Domenica, 06 Settembre 2020 - 108.42 Kb - pdf - 9abe76f299ccebbf1dd02b993292cda9 - Ernesto Rossi, L'Astrolabio, Pagg.18-26, N. 18, 10 Ottobre 1964 e N. 19, Pagg. 18-26, 25 Ottobre 1964Meminisse juvabitI due volumi di Rossi lasciano, a chi legge, la bocca amara perché mostrano come erano imputridite le travi che, a mezzo secolo dalla proclamazione dell'unità italiana, reggevano l'edificio dello Stato liberale, e di quale materiale friabile erano costruiti i suoi muri, sotto l'intonaco verniciato con i colori del marmi più pregiati.La sparutissima schiera che, durante tutto il ventennio, ha continuato la lotta contro il regime, ripeteva spesso che il popolo italiano non si meritava di essere governato dalla masnada di briganti che si era impadronita del potere con la violenza, e presentava la dittatura come l'effetto di una infezione morbosa che avesse improvvisamente colpito il nostro corpo sociale: se fossimo riusciti a superare la malattia, avremmo potuto senz'altro riprendere il cammino, con passo sicuro, verso una maggiore giustizia ed una maggiore libertà, al fianco dei popoli più civili.Col senno del poi, in base all'esperienza fatta negli ultimi venti anni, dobbiamo oggi francamente riconoscere che le cose non stavano cosi: anche i due volumi di Repaci ci danno nuove prove che la dittatura fascista fu uno sbocco logico, naturale, di tutta la nostra storia: Mussolini poté fare quel che fece perché la nostra classe dirigente era quasi tutta composta di abilissimi manovrieri (Giolitti, Bonomi, Orlando, Salandra, De Nicola, Nitti, Facta, Baldesi e compagni), che non credevano più neppure nel pan grattato, e che cercavano solo di fregarsi a vicenda, trescando anche con Mussolini e con D'Annunzio, per soddisfare le loro meschine ambizioni di prestigio e di potere. E, purtroppo, la nostra classe dirigente era quello che era perché “la botte dà il vino che ha”.Se non vogliamo ricadere, entro breve termine, nell'obbrobrio della dittatura totalitaria, dobbiamo tener sempre presente la lezione della “marcia su Roma”; i pericoli non sono oggi minori di quelli che erano mezzo secolo fa e nessuno può seriamente affermare che la nostra attuale classe dirigente valga più di quella del 1922, né che le nostre istituzioni liberali abbiano messo radici più profonde nella coscienza popolare.