Ernesto Rossi, Aria fritta, Laterza 1956
L'andazzo di Torre le Vigne
Mi diceva giorni fa un amico, piccolo industriale, in via di confidenze: - Ti devi accordare con la Finanza per la valutazione del reddito o del patrimonio? Hai bisogno di una licenza di importazione? Vuoi l'assegnazione di una materia prima contingentata? Attendi l'esito di una gara o di un concorso? Desideri fare una transazione con un ministero? Non riesci a riscuotere un credito per una fornitura allo Stato? Hai fatto domanda per ottenere una indennità, un sussidio, un premio, che ti spettano di diritto? Dovunque tu sia, quando meno te l'aspetti, ti vedi comparire davanti un omino cerimonioso, il quale tira fuori da una borsa piena di scartoffie la copia della tua domanda, che giace dal tal giorno nel tale ufficio del tal ministero, e si mette a tua completa disposizione per sollecitare la pratica e portarla a buon fine.
L'omino che viene ad offrirti il suo aiuto è, in generale, un povero diavolo, che ha ben poco da perdere anche se lo mettono al fresco per qualche settimana; ma ha conoscenze autorevoli nella capitale od è in missione per incarico di un importante studio di consulenza tributaria e commerciale, diretto da un commendatore, già capo servizio nell'ufficio in cui attende di essere “evasa” la tua pratica: il commendatore è da poco a riposo, ma ha conservato ottimi rapporti con i suoi ex colleghi.
Questi omini in generale mantengono ciò che promettono: non imbrogliano, non bluffano. Desiderano formarsi una sicura e affezionata clientela.
Se ungi le ruote, la pratica va avanti e facilmente si risolve in tuo favore, anche se hai torto. Se non le ungi, scende dal millesimo al milionesimo posto nella pila delle pratiche del medesimo ufficio, oppure si risolve a tuo danno, anche se hai mille ragioni da vendere.
- La sugna per ungere le ruote - ho domandato - costa parecchio?
- Dipende - mi ha risposto l'amico. - Il prezzo è una percentuale più o meno elevata del beneficio, a seconda della natura della operazione. Ottenere il pagamento immediato di una somma che lo Stato ti deve, ad esempio, costa molto meno che ottenere un finanziamento la cui concessione è una facoltà discrezionale degli “uffici competenti”.
Ultimamente chiesi per la mia piccola industria un prestito di 25 milioni che, secondo le leggi, poteva essere concesso - comprese tutte le spese - al saggio del 7%, invece che dell'11%, quanto sarebbe costato un normale credito bancario. L'omino pretendeva una sensaleria di quattro milioni, che assorbiva quasi completamente la differenza. Fatti i miei conti lo mandai a farsi benedire e rinunciai al rammodernamento dei macchinari.
- È da molto tempo che dura questo sistema?
- Dal tempo che si tiravano su i pantaloni con le carrucole. Lo abbiamo ereditato dal malgoverno dei Borboni e - in misura minore - dai regimi assoluti che vigevano negli altri Stati italiani prima della unificazione. Ma è certo che, durante il primo cinquantennio dell'unità, la virulenza del male si era molto attutita. La selezione del personale attraverso regolari concorsi, la pubblicità di tutti gli atti della amministrazione, il controllo della stampa e del parlamento, il meccanismo automatico del mercato per la distribuzione del credito e delle merci e per la determinazione dei prezzi, erano potenti antisettici, che avevano ridotto le pratiche camorristiche entro limiti tollerabili. La economia di guerra e venti anni di dittatura fascista (moneta manovrata, contingentamento delle importazioni, controllo sui cambi, assegnazioni ai “normali operatori”, disciplina dei nuovi impianti industriali, bavaglio alla stampa, e, infine, l'assunzione di decine di migliaia di impiegati, senza concorsi, per soli meriti politici) ci hanno ridotti nelle condizioni in cui siamo. Se avessi assistito all'ultima perquisizione al mio ufficio, te ne saresti potuto fare una idea...
- Perquisizione? O che sei sospettato anche tu di spionaggio atomico?
- Peggio. Come tutti gli italiani, sono un “evasore fiscale”. Nessuno, oggi, nel nostro Paese, paga tutto quello che dovrebbe pagare di imposte, contributi, taglie, balzelli. Nel ginepraio di leggi, regolamenti, circolari ministeriali, nessuno riesce più a capire che cosa gli viene richiesto. E poi chi volesse ottemperare veramente a tutte le disposizioni in questa materia non dovrebbe fare altro per l'intera giornata che riempire moduli, appiccicare marche, far la fila agli sportelli, e immediatamente sarebbe buttato a terra dai concorrenti meno scrupolosi di lui. Gli agenti della polizia tributaria piombano in casa, rovistano in tutti i cassetti, confrontano libri, corrispondenza, ricevute, accertano irregolarità, appongono sigilli, impediscono l'uso del telefono, terrorizzano moglie, figli, donna di servizio, fino il gatto in cucina... Solo se sai fare, diventano comprensivi.
- Ma tu perché non presenti una brava denuncia alla magistratura, quando sei costretto a trangugiare soprusi? Se non cominciate a muovervi voi, che siete direttamente interessati, come potete sperare che si muovano i ministri e i parlamentari in vostra difesa?
- Durante la guerra ti è passata mai per la contraccassa del cervello l'idea di ottenere giustizia, denunciando gli speculatori che ti vendevano pasta, burro, zucchero sul mercato nero? Se presentassi una denuncia, non riuscirei a provare le mie accuse e verrei segnato sul libro nero. Ricordi quel contadino di Dicomano, di cui racconta il Sacchetti, che andò a dolersi perché un parente di Francesco de' Medici gli voleva portar via una vigna?
Questo mondo corre per andazzi - disse il contadino a messer Francesco - e quando corre un andazzo di vaiuolo, quando di pestilenza mortale, quando è andazzo che si ammazzino parecchie persone, quando che non si faccia giustizia: e così quando è andazzo di una cosa e quando d'un'altra. Contro questi andazzi è inutile prendersela: non si può far riparo. Perciò se ora mi dite che è andazzo di torre le vigne, il vostro parente si prenda pure la mia, e se ne vada con Dio. Ma se non lo fosse, vi prego caldamente di farmela restituire.
L'andazzo è quello che ti ho detto. Se non provvedono “li maggiori” a farlo cambiare, noi non possiamo fare altro che pagare e tacere.
La Stampa, 22 luglio 1953.