Lu trainére
Ma che cosa succedeva nel passato, e a Sammarco in particolare?
Quando non c'erano auto, camion e furgoni vari, il trasporto delle merci occorrenti al paese si basava esclusivamente sui carretti: li traine, oggi quasi scomparsi. Non se ne vedono più in giro.
Il mestiere del carrettiere non si improvvisava. Difficilmente si trattava di una scelta soggettiva. A Sammarco c'erano delle famiglie che si tramandavano il mestiere di padre in figlio e ciò era possibile perché queste famiglie si erano create tutte le strutture necessarie per esercitare quel mestiere: case spaziose con la possibilità di ricavare la stalla per le bestie, ambiente per conservare la paglia, sacchi di avena, crusca, ecc. I locali erano muniti di capaci cisterne per raccogliere le acque piovane che servivano ad abbeverare i cavalli.
Il carrettiere viveva sempre sulle strade: o seduto sul carico che trasportava (spesso si addormentava al dondolio del carretto e dormendo guidava -così credeva- i cavalli, i quali conoscevano bene la strada da percorrere avendola fatta altre volte), oppure a piedi, a fianco dei suoi cavalli, e, quando si accorgeva che questi faticavano a tirare il carretto perché troppo carico di merce, si appoggiava a qualche sporgenza e spingeva per aiutarli.
Quando doveva fare un viaggio piuttosto lungo e faticoso, dalla sera avanti, le assisteva con più assiduità: paglia e avena più abbondanti. Per l'avena aveva un misurino con il quale dosava la razione. Questa operazione si ripeteva almeno tre volte nell'arco della notte. La mattina molto presto tirava fuori i cavalli e metteva addosso loro li uarnemente; dopo di ciò, a marcia indietro, spingeva lu temone tra le stanghe dove veniva legato al carro. Poi era la volta de lu valanzine, cioè la bestia che stava dilato legata ad un bilancino detto la velanciola. Il carrettiere saliva in mezzo e faceva schioccare la frusta per incitare le bestie a mettersi in cammino.
A San Severo si caricava farina e pasta, essendoci lo stabilimento che le produceva. A Foggia si caricavano tabacchi, tessuti, calzature, ecc.
Il carrettiere lavorava anche nelle cave di pietra per il trasporto di blocchi da costruzione e, soprattutto, di breccia da spargere sulle strade.
Sulle strade c'era lu cantoniere de la via nova (stradino), che pensava a spargere la breccia e accudiva alla strada perché non divenisse impraticabile. Su quel manto omogeneo di breccia era proprio difficile andare in bicicletta: povere gomme!
Lu trainere partiva con la carretta vuota per varie località della provincia, magari per Canosa a fare un carico di vino tonneche (nero e sostanzioso). Bene. Si sedeva sopra un sacco di paglia e spesso si addormentava, ben sapendo che i suoi cavalli non lo avrebbero portato fuori strada. Quando invece era carico si sedeva sulla strettora anteriore e qui dormire era meno facile, anche perché il carico andava tenuto sempre sotto controllo. Un qualsiasi incidente, anche il meno grave, avrebbe potuto provocare danni irreparabili.
Molti decenni addietro era pericoloso viaggiare con i carretti sulle strade per la semplice ragione che i cavalli o i muli non erano abituati a incrociare automobili e quando ciò si verificava non era raro assistere allo sbandamento pauroso del carro. Le bestie si impaurivano e a volte uscivano fuori strada con le conseguenze facilmente immaginabili. Proprio per questi motivi, molto spesso, si verificavano incidenti anche mortali sulle nostre strade.
I vecchi carrettieri si notavano da lontano per la caratteristica fascia rossa che portavano stretta alla vita e che fungeva anche da cinghia per tenere su i pantaloni.
A tirare il carretto ci andavano generalmente due cavalli, uno al centro, lu temone, l'altro di lato, lu valanzine che era legato con due cinghie a una velanciola. A volte di valanzine ne attaccavano due ai lati e questo avveniva quando il carico era superiore alla media.
Il carrettiere portava sempre con sé, sotto lu traine, un cagnolino che era sempre sveglio e attento a ogni evenienza: era una compagnia e un guardiano del carretto e del carico. Se i cavalli lungo il viaggio si fermavano senza un motivo, il cane abbaiava attorno ai cavalli come per spronarli ad andare avanti, oppure se si avvicinava un estraneo al carico non si dava pace finché non interveniva il padrone a tranquillizzarlo.
Quei lavoratori erano molto legati alle bestie e lo si poteva vedere anche stando lontano dal loro ambiente. Le governavano bene, le pulivano e le strigliavano con puntigliosità, ma è anche vero che non ci pensavano due volte se le dovevano prendere a frustate per incitarle a dare il più del possibile nello sforzo immane sulle salite della Torre o della valle di Stignano. Tuttavia, il carrettiere, pur nelle sue contraddizioni, voleva bene alle sue bestie e per questo non lesinava l'avena per tenerle sempre, in qualunque momento, in forma.
Ma l'attaccamento e il fanatismo dei carrettieri per i propri cavalli lo si notava anche dal buono stato di conservazione de li uarnemente (bardature) a cominciare dalle briglie, per finire ai sellini e ai tiranti. Tutto era ben in ordine e lucidato. I cavalli, strigliati e spazzolati, sembrava che si rendessero conto della pulizia cui erano fatti segno da parte del padrone e lo facevano notare con il loro andamento fiero e marziale.
Quando, in piedi sul carretto, spavaldo, faceva scattià la puntetta de lu scruiate era per lui il momento più esaltante perché tutti, specie le donne, dovevano sapere che passava lui e soltanto lui e non altri. E difatti le persone che se ne intendevano, in realtà, conoscevano il personaggio che passava soltanto dallo schioccare della frusta.
Il carrettiere sammarchese trasportava tutto ciò di cui il paese aveva bisogno e non si fermava nemmeno quando c'era la neve. Era un bravo lavoratore e si fermava solo in presenza di difficoltà insormontabili, altrimenti era sempre pronto a partire.
Quanto abbiamo descritto fin qui riguarda il carrettiere in quanto tale, vale a dire uno che lavorava per conto proprio e fuor di questo non faceva altro mestiere.
Poi, piano piano, come la ruota della storia, così anche quella del progresso tecnologico si sviluppava e andava inarrestabilmente avanti e con la comparsa dei veicoli a motore iniziò la fine del carrettiere.
Fece la sua comparsa l'autocarro e poi venne il trattore e tutti e due sostituirono la trazione per mezzo degli animali. Lentamente, ma continuamente, la meccanizzazione soppiantò una volta per tutte il carretto, l'aratro a trazione animale e tutto quanto riguardava il lavoro con le bestie: l'uomo divenne più libero e il lavoro più sopportabile. ll lavoro umano cambiò fisionomia e l'uomo, da queste parti, si sentì più emancipato e fuori dai legami traumatizzanti di un passato ormai lontano.
Poi le strade in terra battuta, con l'andare del tempo, vennero sostituite da quelle costruite a revela d'arte, vale a dire con regolare progetto e sotto diretto controllo dei tecnici, in modo razionale e, infine, con pavimentazione in catrame. L'asfalto, così, fece la sua comparsa, pe inte la Defensa, pe lu vosche e dappertutto, dovunque c'era l'uomo che prestava la sua opera. Solo dopo, e a queste condizioni, il carrettiere si arrese e attaccò al chiodo lu scruiate.
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