L'Astrolabio n. 2-1975
Dibattito sul saggio di Sylos Labini
Stratificazione sociale e omogeneità di classe
di Carlo Vallauri *
L'analisi condotta sulla base della ripartizione per grandi aggregati (borghesia, classi medie, classe operaia), con una serie di distinzioni interne (proprietari, imprenditori e dirigenti; piccola borghesia degli impiegati privati, pubblici e degli insegnanti; piccola borghesia relativamente autonoma: coltivatori diretti, fittavoli, artigiani, commercianti; categorie particolari, operai addetti rispettivamente all'agricoltura, all'industria, all'edilizia, al commercio, ai trasporti e ai servizi, nonché domestici) parte dal 1881 e, attraverso i censimenti del 1901, del 1921, del 1936, del 1951, del 1961 e del 1971, registra le modifiche intervenute nelle tre grandi zone del paese (nord, centro, sud), fornendo utili confronti internazionali (con i paesi industrialmente avanzati, anche se a differenti regimi di proprietà, e con paesi sottosviluppati) e riporta più dettagliati esami per quanto concerne i dati italiani del 1971.
L'autore compie la ricerca tenendo conto dei modi di afflusso dei redditi (rendite, profitti, redditi misti, stipendi, salari) e uficializza - con opportune ed attente rielaborazioni - le categorie risultanti dai censimenti. L'osservazione da alcune parti avanzata, secondo cui l'analisi è impostata sulla distribuzione del reddito anziché sulla distribuzione relativa alla sussistenza o meno nei singoli della proprietà privata dei mezzi di produzione, è già superata nell'esposizione di Sylos Labini, quando premette che “in una società come quella italiana la distribuzione del reddito oggi dipende, congiuntamente, dalla proprietà privata dei mezzi di produzione, dal controllo politico ed amministrativo del processo di accumulazione e dai diversi gradi di istruzione e di qualificazione di coloro che lavorano”.
Sia per queste che per altre variazioni possiamo osservare come i mutamenti intervenuti tra periodo fascista e primo periodo post-fascista non siano di grande entità mentre più significativi appaiono i mutamenti negli anni sessanta: conferma questa della tesi di una continuità di strutture sociali tra gli anni quaranta e cinquanta, non interrotta dalle terribili esperienze della guerra e dell'occupazione straniera, e invece di un avvio a modifiche di fondo negli anni sessanta per effetto dei processi di industrializzazione e delle conseguenti migrazioni interne, non solo di territorio, ma di attività.
Gli effetti di un evento non si producono immediatamente, e come le nuove dislocazioni degli apparati produttivi determinano conseguenze a distanza di tempo, così la socializzazione scolare in atto nel nostro paese non ha sinora apportato modifiche apprezzabili (anche se, come rileva l'A., il semianalfabetismo è sceso dal 90 al 70%). Poiché non è stata (né nel periodo centrista né durante il centro-sinistra) programmata la utilizzazione dell'impiego degli studi la facilità d'accesso ai diplomi ed alle lauree ha prodotto soltanto una preoccupante disoccupazione intellettuale (di cui l'esplosione di Reggio Calabria è il sintomo più noto).
Gli spostamenti all'interno delle “classi” - usiamo questo termine nell'accezione che ne fa Sylos Labini - rivelano una serie di modifiche che, alterando la stratificazione sociale del paese, determinano una diversa distribuzione dell'incidenza delle rispettive componenti.
L'ingresso della donna nel processo produttivo dei settori secondario e terziario - e che ha contribuito a modifiche nel sistema familiare e nel costume - non traspare in tutta evidenza per il contemporaneo esodo della donna dal lavoro nel settore primario. Ecco però già qui emergere come sia indispensabile una “lettura” dei dati che tenga conto delle diversità intervenute nei rapporti tra lavoratore (o lavoratrice) e strumento di produzione, giacché il passaggio da un settore all'altro provoca un “salto” qualitativo che le quantità numeriche non sono in grado di indicare, un salto che ha conseguenze rilevanti sul piano economico, sociale e psicologico.
Elemento di massimo rilievo è poi il trasferimento dei salariati in genere dall'agricoltura ad attività extra-agricole: qui non solo si ha un mutamento di settore, ma una diversa posizione sociale con il passaggio dall'ambiente rurale ad un contesto urbano o sub-urbano.
All'isolamento del bracciante - che trovava nelle leghe lo sbocco politico anche se continuava a subire le influenze tradizionali nelle abitudini di vita e nei valori - si sostituisce l'aggregazione nella metropoli, in una sorta di oscuro destino che fa sentire con maggiore vigore l'urgenza di quelle infrastrutture civili che mancano. Ma - osserviamo - se al lento rincorrersi delle stagioni succede il ritmo ossessivo delle fabbriche (i guai della pendolarità, della lunghezza del tragitto tra casa e luogo di lavoro, dell'insufficienza delle abitazioni e delle attrezzature igieniche non rappresentano una novità per troppi lavoratori), comincia anche a nascere il senso della partecipazione ad un comune “status”, la classe in senso oggettivo si fa classe anche in senso soggettivo.
Ha scritto G. Amendola (“Critica marxista” 1973, n. 4) che negli anni sessanta la classe operaia in Italia ha aumentato la sua forza contrattuale, e non il suo peso politico. Il problema di come accrescere il peso politica appartiene alla tematica di fondo dei partiti e dei movimenti della sinistra, storica o no.
A questo punto s'inserisce il discorso sulle altre componenti della classe lavoratrice. Sylos Labini si è soffermato a lungo sui caratteri delle classi medie, di cui ha sottolineato la già accennata prevalenza dell'elemento impiegatizio e commerciale, ma anche l'aspetto parassitario di una sua parte cospicua. A questo proposito se sono in qualche modo collegati con l'attività produttrice, con i costi e i prezzi, gli stipendi degli impiegati che operano in imprese o aziende pubbliche o private che producono merci nel mercato aperto, non esiste - ci domandiamo - qualche forma di collegamento tra l'attività degli impiegati che operano in un (catastrofico ma reale pur nella sua negatività) sistema “assistenziale”, in uno Stato interventista (anche se in forme distorte a vantaggio di pochi) nell'economia e l'organizzazione produttiva? Cioè l'attività di questi impiegati è di per sé improduttiva o non è improduttiva per il modo in cui è esercitata? E questo “modo” dipende da una volontà negativa, dalla pigrizia, dalla superficialità, dalla corruttibilità dei “colletti bianchi” o non dalla volontà positiva delle forze dominanti di mantenere inalterate le strutture amministrative, fatiscenti, con una arcaica legge sulla contabilità di stato (sulla quale proprio Sylos Labini ha posto giustamente l'accento) incapace a far “procedere” le spese decise dal Parlamento e stanziate in bilancio?
Proprio Sylos Labini, in un dibattito al congresso internazionale di sociologia a Roma (1969), rispondendo a Sweezy, ebbe a rilevare, sulla scorta di Adamo Smith, che come la superiorità del sistema borghese su quello aristocratico-feudale risultava dalla sua maggiore capacità razionalizzatrice (investimenti e non consumi) così spetta ai nuovi sistemi economici dimostrare oggi la loro superiore razionalità (nella possibilità di distribuire i beni a tutti i popoli anziché di favorire gli “sprechi”).
Ebbene: la “grande borghesia” tutto ha fatto nel nostro paese fuorché cercare di razionalizzare il sistema burocratico, e non ha interesse a farlo perché così come esso è oggi, questo sistema serve egregiamente (i modi di attuazione della politica degli incentivi ne sono la dimostrazione); i contrasti interni tra i diversi settori della grande borghesia possono portare alla penalizzazione di un settore (es. elettrico) ma ai fini di un più sicuro dominio degli altri settori (il recente libro di Scalfari e Turani suggerisce al riguardo utili acquisizioni).
Viene così a determinarsi una corsa a godere i vantaggi acquisiti, che rende impossibile il concretarsi di quel blocco tra occupati e disoccupati, tra interessi offesi del Sud e interessi distorti del Nord, che Salvemini, maestro comune, ha insegnato a considerare, sin dall'inizio del secolo, come alleanza alternativa da contrapporre alla rete degli interessi protetti.
Proprio Amendola, nello scritto sopra ricordato, lamentava la non avvenuta saldatura tra operai e contadini, tra occupati (privilegiati) e sottoccupati. Ma perché da questa alleanza “storica” (non “compromesso”, che è un'altra cosa) debbono essere esclusi i ceti medi?
Sylos Labini afferma che “caduta la previsione del Manifesto circa la progressiva scomparsa della classe media, non è più sostenibile la tesi del bipolarismo classista, sia pure solo tendenziale”.
E la stessa contestazione - verso la quale Sylos Labini non risparmia critiche, che sono giuste se rivolte agli esempi degenerativi indicati ma che sono parziali se ritengono di esaurire la complessità del fenomeno - che cosa è stata se non la consapevolezza dei figli dei borghesi, dei ceti medi che la condizione di “privilegio” dei padri è “antieconomica”, cioè “irrazionale” ancor prima che ingiusta?
Dalla diversità della stratificazione sociale Sylos trae una proposta di riforme basata sulla capacità della classe operaia produttiva di intervenire nel “tiro alla fune” per dare uno strappo capace di allentare la presa dei gruppi più retrivi della borghesia; e perché questo strappo sia consistente si sollecita l'alleanza con i gruppi più robusti e relativamente più omogenei della piccola borghesia.
L'autore denuncia soprattutto la borghesia “finanziaria e speculativa” e annette a questa anche l' “alta borghesia burocratica” nonché le frazioni della borghesia che all'interno degli stessi partiti di sinistra operano come gruppi clientelari rendendo più forte il peso del parassitismo.
Se costituisce errore di valutazione confondere in uno schematismo astratto le diverse componenti della borghesia, non è però neppure possibile separare la grande borghesia “finanziaria” e “mediatrice” dalla borghesia “industriale”, perché questa a quella è legata, nel nostro sistema. da un rapporto di funzionalità.
Non vorremmo allora che il fronte operaio dovesse limitarsi - in una visione illuministica - a contenere un “corretto” sviluppo dell'economia industriale “libera”, per ridurre alla ragione - alla ragione del “potere”, s'intende - il “sistema”.
L'emergere delle nuove classi medie non va interpretato, a nostro avviso, come l'affiorare di una “terza” classe, anche se la molteplicità degli “ibridi” di classe potrebbe far pensare all'utilità di una simile distinzione.
Fenomeni aberranti di spinte corporative e consumistiche all'interno di questa classe vanno denunciati e combattuti proprio perché essi contribuiscono al mantenimento di una apparente eterogeneità: quindi le tendenze che portano verso le parificazioni salariali costituiscono la controspinta che può ridare alla omogeneità obiettiva di fondo quella omogeneità soggettiva, senza la quale il legame di classe minaccia di snaturarsi in sviamenti integrazionistici. E le degenerazioni particolanstiche non possono essere confuse, pur nella denuncia rigorosa dei privilegi feudali con la tendenza di fondo ai fini di una analisi globale.
Carlo Vallauri