Ernesto Rossi, L'Astrolabio, n. 18, pagg. 31-33, 1 Maggio 1966
Un uomo libero
Rossi risponde a Ricciardetto
Io non mi posso permettere analoghi lussi, ed anche se lo potessi non lo farei, per non asfissiare i lettori dell'Astrolabio. Anzi confesso che sono stato molto incerto sulla convenienza di rispondere. Di quelle dodici colonne soltanto cinque riguardano Pio XII ed il dramma Il Vicario di Hochhuth; le altre sono sul suo caso personale. E sono convinto che le polemiche di carattere personale interessano poco o punto la grande maggioranza dei lettori. Ma, alla fine, ho risolto il problema - come faccio spesso quando sono incerto sul fare o il non fare - tirando per aria una monetina: è venuto “testa”; perciò rispondo; e, almeno per ora, cercherò di ridurre al minimo la polemica personale.
Hochhuth o Guerriero?
Guerriero aveva scritto sul Corriere che la grande trovata di Hochhuth era stata quella di attribuire al papa la colpa della guerra nazista:
“Sì, il Papa: perché se il Papa avesse scomunicato Hitler, il popolo tedesco avrebbe abbandonato il nazismo e tutto sarebbe tornato in ordine nel migliore dei modi possibile. E c'è gente che presta fede a simili idiozie.
Io avevo commentato:
“Simili idiozie non le ha mai scritte nessuna persona di buon senso: le ha scritte Guerriero.
Guerriero si è risentito citando cinque brani dalla traduzione italiana del Vicario, ed un brano di un articolo comparso sulla Civiltà Cattolica del 6 gennaio 1964, per dimostrare che quelle “idiozie” sono state proprio scritte da Hochhuth; ma - secondo me - nessuno di quei brani costituisce la minima prova in suo favore.
Riporto solo la prima citazione, che è la più breve:
“A pag. 214 e seguenti - Atto terzo, Scena II: “Gerstein (che esprime le opinioni dell'autore) al cardinale: - Eminenza, forse, per fermare Hitler, basterà che Sua Santità minacci privatamente e per iscritto di revocare il Concordato”.
Va notato che Ricciardetto - contando evidentemente sulla scarsa attenzione del comune lettore - ha escluso dalla sottolineatura la parola “forse”, e che Gerstein sta parlando di far cessare lo sterminio degli ebrei, non di mandare in pensione Hitler.
Ricciardetto mi consente di risparmiare lo spazio, non riportando le altre cinque citazioni, perché, dopo l'ultima citazione dalla Civiltà cattolica, ha scritto:
“Credo superfluo riportare altri testi per dimostrare che finora tutti coloro che si sono occupati del dramma di Hochhuth lo hanno interpretato come l'ho interpretato io.
E cioè hanno ritenuto che Hochhuth abbia sostenuto la tesi che, se il Papa avesse scomunicato Hitler o denunciato pubblicamente i delitti del nazismo, la persecuzione degli ebrei sarebbe cessata”.
E subito dopo aggiunge:
“Fin qui per dimostrare che “l'idiozia” non l'ho scritta io, ma l'ha scritta Hochhuth. E, con questo, chiudo per oggi il discorso su Pio XII”.
Capisco che un “fondista” del Corriere possa aver contratta l'abitudine professionale di rivoltare le frittate, ma, a gettar in alto con troppa disinvoltura una frittata, c'è da farla cadere per terra.
La tesi che Pio XII avrebbe potuto arrestare il massacro degli ebrei, minacciando il Führer di denunciare a tutto il mondo i suoi crimini (di cui era perfettamente informato) e magari cominciando anche a mettere in atto tale minaccia se il Führer non ne avesse tenuto alcun conto, non è affatto una “idiozia”: è una tesi opinabile. Oltre che da Hochhuth è stata sostenuta da molti storici seri, ed è suffragaia dalla considerazione di diversi fatti che hanno il loro peso: l'enorme somma che il Führer continuò a far corrispondere alla Chiesa come prezzo della sua collaborazione al regime nazista; la esistenza in Germania di 40 milioni di cattolici, alcuni milioni dei quali erano arruolati nella Wermacht (ed anche nelle SS); la viva preoccupazione di Hitler e di molti altri gerarchi nazisti che un urto frontale con la Santa Sede potesse portare ad una scomunica e alla denuncia del concordato; il completo successo della energica reazione della Chiesa all'ordine emanato da Hitler di sopprimere tutti i malati inguaribili, ecc. ecc.
Ma il punto centrale della questione, secondo me, non sta in questo: è che il papa non fece quello che, nella sua prima enciclica, aveva solennemente promesso di fare: testimoniare, a qualsiasi costo, la verità. E quel che ora a me importa mettere in evidenza è che la “idiozia” attribuita da Guerriero a Hochhuth, non era l'affermazione che l'intervento del papa avrebbe potuto arrestare le persecuzioni degli ebrei; era che il popolo tedesco, se il papa avesse scomunicato Hitler, “avrebbe abbandonato il nazismo e tutto sarebbe tornato in ordine nel migliore dei modi possibili”.
Una scossettina al braccio dell'imprudente friggitore e la frittata è caduta per terra.
Come scriveva un giornalista “libero”.
La “interpretazione autentica” di questi due brani mi pare batta tutti i records della “disinvoltura” ma, se Guerriero, invece di mettersi a scrivere sui giornali, fosse andato per le fiere ad imbrogliare i gonzi col gioco delle tre carte, non credo che avrebbe avuto altrettanto successo. Per riuscire, col gioco delle tre carte, bisogna essere molto più accorti.
In Guerra e dopoguerra manca la indicazione del giornale e la data in cui gli articoli furono per la prima volta pubblicati: era questa una cosa abbastanza strana, che avevo già notato leggendo il libro. Ora Ricciardetto scrive che gli articoli, dai quali ho ripreso i due brani, sono “l'uno di ventisette anni fa, l'altro di venticinque”. Perché non cita la fonte? Perché è così poco preciso?
La spiegazione si può forse trovare nel fatto che Ricciardetto ha voluto sostenere che l'accusa di vigliaccheria, da lui rivolta nel primo articolo a tutto il popolo americano (perché aveva condannato inglesi e francesi per la loro arrendevolezza alle sempre maggiori pretese del Führer, ma una volta dichiarata la guerra, era rimasto per un paio di anni con le braccia incrociate), era soltanto una “critica severissima per l'isolazionismo americano”. Evidentemente tale critica non poteva essere in linea con la politica di Hitler e di Mussolini, perché “l'interesse supremo dell'Asse allora era che l'America rimanesse neutrale”. Per scrivere in modo rispondente a quell'interesse, Ricciardetto avrebbe dovuto scrivere proprio il contrario di come scrisse.
“Non avrei mai pensato che condannare la neutralità dell'America – osserva, con falso candore, Ricciardetto - significasse allinearsi alla politica dell'Asse”.
Col secondo brano (che sarebbe stato pubblicato venticinque anni fa, cioè nel 1941), Ricciardetto - dopo avere efficacemente descritto lo “spettacolo veramente impressionante di patriottismo americano”, dato da cinque bellissime ragazze che si esibivano completamente nude in un teatro di Boston con una grande “V” disegnata sulla candida anca destra - ironicamente commentava che quelle ragazze “contribuivano così alla causa della patria e della democrazia”. Oggi Ricciardetto spiega che quel pezzo voleva soltanto criticare la spensieratezza con la quale il popolo americano aveva affrontato i tragici problemi dell'ora; spensieratezza che l'aveva già condotto al disastro di Pearl Harbour. Si dovrebbe, insomma, considerare come un amichevole ammonimento agli americani ad essere un poco più seri, se volevano vincere la guerra … ed anche tale ammonimento non corrispondeva certo all'interesse dell'Asse.
La descrizione, di quell'episodio di “dolce vita” - ci assicura Guerriero - “era stata ripresa di peso da Time”. Di suo “non c'era che la frase finale” (cioè la frase relativa al contributo che le cinque ragazze davano “alla causa della patria e della democrazia”: uno svolazzo della penna).
“Se il mio articolo significa - ha aggiunto Ricciardetto - che “schizzavo fiele” contro gli americani (Secondo quanto io avevo scritto nella nota sull'Astrolabio), bisogna ammettere che, prima di me “schizzasse” il periodico americano Time”.
No, Guerriero non deve avere una gran buona opinione della intelligenza dei suoi lettori.
Una piccola antologia.
Se il direttore di Epoca mi promettesse di concedermi lo spazio sufficiente per pubblicare questa piccola antologia, sarei ben contento di mandargliela in omaggio. Ricciardetto avrebbe così la possibilità di riprendere poi e continuare, come meglio credesse, la dimostrazione che i suoi articoli non sono mai stati allineati alla politica dell'Asse, e che sempre ha scritto “da uomo libero”.
Ernesto Rossi