelucci Domenico, d'anni 43, nato in Pesaro e domiciliato in Firenze, colpiti dalla grave imputazione di truffa con falso in documento pubblico. La truffa appariva da ciò, che quelli da cui erano stati acquistati i tre diplomi avevano sborsato 4.000 lire.
Questo processo doveva essere trattato nel mese di novembre, ma fu poi rinviato, perché erano state trascurate alcune formalità richieste dalla legge. Il 10 di dicembre però Danesi e Franchelucci comparivano innanzi alle Assise per rispondere del reato loro ascritto.
Formato il giurì, il cancelliere dava lettura dell'atto d'accusa, in cui veniva narrato come avesse origine la falsificazione dei tre brevetti e la truffa delle 4.000 lire.
Si introducono i testimoni nella sala. Essi sono 25, dei quali 7 a carico e 18 a discarico. La maggior parte dei testimoni appartiene ad una condizione elevata, e fra gli altri si contano i commendatori Cantoni e Rezasco.
Si viene all'interrogatorio degli imputati. Per il primo è interrogato il Franchelucci, il quale, con voce sicura ed una certa eloquenza di esposizione, parla nientemeno che per un'ora ed un quarto, facendo una accuratissima esposizione dei fatti per cui è chiamato a rispondere innanzi alle Assise. E non poteva esser di meno, dal momento che il Franchelucci, interrogato sulle sue generali, aveva risposto che aveva la professione di professore di filosofia razionale!
II Franchelucci, per difendersi, cercò di gettare tutto il torto addosso al Danesi. Allora sorse l'avvocato del Danesi, e domandò di conoscere la vita del Franchelucci, "il quale, disse, ha fatto tanto sfoggio di onestà". E questi la espose egli stesso nei termini seguenti:
Franchelucci. Io nacqui in Pesaro. Leggendo, a 15 anni, i Promessi Sposi del Manzoni, m'innamorai della figura del Padre Cristoforo, e sentii il bisogno di farmi frate. (Ilarità) Fui cappuccino, fui maestro, e venni a Roma ad insegnare teologia fra i canonici lateranensi. Nel 1859, io, sentendo del patriottismo volli prender parte alle battaglie della indipendenza. Seppi poi della pace di Villafranca, e andai a Torino senza prender parte alla guerra. A Torino studiai le persecuzioni dei Valdesi, andai nelle valli di Pinerolo, e in casa del Pastore valdese stetti cinque mesi a studiar la teologia protestante. Dal ministro Mamiani fui nominato maestro al Collegio del Carmine di Torino. Poi fui mandato cappellano militare a Firenze e Perugia. Chiesi di tornare a Roma, e ottenni il permesso di tornarvi come ecclesiastico. Io teneva condotta molto riservata, ma caddi in sospetto al Governo pontificio per le mie opinioni dommatiche (sic). Subii una perquisizione, e allora tornai nel Regno d'Italia. Fui nominato professore prima a Chiaravalle e poi a Loreto. A Loreto non mi trovai bene, e tornai a Firenze, dove conobbi il signor Antonio Corti, che mi offerse di assumere l'istruzione dei suoi figli. Io restai fino al novembre 1867 in casa Corti con 2.000 lire all'anno.
Presidente. Avevate altre risorse?
Franchelucci. Ne avevo altre, facevo ripetizioni, lezioni, ecc. Ero inoltre ministro della Chiesa anglicana, che aveva la sua cappella in via dei Servi, numero 30, a Firenze. Mi si davano lire 120 al mese. Stetti circa tre mesi. A Firenze presi moglie. Mi sono sposato davanti al sindaco di Firenze. Il conte Marescotti di Roma fu testimonio.
Avvocato Lopez. Come giustifica il Franchelucci la somma di quasi 2.000 lire che si trovò in casa sua?
Franchelucci. Io potei fare delle economie, giacché sono stato sempre massaio, sempre economo, non ebbi vizi di sorta. Forse avrò sacrificato troppo alla vaga Venere! (Risa). Per questo presi moglie. La natura si è vendicata del Concilio di Trento. (Ilarità)".
Da questa edificante autobiografia possono i lettori conoscere l'uomo, e i posteri giudicheranno il Governo che lo protesse contro la tirannide di Roma.
Il processo occupò cinque udienze della Corte di Assiste di Roma, cioè quelle del 6, del 7, del 9, del 10 e dell'11 dicembre. Nella prima si udirono le deposizioni degli imputati e quelle del signor commendatore Rayna e della signora Viano, vedova Maestri, parte civile. Il Rayna e la Viano formavano una specie di agenzia di decorazioni, e, fidandosi dell'influenza del Danesi, avevano sborsate lire 4.000 per ottenere i diplomi di cavalieri della Corona d'Italia ai signori Cottur, Bicchi e Mayer.
Nella seconda udienza, che fu quella del 7 dicembre, la signora Viano, vedova Maestri, ed il signor Rayna confermarono le particolarità della truffa delle 4.000 lire e dei brevetti falsi, narrando tutte le circostanze che accompagnarono i fatti. Il commendatore Arghinenti, capo-divisione al Magistero dell'Ordine della Corona d'Italia, narra come gli fossero presentati i diplomi di cavaliere perché se ne verificasse la registrazione, e che avendoli riconosciuti per falsi, non volle più restituirli, ma chiese al Franchelucci quando e da chi li avesse avuti. Questi rispose che gli erano stati consegnati nella mattina stessa, ma che non avrebbe detto il nome di chi glieli aveva consegnati, se non innanzi all'autorità. Il Franchelucci poi si sarebbe fatto consegnare una ricevuta per suo discarico.
Il teste ammise che potessero esistere altri brevetti già firmati senza che il Magistero dell'Ordine potesse averne cognizione; ma, quanto a quelli che furono a lui presentati dal Franchelucci, nulla poteva verificarsi, perché ne era stato cancellato il numero d'ordine.
È quindi introdotto il commendatore Rezasco. Egli offre alcuni schiarimenti sopra lo stipendio che aveva il Danesi, e aggiunge che questi poteva benissimo mettere le mani sopra dei diplomi; essendovene anche in giornata nel Gabinetto.
Pubblico Ministero, difesa ed imputati sollevano qui una tempesta di domande, in seguito alle quali il Danesi asserisce che nei decreti reali di nomina vi era una spazio bianco, in cui, per la comodità di sottoporli alla Orma di Sua Maestà, si scrivevano parecchi nomi di seguito, ed aggiunge che deve con suo dispiacere constatare come alcune volte il ministro vi aggiungesse dei nomi prima che i decreti stessi fossero registrati al Magistero. Altre volte poi il ministro avrebbe ritenuto dei decreti già firmati da Sua Maestà, non dando loro seguito. Queste dichiarazioni sollevano una specie di battaglia; il presidente ed il commendatore Rezasco in special modo contestano il fatto al Danesi. Il commendatore Rezasco depone però che aveva del Danesi buonissima opinione.
Altra importante deposizione fu quella del cavaliere Rinaldo De Sterlich, segretario al Ministero di grazia e giustizia. Egli, tra le altre cose, depone che il Danesi a Roma non aveva speso alcun denaro in vestiario, e che a Firenze praticava la più ragguardevole società ed aveva l'accesso libero a parecchi teatri siccome giornalista.
Poco dopo, il rappresentante del Pubblico Ministero, cavaliere Galletti, chiede la parola, e racconta come, subito dopo il rinvio di questa causa, che ebbe luogo circa un mese fa, giungesse una lettera all'indirizzo del signor Danesi. La busta portava l'indicazione di Firenze, presso il Ministero della pubblica istruzione, ma poi si era sostituito l'indirizzo delle Carceri Nuove. Secondo le prescrizioni carcerarie, la lettera fu aperta, e vi si rinvenne un biglietto di visita, su cui stava scritto il nome di Auguste Masswieux, e sotto il nome queste parole scritte in lingua francese: "Ho ricevuto il vostro biglietto segreto. Accetto. Non dite niente sul mio conto. Avrete le diecimila". Un biglietto così misterioso suscitò i sospetti dell'autorità, che cercò spiegarne il senso, e a tal proposito interpellò anche il Danesi ed il Franchelucci perché fornissero una spiegazione. Ma i due imputati persistettero nell'asserire che mai non avevano conosciuto il Masswieux, e che quel biglietto riusciva incomprensibile anche a loro.
Durante la stessa udienza giunse la relazione telegrafica del ministro italiano a Bruxelles, e si rilevò che il Masswieux è un mercante di vino, sopravvegliato dalla polizia, perché sapevasi aver egli acquistato a Parigi una falsa decorazione da certo Bastelli Foscolo, che fu ora processato e condannato a Parigi siccome negoziante o spacciatore di falsi diplomi. Gli imputati però persistono asserendo di non conoscere il Masswieux.
Nelle udienze del 9 e 10 dicembre si udirono la requisitoria del Pubblico Ministero e le arringhe degli avvocati difensori; l'11 ebbe luogo il verdetto dei giurati e la sentenza della Corte, per cui fu assolto il Danesi, e il Franchelucci, in cui vantaggio furono ammesse le circostanze attenuanti, venne condannato a tre anni di reclusione.
Un avvocato romano rigenerato racconta le principali breccie fatte nel tesoro pubblico nei primi otto mesi del 1872.
Nell'ottobre del 1872, prima che i deputati tornassero a radunarsi in Roma, veniva alla luce in quella città un libro dell'avvocato Luigi Dubino, intitolato: Storia di un biennio - Considerazioni sui primi due anni del Governo italiano in Roma, dove a pagina 100 e seguenti si tesse un elenco di trenta furti nel pubblico tesoro che abbiamo avuto in soli otto mesi dell'anno 1872. È un bellissimo inno in onore dell'ordine morale ristabilito.
Un assessore municipale di Bologna si appropria in gennaio [di] 35.000 lire della cassa comunale. In febbraio avviene a Vicenza un furto nel Monte di pietà; un altro simile a Treviso. Il segretario del Consiglio provinciale di Benevento ruba dalla cassa del Consiglio lire 70.000, ed il magazziniere delle privative di Menaggio (Lombardia), lire 40.000 ricavate dalla vendita del sale.
In marzo scompare in Firenze il capo di divisione dell'Amministrazione del Demanio, dopo una prevaricazione commessa nel suo ufficio. Un ufficiale superiore di marina, della squadra navale stazionata in America, fugge, portando via lire 160 mila. Un altro impiegato della Direzione generale del Debito pubblico a Firenze sottrae oltre 27.000 lire di rendita di quell'Amministrazione; ed un impiegato secondario del Monte di pietà in Roma dà i polizzini in bianco di quello stabilimento per far pegni fittizi e lucrare, rivendendoli.
Si arresta in aprile il segretario capo di un Municipio piemontese per indebita appropriazione di circa cinquanta mila lire, e l'esattore di Modica (Sicilia) per un vuoto nella sua cassa; ed il Consiglio comunale di Racconigi, costrettovi da dolorose circostanze, vota un'inchiesta sulla contabilità del Municipio.
Siamo in maggio, e l'esattore di Borgotaro (Parma) fugge con 50.000 lire; si arresta in Napoli un ufficiale della Posta, che sottraeva le lettere per rubarne i valori; alcuni impiegati del macinato in Roma si annettono 28 mila lire; l'esattore di uno dei Comuni di Lomellina scompare con 80.000 lire; e si spicca mandato d'arresto contro alcuni impiegati del lotto di Torino, accusati di grandi malversazioni.
Il mese di giugno è fecondo egualmente di simili fatti. La Presidenza della Camera elettiva fa girare un processo per sottrazione furtiva ed uso fraudolento di biglietti di ferrovia appartenenti ai deputati. Si arresta il commissario distrettuale di Canneto (Mantova), per crimine di prevaricazione. Un impiegato della tesoreria di Napoli, incaricato di versare 30.000 lire all'Intendenza militare, ne dà sole 80 e intasca il resto. E si mette in prigione nella capitale morale d'Italia (Milano) un impiegato siccome reo di falsificazione di documenti ed alterazione di cifre sulle bollette della Dogana.
Nel luglio scompare l'esattore di Vallo (Salerno), lasciando un vuoto di cassa di lire 146.000. Più tardi si scopre un altro vuoto di lire 80.000. Nella Dogana di Napoli si trovano tante bollette false della tassa del macinato per lire 46.000. A Palermo si arresta un cotale che falsificò i biglietti del lotto, appropriandosi un'ingente somma per una pretesa vincita. A Torino nella cancelleria della Cassazione si scopre un vuoto di lire . A Roma un impiegato del Ministero della pubblica istruzione accorda croci e diplomi falsi da cavaliere.
Nuovamente in Torino si scoprono. abusi nella cancelleria del Tribunale civile e correzionale. Un cancelliere di Firenze si appropria [di] lire 12.000, e quella Corte d'assise condanna un avvocato per falsificazione di pubblici documenti.
Viene il mese di agosto, e si arresta un consigliere municipale di Milano perché, essendo sindaco in un altro paese, arraffò lire 450.000; e nella stessa città un impiegato alla Direzione delle poste sottrae un pacco di valori governativi ascendenti alla somma di mezzo milione.
Dopo di ciò, negate che il Consiglio dei ministri in Roma non avesse ragione d'occuparsi a quei dì esclusivamente della legge che deve sopprimere le Corporazioni religiose nella capitale del mondo cattolico!
Difatti, appena i deputati si radunarono, due statistiche vennero loro presentate dal ministro Lanza: la statistica degli Ordini religiosi e la statistica dei furfanti, ossia il numero di coloro che pregano Iddio, e il numero degli scellerati che spogliano il prossimo. Dalla prima statistica risulta che nella città di Roma sono 2.375 religiosi e 2.183 religiose. Dalla seconda statistica invece apparisce che in Italia nei nove mesi del 1872 abbiamo avuto 52.266 furti, cioè 2.179 di più che nei primi nove mesi del 1871. E quantunque vivano già nelle nostre prigioni 76.536 malandrini, al 1 novembre se ne dovevano ancora arrestare 82.249!Il ministro Lanza, come Ponzio Filato, si presentava alla Camera colle due statistiche in mano: colla statistica dei seguaci di Cristo, e colla statistica dei seguaci di Barabba, e domandava agli onorevoli: - Chi volete che io lasci in libertà? Coloro che a Roma vivono nei conventi e nei monasteri, seguitando i consigli evangelici, o quegli altri che svaligiano le case e spogliano i viandanti, ed attentano alle sostanze ed alla vita de" cittadini?
È cosa incredibile, ma vera! I deputati risposero col fatto: occupiamoci prima della soppressione dei frati e delle monache, e non pensiamo per ora ai ladri ed agli assassini. La nuova Italia teme più gli Ordini religiosi che le associazioni dei birbanti. Non hunc, sed
Barabbam, gridarono i rivoltosi. La libertà a Barabba e la croce ai discepoli di Gesù Cristo! Nei primi nove mesi del 1872 vennero commessi nella provincia di Roma duemila duecento diciannove furti. [...]
Della liberazione di Gasbarone dopo il rientro del Governo italiano in Roma.
Libero Gasbarone in libera Roma!
Leggevasi nel Tribuno di Roma, n. 212 dei 5 di agosto, la seguente notizia: "Le ovazioni a Gasbarone da parte della nostra plebe proseguono, e naturalmente producono una giusta nausea nel pubblico benpensante. La questura farebbe bene ad occuparsi un tantino per farle cessare, essendo al certo uno spettacolo rivoltante il vedere quella specie di omaggio reso ad uomini che si sono macchiati di tanti delitti".
Chi è quest'onorevole Gasbarone a cui la plebe applaude, ed i cui applausi fanno stomaco al Tribuno? Aprite gli Annali d'Italia del Coppi all'anno 1825, e al numero 12 troverete il suo nome e le sue gesta. Le insurrezioni, come ben osserva il Coppi, lasciano sempre bande di assassini, e l'invasione francese lascia pure per anni parecchi questa eredità alle provincie più prossime a Roma. Molte bande di briganti si formarono in quelle contrade, che rubavano, assassinavano, commettevano ogni maniera di delitti. Celebri restarono perciò nelle provincie napoletane i nomi di Furia e di Vandarelli, e nelle provincie romane quelli di De Cesaris e di Gasparone, o, come altri dicono, Gasbarone.
Dopo d'essere stati uccisi o giustiziati molti di questi briganti, nel 1835 s'erano ridotti ad una banda di venti individui. I quali, trovandosi presso Sonnino nella provincia di Campagna, furono circondati dalle forze pontificie e napoletane, e, invocata la grazia della vita, quindici si arresero a discrezione del Governo pontificio, e gli altri cinque alle forze napoletane. Il 21 di settembre del 1825 i quindici venivano rinchiusi nella darsena di Civitavecchia, e poi nella fortezza di Civita Castellana.
Nell'agosto del 1871 non erano più che sette. Il capo della banda, Gasbarone Antonio del fu Giuseppe, che conta 77 anni; Masi Pietro del fu Francesco, d'anni 70, ch'era letterato, segretario di Gasbarone e ne scrisse la vita; Leoni Alessandro del fu Domenico, d'anni 72; Fallora Domenico del fu Giovanni, d'anni 70; Ciccone Filippo del fu Tommaso, d'anni 72; Nardoni Francesco del fu Michele, d'anni 67; Cipolla Pietro del fu Francesco, di anni 69.
Il Governo italiano, considerando che contro questi briganti "non si era proceduto in virtù di regolare sentenza" e che non furono condannati alla galera con tutte le necessario garanzie, mancando in ispecie quella dei giurati; considerando inoltre che "il tempo decorso, di circa 46 anni, ha indotto la prescrizione legale contro qualunque azione penale", volendo ristabilire l'ordine morale, ha lasciato in libertà i sette briganti. E il Gasbarone, che ne fu l'eroe, passeggiò per le vie di Roma, riscuotendo dalla plebe strepitosi applausi.
Le opere di Gasbarone erano politiche; e fin dal 1822, o in quel torno, cominciava la guerra contro il cardinale Antonelli sequestrandone il padre, e pretendendo duecento scudi romani per metterlo in libertà. Ed anche per un altro verso furono politiche le opere del Gasbarone, e potentemente servirono al risorgimento d'Italia.
Imperocché tutti gli argomenti arrecati dai diplomatici e dai giornalisti contro il Papa-Re si riducevano sempre al brigantaggio. Di briganti nello Stato pontificio parlava lord Clarendon nel Congresso di Parigi, e toccava lo stesso punto il Conte di Cavour, e poi il Times e la Gazzetta Ufficiale Piemontese. Che se il Gasbarone non fosse esistito, quante pagine contro il Papa-Re si sarebbero tralasciate di scrivere!
Migliaia e migliaia di volte la Gazzetta del Popolo invocava il nome e l'autorità del Gasbarone al fine di far l'Italia, e quando l'Italia fu fatta si dovette necessariamente pensare a lui ed ai suoi, e liberarli. Liberi cittadini, ora riscuotono gli applausi di Roma liberata. Ed abbiamo la vera formula nel nostro grande risorgimento: Libero Gasbarone in libera Roma.
Per la liberazione di Gasbarone fu composto e pubblicato il seguente sonetto:
Scultore, un monumento! ecco il modello:
Nuovo eroe dèi ritrarre in un vegliardo;
Merta l'onor di nobile scalpello,
Ma se già fosse sembrerebbe tardo.Abbia lunga la barba, ed il cappello
Acuminato, della tigre il guardo,
Gli penda dalla cintola il coltello,
Stringa la destra l'italo stendardo.Cogitabondo la sinistra mano
Riposi sul terribile trombone,
Spavento un di dei monti e insiem del piano.
Nel piedistallo poi questa iscrizione:
Nel secol del moral progresso umano
Riconoscente Italia a Gasparone.
Indice di altri furti commessi nel 2. semestre del 1871.
E si continuò a rubare. Se io volessi dirvi per singola degli altri furti, non ne verrei a capo sì presto, annoiando voi e me. Vi darò l'indice del secondo semestre 1871, e voi andrete a consultare i numeri dell'Unità Cattolica che cito.
Brigantaggio sul Bolognese (164), brigantaggio marittimo a Napoli (165), brigantaggio a Milano (166). Omicidi a Roma (151, 164.170). Furto di 50.000 lire commesso da un sotto-commissario di guerra (171). Brigantaggio a Bologna e Velletri (186, 192). Brigantaggio in Sardegna (194). Lettera minatoria d'un figlio al padre (187). Un nuovo Troppman in Italia (195). Furto nella biblioteca di Firenze (181, 182). Fucilate contro il principe Torlonia (225). Turbe di ladri in Piemonte (205).
Brigantaggio nelle Calabrie (234). Brigantaggio in Sicilia (236,238). Cento assassini in una settimana (241). Orrori a Novi Ligure (246).
I misteri della polizia italiana nel 1871 (N. 247). Ladri a Chieti (236). Furto ingente a Prato (242); item a Torino (253); item a Saluzzo (249).
Continua il brigantaggio in Sicilia (256), nelle Calabrie (260), nelle Romagne (266). Assassini in Iesi (255), a Torino e Susa (256), a Palermo (258), a Imola (266), a Genova (261), a Pallanza (275). a Ravenna (278), con accompagnamento di fuga di galeotti (263).
Furto di cartelle del Debito pubblico (255). Cancellieri di tribunali ladri (356). Furto al Monte di pietà a Palermo (264). Bazzecole sparite al Palazzo Vecchio di Firenze (270, 271 ).
Assassini a Civitavecchia (279), a Roma (301, 302), a Ravenna, nelle Marche ed a Milano (302, 303). Furto al deputato Minghetti a Roma (284), furto in tribunale (293).
Forse il lettore si sarà annoiato leggendo questo indice, ed io voglio sollevarlo dalla sua noia ristampando dall'Unità Cattolica la notizia del Gran furto in Roma al deputato e diplomatico Marco Minghetti.
Vae qui praedaris, nonne et ipse praedaberis ?..... Cum consummaveris depraedationem, depraedaberis. (Isaia, cap. XXXIII, vers. 1)
Le nostre corrispondenze e i giornali di Roma del 5 dicembre 1871 ci parlano di un gran furto commesso a danno del deputato Marco Minghetti, il quale comincia a confessare che l'ordine morale non venne ancora del tutto ristabilito in Roma! Il Minghetti fu sulle rive del Tevere quando comandava il Papa, e non ebbe mai a lasciarci la borsa né l'oriuolo; invece oggidì egli raccoglie nell'Eterna Città le primizie della rigenerazione e dell'era nuova. Povero Marco! Cominciamo a stampare ciò che ci scrive il nostro corrispondente:
"Roma, 4 dicembre 1871.
Ieri sera, verso la mezzanotte, è stato aggredito il commendatore Minghetti dalla parte di piazza Traiana. Fu derubato di tutto ciò che aveva. Il fatto ha prodotto una viva impressione nella Camera, e si parla di interpellanze sulla sicurezza pubblica a Roma. Ora che si è toccato un pezzo grosso, vedrete che si farà qualche cosa. Se non che la sicurezza pubblica ha da sudare, essendo qui caduta tutta la feccia d'Italia. Quale rimedio contro questa immensa feccia?"
Anche i giornali di Roma parlano del caso avvenuto al Minghetti. L'Opinione accenna il fatto, e ci scivola sopra. Invece la Riforma si estende un po' di più, e la Nuova Roma ne discorre ex-professo, essendo proprio cose..... della nuova Roma. Ecco l'articolo della Nuova Roma, n. 324, del 5 dicembre:
"Era un'ora dopo la mezzanotte scorsa, e l'onorevole Minghetti, avviluppato nel suo paletot, in guanti e cravatta bianca, passava per piazza Traiana. Egli veniva dalla casa ove abita la principessa Bariatinski, ove aveva passata la sera in nobile compagnia; giunto, come abbiamo detto, sulla classica piazza, tre individui, nascosti forse dietro ad un canto di via, gli si pararono innanzi, e senza alcuna cerimonia, e facendo anzi luccicare agli sguardi dell'uomo di Stato una lama aguzza, gli chiesero orologio e portafogli.
Erano tre, erano armati, non avevano tempo di discutere una transazione, la piazza era deserta, le guardie di pubblica sicurezza come i carabiniers dei brigands vagavano per altre vie... L'onorevole Minghetti consegnava ai tre malandrini l'orologio colla rispettiva catena e il portafogli contenente più di mezzo migliaio di lire. Non sappiamo se gli sconosciuti grassatori saranno venuti a conoscenza della persona che assalirono e derubarono; non sappiamo se rubare ad un ex-ministro delle finanze costituisca una squalifica alla grassazione. Si sta ora preparando il nuovo Codice penale, che al capitolo delle grassazioni conterrà, a quanto si dice, modificazioni gravissime: l'onorevole Minghetti non sarà tra gli ultimi a sostenerne il bisogno”.