Carlo Cattaneo, Scritti politici, Vol. 4, Firenze 1965, a cura di Mario Boneschi, pp. 429-435
29 Giugno 1864
LETTERA TERZA
E pertanto io stimo dovere dei legislatori non solo di restituire nell'antico diritto i comuni di Lombardia, ma di far partecipi di quel beneficio li altri comuni tutti, affinché l'Austria non abbia ragione di dire al mondo che, oggidì stesso, Mantova e Venezia sono governate più liberamente del regno d'Italia! È troppa vergogna!
Dall'onore torniamo agli interessi.
Si leggeva, or son pochi giorni, in un rispettabil giornale di Sicilia che colà “si percorrono dieci venti e financo trenta miglia, senza imbattersi in un villagglo, in una casa!”. Or io dico che se dimani, in quella solitudine o in altre le quali fossero pur meno vaste, i possessori si accordassero di trasferirvi le abitazioni dei loro coloni, fin qui aggregate ad una od altra di quelle comuni aventi la popolazione media di 6.681 abitanti e tanto fra loro discoste, essi farebbero pei poveri agricoltori un risparmio grande di tempo e di vane fatiche e di stenti, procacciando utile a sé medesimi e alla nazione, e dando alla fertile isola un incremento grande di sicurezza e di amenità. Io credo che i legislatori non vi si potrebbero opporre per superstiziosa fede che avessero in un fantastico minimo di popolazione.
Perloché la legge non li deve avversare e turbare, ma li deve riconoscere e proteggere. E poiché lo Statuto riservò alla legge le circoscrizioni comunali, essa deve tracciarle nel senso della maggior libertà naturale e della maggior convenienza economica; e non di volta in volta, e per grazioso favore di prefetti e viceprefetti; ma in massima, e una volta per tutte, come i nostri antichi ci hanno insegnato a fare le leggi: Privilegia ne irroganto. Perocché chiunque iniziasse siffatte benefiche intraprese, dovrebbe, anzi tratto, essere ben certo d’avere un fondamento di legge, senza dover comperare un precario a patti servili. La nuova Italia dev’essere bella, feconda, magnanima.
Epperò, se in molti comuni può esser minore di questa media, in altri debb’essere assai maggiore!
Che se qualche cosa è forza concedere a coloro che hanno lo strano istinto di legar più che mai le mani alla nazione, il buon senso vorrebbe che si prescrivesse ad ogni comune d‘aver piuttosto una data misura di superficie che non un dato numero di abitanti.
Infatti se le famiglie hanno più d‘una mezz’ora o di un’ora di cammino dalle case alla scuola, alla levatrice, al mortario o a qualunque altra parte di necessario servizio vicinale, questo si rende sempre difficile, sovente impraticabile; il concetto del comune svanisce; e chi deve contribuire alle sue spese, è frodato. Dico che se una famiglia vien costretta a pagare per una scuola lontana, alla quale non può mandare i suoi figli, essa è frodata. Mi valgo di questo vocabolo scortese, per dire ben chiaramente che, quando parlo di diritto comunale, non intendo fare una vana frase; ma parlare del mio e del tuo.
Questo antico divorzio fra la casa e il campo, fra l’agricultore e l’agricultura rende dispendiosa e vana e pericolosa la custodia; consuma inutilmente anche li animali; disordina la concimazione; rende impossibile la stabulazione; è un insuperabile impedimento ad ogni ben calcolata economia.
Se l’abitato d’un comune giace in luoghi meno opportuni o salubri, perché mai si vorrà vietare a coloro che hanno le terre più lontane dalle paludi, o più vicine alle fonti pure, o alle correnti motrici, o alle strade e ai porti, di trasferirsi colà con tutti i loro diritti, e godervi le loro comunali libertà? I legislatori, coi loro pregiudizj intorno ai comuni robusti, faranno più danno che non pensano.
E’ impossibile esercitare utilmente i diritti comunali se non entro certi limiti di spazio, o per meglio dire, di tempo. Non è la distanza lineare, ma la distanza praticabile, non è la distanza in miglia, ma in ore, che nei luoghi montuosi posti a diverse altezze o a diversi aspetti, o anche nei luoghi piani separati da torrenti o paludi o selve senza vie, rende possibile alle famiglie di prestarsi un’attiva e verace assistenza, secondo le loro forze e i loro lumi; né vi si richiede tanta sapienza di magistrati; ma l’abituale e il buon senso, e l’esempio dei vicini e i buoni regolamenti sono bastevoli; e per chi non fa, vi sono i rimedii di legge.
Nelle migliaja di uomini novelli che dovrebbero contribuire a crescere d’un mezzo millione almeno di prosperi abitatori la Toscana, d’un millione l’Umbria, d’un millione e mezzo la Sicilia, di due millioni la Sardegna e via dicendo, non importa con qual numero si cominci; perocché quelle libere abitazioni sono destinate a moltiplicarsi e disseminarsi e animare tutta la superficie. La superficie è un dato certo ed inalterabile; la popolazione può variare e ondeggiare senza fine. I legislatori che parlano sempre di voler fare l’Italia, non sanno imparare dagli uccelli che preparano il nido ai futuri.
E’ bene siasi rinunciato almeno in parte all’ingiusto e pernicioso proposito, ch‘ebbe Cavour, di confiscare gli ademprivii ai comuni di Sardegna e fu atto di giustizia il farne piuttosto un’estesa concessione a nome dell’isola per procacciarle le ferrovie. Ma con ciò il quesito economico non è ancora sciolto; e se la legge comunale e la provinciale, e in questo caso anche la regionale, non vengano coordinate a questo più che arduo fine, le speranze dei popoli e le oneste aspettative degli imprenditori non saranno adempiute. Nessuno dei membri di tante Commissioni ha badato che questa legge comunale è inestricabilmente connessa col destino delle nuove coltivazioni. Hanno fatto una legge senza pensieri.
Per venire ad una conclusione pratica e articolabile, dirò che ogni qualvolta i possidenti e domiciliati d’una parte del comune, in qualunque numero siano, trovino utile di stralciare la loro amministrazione municipale e farne due o più comuni, ognuno dei quali conservi una superficie continua di due o tre miglia quadre almeno, lo possono fare, in quanto rimangono assicurati a ciascuna parte tutti quei servigi che la legge comunale (voglio dire, un’altra legge comunale radicalmente diversa da questa) avrà prescritto.
E oso dirlo, perché so di vivere in questa seconda metà del secolo XIX, alla distanza di soli anni 36 dal secolo XX; e oggi mi par poco ciò che fu concesso ai nostri bisavoli già fin dalla metà del secolo XVIII; e, mi pare d’esser discreto chiedendo per la mia patria l’umile licenza di fare almeno un passo per secolo! E mi vedo al cospetto di tante colossali imprese, fatte per libera associazione, a trasformare
Né vedo maggior pericolo nell’affidare a queste nuove società municipali anche i registri dello stato civile, che le vecchie leggi non ne vedano nell’affidare qualunque atto di publica fede ad un qualunque notajo, e la vita e l’onore dei cittadini ad una qualunque assisa di giurati.